15 novembre 2011

Se due indizi fanno una prova, allora ho la quasi certezza che Milano sia un organismo autosufficiente che nasconde le sue perle alla vista di chi non è curioso, di chi è pigro. In questo caso non parlo di angoli nascosti, di tutti quei posti splendidi della città che si nascondono alla vista di chi è distratto, ma che si offrono silenziosi chi è disposto a fare quel passo in più per cercarli. Parlo della vita della città, dei suoi eventi.

Ho sempre amato questa città e non ne ho mai fatto segreto, ne ho già scritto in molte altre occasioni, anche se l'ho tradita con New York che è ancora miei pensieri. Mentre mi appresto a diventarne cittadino effettivo, dopo anni di cittadinanza "onoraria", proprio ieri sera ho trovato il secondo indizio di questa mia teoria senza alcun fondamento scientifico e nessuna velleità di averne.

Il primo indizio lampante dopo molte piccole avvisaglie l'ho avuto un paio di anni fa, in una sera come ieri a inizio settimana, in cui pioveva a secchiate e c'era un vento pazzesco e la cosa più naturale da fare era stare in casa all'asciutto. Invece decisi di uscire per andare alle Scimmie a vedere un piccolo concerto di Diego Mancino, nonostante sapessi che sarebbe iniziato tardi e finito tardissimo. Furono un concerto e una serata meravigliosi.

Ieri invece Milano ha deciso di proteggersi con la barriera più potente che possiede  e con la quale è diventata famosa (ma ormai c'è più nebbia al centro-sud che qui, miei cari...): una gran nebbia, non la più fitta che io abbia mai visto ma di tutto rispetto, su una scala da uno a dieci diciamo un 7,5.

Ieri sera al teatro Martinitt, c'erano due personaggi che si sposano perfettamente con le atmosfere fredde e nebbiose: Scott Matthew e Josh T. Pearson. Il primo un perfetto sconosciuto per me e gran sorpresa della serata, il secondo autore di un disco veramente notevole.

La serata inizia con Scott, il suo ukulele baritono e due musicisti.

Si capisce dalle prime note che non è un supporto a Josh, ma un concerto vero e proprio, la scaletta è ricca, si prende tutto il tempo necessario e alla fine troverà anche il tempo per un bis. La sua voce è perfetta per essere accompagnata da un ukulele e pochi altri arrangiamenti, molto piena, rotonda, leggermente soffiata, usata con molta cura e intelligenza, per dare la giusta intensità e il giusto colore ai pezzi, bilanciando bene falsetto, sussurrato, e parti più potenti. E' uno che sa veramente come emozionare e come trasmettere la grande intensità e delicatezza delle sue canzoni. Canzoni che sembra incredibile siano fatte (e credo anche composte) usando principalmente l'ukulele, per la grande varietà di idee messe sul tavolo e la costruzione perfetta delle strutture...

Avete presente le pippe per ukulele di Eddie Vedder? Ecco questo è un altro pianeta.

Oltre alle capacità di grande cantante e grande autore si presenta anche bene sul palco, con quel suo stile da Band of Horses mancato, con la giusta dose di umiltà e timidezza, mascherate da una vena comica che rende divertenti le spiegazioni dei pezzi e fa da netto contrasto con la natura cupa e triste di questi ultimi.







Come ho detto è stato una grande sorpresa e, nella pausa fra i due concerti, ne ho approfittato per comprare il vinile del suo Gallantry's Favorite Son.

Durante la pausa il palco si svuota, rimangono solo un'asta, un microfono e un occhio di bue. Ad un certo punto una barba spunta da dietro le quinte, Josh sale con la chitarra ancora nella custodia, manco fosse un busker qualsiasi che passa di là. Apre, imbraccia la chitarra, si prende il suo tempo per accordare e fa capire subito come sarà l'andazzo del concerto "This song is called tuning", e dopo due prove per verificare l'accordatura "Thank you good night" e fa per andarsene. Tutto il concerto sarà costellato da un umorismo nero, da prese in giro a noi italiani al limite dell'offensivo e ci tiene a specificare che sta scherzando: "Wow, che pace! E' la prima volta che sono in una stanza piena di italiani e c'è questo silenzio, bravi, vedo un radioso futuro davanti a voi!" preceduto da un "Good No Berlusconi Day!" e altre battute sul nostro ex presidente tipo "Resturants are full...", ma dopo averci "bastonato" per quasi tutta la serata mostra profondo rispetto per i nostri meriti e le nostre capacità artistiche "Thank you for Verdi" o a proposito sempre di Berlusconi "Maybe Sorrentino could make a film... i've seen Il Divo and it was great, i really like it", chiude il cerchio nel suo caratteristico e forse discutibile humor, con alcune barzellette (guarda caso un pezzo forte di B.) sui musicisti e sui pompini.

Fra una minchiata e l'altra però quando si avvicina il microfono e fa andare le dita sulla chitarra è un fiume nero e profondo, le sue dita e la sua voce sono capaci di creare il vuoto intorno a un rivolo di note sussurrate, oppure di inondare la sala con una cascata di suoni. C'è poco da dire di tecnico oltre a questo sul suo concerto, se non che ha suonato alcuni brani dal suo disco e ha chiuso con un "Rivers of Babylon" uno spiritual degli anni '70. La scaletta conta poco. Un concerto così è da vivere, Josh T. Pearson esprime la tradizione americana, ma con quel qualcosa in più che lo rende unico, nelle sue canzoni respiri il texas, il tennesee, l'alabama, l'oklahoma, tutti quei nomi di stati americani che ti fanno pensare a mandrie, praterie e ranch sperduti con vecchi cow-boy seduti sulla sedia a dondolo in veranda a fumare il sigaro e a bere whisky. Oltre a queste immagini però riesce a farti respirare la sua anima, la sua vita, sembra stia pregando, sembra stia chiedendo perdono lì da solo con la sua chitarra e le sue parole.



Alla fine Scott e Josh regalano più di due ore di grande intensità, protetti da una Milano che sapeva bene cosa stava succedendo nella sua pancia.

A proposito di musica dal vivo e di concerti di qualità, colgo l'occasione di ringraziare i ragazzi dell'associazione Golden Stage che ha organizzato questo concerto e molti altri, mettendo insieme una rassegna di grande qualità, che ha scommesso su due nomi quasi sconosciuti ed è stata premiata con un teatro quasi pieno nella profonda periferia di Milano. Complimenti, c'è un gran bisogno di gente come voi.

E se qualche sera Milano sembra la città più inospitale della terra, sappiate che da qualche parte al suo interno sta succedendo qualcosa di speciale... sta a voi scovarlo e goderne.













27 ottobre 2011


Prendo spunto da questo video per scrivere una cosa di cui ho parlato millemila volte con amici musicisti e non, sul trattamento riservato alle band nei locali in cui si fa musica dal vivo, sui locali, sulla gestione ecc.

Caro gestore di locale con musica dal vivo, mi rivolgo a te che hai un piccolo locale non ancora affermato,

inizio col dirti grazie, perché la scelta di far suonare qualcuno nel tuo locale è una scelta coraggiosa, che ti fa onore. Aiuti la cultura italiana, dai la possibilità alle persone che vengono a bere qualcosa e a divertirsi di apprezzare il frutto della passione artistica di qualcuno, di arricchirsi con quello che il musicista ha da offrire, di venire a contatto con l'arte, dai la possibilità a ragazzi che hanno voglia di fare, di esprimersi davanti a un pubblico, di confrontarsi con le persone.

Però se già stai facendo una cosa, falla bene, se no è inutile e fai solo danni, e sono danni enormi che vanno al di là della tua immaginazione. Andiamo per punti.

Punto primo, il più importante: LA PROGRAMMAZIONE.

Fare musica dal vivo non significa far suonare gente a caso, l'amico, il parente, fare la settimana prima piano bar e la settimana dopo death metal, perché così ti fai solo del male e fai del male a chi viene a suonare e anche a chi viene a sentire.

La programmazione delle serate deve essere coerente, deve essere studiata, deve avere un senso, deve dare identità al tuo locale, deve dare QUALITA'. 

Se uno si presenta una sera e c'è jazz, pensa "bello 'sto posto dove fanno jazz ci devo tornare" e quando torna la seconda volta c'è musica elettronica, ti sei giocato un "avventore" e tutti i suoi amici che ascoltano jazz e tutti quelli con cui parlerà di jazz e di locali a cui dirà "Cavolo sono andato in quel locale una sera e c'era un bel gruppo jazz, poi sono tornato la settimana dopo e c'erano due imbecilli con le maschere che facevano solo rumore con due pianole, che schifo" e magari erano i Daft Punk.

Hai due possibilità: o fai una programmazione incentrata sull'altissima qualità, e allora puoi spaziare anche fra vari generi, perché la gente a cui piace la qualità della musica, solitamente piace anche variare genere. Oppure puoi incentrare la programmazione su un genere musicale e allora richiamerai gente a cui piace tantissimo quel determinato genere e chiude un occhio se il gruppo che ha visto una sera non è proprio eccelso.

Punto secondo. LA PROMOZIONE.

"Quanta gente portate?". Questo è un classico esempio della promozione fatta dalla maggior parte dei locali.

Ti devi mettere in testa che i musicisti non sono PR. La promozione al tuo locale la devi fare tu. Devi capire che se anche un gruppo vi porta 100 persone ma oltre a quelle il locale è deserto quelle 100 persone che bene o male si conosceranno tutte, non torneranno MAI nel vostro locale deserto se non per sentire quel gruppo. E comunque la seconda volta nel giro di un mese che farai suonare lo stesso gruppo perché "cavolo han portato un sacco di gente",  ne porteranno la metà.

Perché se non ci sono altre persone nel locale che vedono per la prima volta quella band e ne rimangono positivamente impressionati e magari ne parlano agli amici che la volta successiva verranno a vederli e a loro volta ne parleranno con altri amici, il giro della band rimarrà sempre lo stesso che non va a vederli due volte nello stesso mese nello stesso locale deserto.

Lo stesso discorso vale se hai comunque gente che frequenta abitualmente il tuo locale.

Se tu fai suonare una band di cani impestati che però "cavolo portano 200 persone", avrai sì il locale strapieno per quella sera, ma le persone che abitualmente vengono a bere qualcosa non saranno felici di farsi strapanare da una band tipo questa, e andranno in giro a dire che nel vostro locale ci suonano gruppi di merda e che non ci torneranno più. Né loro, nè i martiri che sono venuti a vedere la band, che verosimilmente saranno parenti e amici che fanno un grande favore al gruppo che magari suona per la prima volta... e speriamo mai più.

Certo i musicisti dovrebbero avere un proprio giro di persone che li seguono per poter suonare nei locali, devono comunque pubblicizzare il loro concerto, soprattutto se sono poco conosciuti, ma l'affluenza non deve dipendere solo da loro, altrimenti è inutile, non serve né alla band né al locale.

Per cui se non l'hai ancora capito fare una buona promozione conviene a tutti e crea un circolo virtuoso che alimenta contemporaneamente il tuo locale e le band di nuove persone.

Punto terzo: IL COMPENSO.

I musicisti devono mangiare, come tutti, devono pagare l'affitto, come tutti, hanno dei costi di produzione, come tutti, impiegano del tempo, come tutti. "Si ma tanto lo fanno per passione, è solo un hobby", si ma questo non vuol dire che debbano essere sfruttati.

Ti spiego il procedimento che porta una band a suonare nei locali. Prima di tutto si deve comprare una strumentazione, teniamo conto di una strumentazione media, per una band classica di 4 elementi, né scarsa né professionale con un calcolo spannometrico:

Chitarra: 800€

Amplificatore: 1000€

Basso: 800€

Amplificatore: 1000€

Batteria completa: 1000€

microfono-impianto voce: 1200€

TOTALE 5800€

Senza contare che prima avranno sicuramente comprato una strumentazione scarsa, da principiante, per iniziare.

Poi deve imparare a suonare:

Per i corsi avanzati per imparare a suonare facciamo un 1200 euro circa a testa per lezioni private per un anno, una volta alla settimana.

Fanno 10.600€ di spese.

Non contiamo le continue piccole spese per i materiali, corde, plettri, bacchette, pelli della batteria, effetti, pedali, upgrade, corsi di perfezionamento, con i quali credo si arrivi a un minimo di 500€ a testa all'anno.

Per suonare in un locale un gruppo deve provare. Se sono fortunati hanno un box, una casetta in campagna, un capanno degli attrezzi dove suonare, altrimenti devono affittare una saletta e sono dai 50 ai 100 euro (minimo) al mese che se ne vanno a testa. O comunque dovranno spendere per isolare acusticamente il posto che hanno già.

"Sì, ma tanto che fatica fanno, si divertono". Un gruppo per suonare una sera deve fare una serie di cose che non sempre sono ben chiare a chi non suona.

Bisogna provare, come ho detto prima, almeno due o quattro ore alla settimana,  poi il giorno del concerto ci si deve trovare al pomeriggio a caricare l'attrezzatura. Attrezzatura che PESA, che si fa fatica a portare, invito tutti a sollevare un amplificatore serio per basso e a portarlo a mano per qualche metro e poi vediamo se i musicisti non fanno fatica... 

Ci si trova alle 17.00 (ora più ora meno) per caricare gli strumenti, si parte, ci si reca sul luogo del concerto, quasi sempre all'ora di punta, quindi con un traffico allucinante, si arriva al locale, si scarica l'attrezzatura, la si porta sul palco, si monta. Almeno due ore vanno via se tutto fila liscio. Poi si fa il sound check, si sistemano le ultime cose, si mangia (forse), ci si prepara per il concerto. Si suona, una o due ore a seconda del tipo di serata, ma anche tre ore. Si finisce e si è veramente distrutti dopo aver suonato, è come fare una maratona. Ci si cambia, e si inizia a smontare, si ricarica l'attrezzatura e si riparte, si ritorna in saletta, si scaricano le cose e si va a casa. Oppure le si porta a casa direttamente se non si ha una saletta. Nella migliore delle ipotesi, si finisce per le 2 di notte.

Poi mettici le spese: la benzina, le corde nuove, le bacchette nuove, i plettri nuovi, i cavi nuovi che compri apposta per far sì che la serata vada per il verso giusto e senza intoppi.

Dalle 17.00 alle 2.00, fanno 9 ore di lavoro.

Con una paga oraria da raccolta di pomodori sarebbero 50 euro a testa. 200 euro per tutto il gruppo. Senza Spese. Senza contare le ore per le prove della serata. Senza contare che molto probabilmente per venire a suonare se è in settimana il gruppo avrà chiesto sicuramente dei permessi al lavoro. Sarebbe proprio il minimo sindacale per recuperare un minimo di costi e di sbattimento.

Per cui caro il mio gestore quando dici al gruppo che non gli puoi dare niente perché non hai fatto abbastanza incasso, perché il locale era vuoto, perché "dai per questa volta era una prova la prossima vi pago" e poi non ti fai più vivo, saresti da denunciare. Perché i fornitori, anche se non hai fatto l'incasso li devi pagare lo stesso e dovrebbe essere uguale per chi ti fornisce "l'animazione" della serata. Poi se il gruppo non ti ha "portato nessuno" sei liberissimo di non richiamarlo, ma la serata ormai l'ha fatta.

E poi quanto ti costa a te una birra? Quanto ti costa un panino? Di certo non vai in rovina se uno si prende una birra in più. Trattali bene 'sti musicisti, lasciali liberi di prendere quante birre vogliono (con i dovuti limiti naturalmente) non si può stare in ballo otto, nove, dieci ore, avendo un solo free drink per tutta la serata o magari neanche quello. Falli sentire a casa, non trattarli come dei barboni, perché anche così si crea un circolo virtuoso, loro parleranno bene del locale, saranno più invogliati a farvi pubblicità, vi segnaleranno altre band valide che faranno conoscere il locale ad altra gente. Sarà la band, la volta che non ci sarà molta gente a dirti "va be dai per questa volta dacci un po' meno". Non mi dilungo su questo punto perché ci sarebbero esempi ignobili da portare, vissuti anche in prima persona, ma voglio essere propositivo e non polemico.

Micro-implicazioni.

Tutto questo implica che chi organizza le serate se ne intenda un po' di musica, perché altrimenti non saprebbe valutare la bravura di una band, implica che sappia come si fanno certe cose, come si muove quel mondo, cosa serve per fare una buona serata, implica che il locale abbia un acustica decente, che si sappia fare un minimo di suoni. Implica di avere il locale adatto a fare un certo tipo di musica, perché se si ha un pub 2 metri per 3 non si possono fare concerti grindcore (a meno che non sei un po' pazzo e vuoi creare un locale unico nel suo genere dal quale esci con il cervello che cola dalle orecchie), magari si limita la programmazione a concerti acustici, diversamente se hai un locale che è un hangar, non ha senso fare concerti intimi.

Macro-implicazioni.

Tu, gestore di locale, stai alla base di un sistema che inizia da te e finisce ai grandi eventi musicali, ai festival internazionali, ai riconoscimenti ufficiali, alle campagne elettorali, alle celebrazioni nazionali. Stai alla base di un sistema che è immensamente grande, non ti puoi neanche immaginare quanto.

Se tu imposti bene il tuo locale e le tue serate, dal tuo palco aiuterai a costruire la cultura musicale del tuo Paese, aiuterai a crescere gli artisti in gamba e farai cambiare mestiere a quelli incapaci, farai selezione, creerai qualità. Qualità che poi si riverserà piano piano su palchi più grandi, su eventi più grandi, qualità che poi verrà riconosciuta anche all'estero, che ci farà fare bella figura, che ci farà guadagnare in credibilità nel mondo. Sembra incredibile vero? Ma secondo te i Muse e i Coldplay da dove sono partiti?

E a proposito, la cultura musicale di un paese la si costruisce con creazioni originali, non con falsi d'autore. Se tu fai suonare solo cover e tribute band nel tuo locale, contribuirai ad uccidere la cultura musicale italiana e sarà anche un po' colpa tua se all'estero siamo ancora quelli di "Volare", del mandolino, della pizza e degli spaghetti. Perché non contribuirai a creare una nuova identità musicale che possa competere con quello che arriva dall'Inghilterra o dall'America. Non contribuirai ad educare le persone all'ascolto di musica nuova, alla scoperta di nuove voci e nuovi artisti, per i quali spendere soldi, tempo, comprare dischi, andare ai concerti. Se le persone non scoprono nuova musica dal basso e non aiutano i gruppi nuovi a crescere tutto il sistema crolla. So che sembra incredibile anche questo, ma è così, è una catena che parte dal basso, e il tuo locale è proprio l'inizio di questa catena. So che è facile fare soldi in fretta con le tribute band, ma alla lunga proporre cose nuove, con coscienza e facendo le cose per bene, porta più soldi e più longevità al tuo locale, i clienti ti saranno grati per quello che gli offri e farai del bene alla cultura del nostro Paese.

Oltre a questo aspetto super-macro ce n'è anche uno un po' più piccolo.  Se tu imposti male il tuo locale e sarai costretto a chiudere, creerai una brutta fama alla musica dal vivo, perché gli altri diranno che non porta soldi, che non fa guadagnare, che i locali con musica dal vivo chiudono tutti, che non si può investire nei concerti perché fanno solo perdere soldi, per cui oltre a te stesso, farai male anche a tutta l'industria dei concerti.

Come vedi, gli aspetti dietro a un concerto di 4 ragazzini sfigati sono moltissimi e vanno molto al di là del tuo localino e della tua seratina.

Per cui caro il mio gestore, se hai intenzione di fare musica dal vivo pensaci due volte, fallo bene, non tanto per trovare uno sbocco al tuo locale che sta andando male. Pensa a tutte queste cose, pensa a costruire una realtà che possa dare qualcosa di interessante alle persone.

Sarà difficile, ma se lavori bene darà grandi soddisfazioni e anche grandi introiti.

11 ottobre 2011

ESTERI

Indignados.

Ieri sera sentivo L'Infedele (intanto leggevo Rolling Stone), ospiti alcuni Indignados e banchieri-finanzieri.

Tutte queste manifestazioni non servono a nulla. Non sono certo quattro slogan e qualche fancazzista che dorme in piazza a fermare il capitalismo e la finanza. Basta ricordare come si sono dissolte nel nulla le folle oceaniche dei no global. Si mettono spesso nello stesso calderone delle rivolte del Nord-Africa, come se fosse frutto della stessa miccia. In realtà è un grosso errore, perché le manifestazioni del Nord-Africa sono scaturite da gesti eclatanti, estremi e da risposte altrettanto estreme. I manifestanti hanno imbracciato le armi, sono morti, si sono sacrificati. E' stato il sacrificio di Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco, e di molti altri morti nelle manifestazioni a infiammare il popolo. Fra gli indignados armati di IPhone, Ipad, portatili e Blackberry non vedo la disperazione necessaria a causare gesti estremi come quelli del tunisino, che a mio avviso sono l'unico modo per far aprire gli occhi e per scatenare una vera rivoluzione. Finché si va in piazza a esporre striscioni e a gridare slogan vecchi di 50 anni non cambierà mai nulla. Servono gesti estremi, cose che siano capaci di toccare profondamente la sensibilità e il senso di giustizia di tutti.



POLITICA.

Crisi.

Sento sempre dire dai politicanti che l'Italia è più forte degli altri paesi perché è forte il risparmio privato. Sarà anche vero, ma lo sarà ancora per poco miei cari. Questo rifugio ormai è diroccato e sta per crollare.  Le nuove politiche lavorative stanno prosciugando tutto il risparmio privato dei ceti medi e bassi. I giovani non riescono a sopravvivere da soli fra anni di università, stage, lavori a progetto, lavori a tempo determinato e sono costretti a ad attingere al risparmio dei genitori e dei nonni per sopravvivere. Così facendo si ritroveranno adulti o anziani senza una copertura, perché non avranno più il  "tesoretto di famiglia" e non avranno neanche accumulato un risparmio personale, perché avrànno iniziato tardi a lavorare e non avranno avuto la possibilità di mettere da parte qualcosa a causa della saltuarietà del lavoro e dei compensi esigui percepiti per anni. Quel poco che sarà riuscito a tenersi, verrà a sua volta prosciugato dalla prole che verosimilmente si troverà in una situazione ancora peggiore di oggi. Il risparmio privato, se le cose non cambieranno, sparirà nel giro di un paio di generazioni.



SPORT

Oriundi.

Quant'è piccola l'Italia, quant'è indietro l'Italia, quanto mi fa vergognare. Mentre nelle nazionali degli altri stati europei  giocano neri, bianchi, gialli, verdi, qui siamo ancora a discutere se un giocatore (Osvaldo) con moglie e figli Italiani sia o meno Italiano. La cosa brutta è che si da tutta la responsabilità ai leghisti per essersi esposti, ma in realtà hanno solo espresso il parere di moltissimi. IGNORANTI.



ARTI

Vasco.

In tutto questo strambusto dei Clippini, di Nonciclopedia, della clinica, si è perso di vista il Vasco cantante. Mi stupisce dirlo ma devo ammettere che "I Soliti" è un pezzo degno del miglior Vasco.



Lars Von Trier.

Finalmente esce anche in Italia, con un leggerissimo ritardo, Melancholia. Per me lui è il genio, Antichrist è in assoluto il film più forte, profondo, intenso, penetrante e sconvolgente che sia mai stato girato. E Melancholia promette bene. 21 ottobre.





5 ottobre 2011

E alla fine il teatrino della premiata ditta Nonciclopedia-Vasco Rossi si è chiuso con un volemose bene.

Un giorno un sito più o meno inutile decide di fare il colpaccio, prendere un personaggio che negli ultimi tempi è diventato un facile bersaglio, farlo diventare un bersaglio grosso e grazie a lui diventare il sito più discusso e chiaccherato della settimana.

Un giorno sul sito in questione appare un messaggio sbagliato nella forma che dice tutto ma non dice niente, che ringrazia un certo Vasco Rossi per la "chiusura a TEMPO INDETERMINATO" del suddetto. Un tempo talmente indeterminato che dopo due giorni si è concluso.





In realtà Vasco Rossi non ha fatto chiudere proprio un bel niente, è il sito che ha chiuso per sua scelta. Dicono per evitare la querela e per non autocensurarsi modificando il contenuto della pagina dedicata al cantante che non ha gradito i toni dissacranti. C'è da dire che non c'è scritto niente di che, niente che non si dica sparando cazzate con gli amici, ma è anche lecito che al diretto interessato dia fastidio, magari perché ha scambiato Nonciclopedia come la versione italiana di Wikipedia. Forse sarebbe stato meglio spiegarsi, mettersi a un tavolo e trovare una soluzione semplice, senza passare dagli avvocati e dai tribunali, ma così non è stato.

La cosa inquietante è stata la mobilitazione della rete, che in nome della libertà di parola, libertà di satira, contro la censura, contro i potenti, contro Berlusconi, contro tutto, si è scagliata su Vasco con una cattiveria veramente preoccupante. Chiariamoci, in questi ultimi anni non ha fatto molto per stare simpatico ai suoi non-fan, c'è stato un bombardamento mediatico imbarazzante, che ha stufato molti (compreso me) e ci sono state delle trovate poco felici come i "clippini" che hanno distrutto la sua immagine agli occhi del pubblico non pagante.

Per me si sarebbe dovuto ritirare a vita privata dopo Nessun Pericolo per Te, ultimo suo disco degno di essere definito tale, oggi faccio veramente fatica a sopportarlo, ma da qui a tempestarlo di insulti e ingiurie ne passa.

Il 99% di quelli che si sono scagliati contro il Sig. Rossi, non sa neanche che cavolo è Nonciclopedia, se non magari per sentito dire. Il 99,9% di loro non sono neanche mai andati sul sito, se non in questi giorni a vedere questo grande esemplare di CENSURA nella gabbia della rete.

Ecco prima di gridare allo scandalo magari andatevi a vedere questa pagina per capire che cosa può essere questo sito. Io sono uno che scherza su tutto, ma trovarmi di fronte a una pagina del genere non mi fa ridere per niente.

Ora anche Wikipedia segue l'esempio di Nonciclopedia e decide di autocensurarsi. Il motivo però è ben diverso e ben più importante che riguarda il ddl sulle intercettazioni.

Tempo zero la rete si mobilita: "salviamo wikipedia", "facciamo riaprire wikipedia", "rivogliamo wikipedia" come se qualcuno l'abbia chiusa. Ignorando il fatto che il problema non è wikipedia ma è molto più ampio e tralasciando il fatto che wikipedia non è stata chiusa, ma si è autochiusa. E quindi? tutti a iscriversi all'evento "SALVIAMO WIKIPEDIA"  che non si sa cosa farà per salvarla, che non si sa chi ci sia dietro, che non c'è scritto nulla se non "per salvare wikipedia devi invitare all'evento tutti i tuoi amici".

Sulla pagina di riferimento poi mette in relazione la questione noncilopedia con wikipedia come se fossero frutto della stessa diabolica strategia di censura dei "matusa e del governo":









RAGAZZI!!! HANNO BLOCCATO WIKIPEDIA!!! SALVIAMOLA, PERCHE' LA LIBERTA' D'INFORMAZIONE CI APPARTIENE DI DIRITTO!!!!








Descrizione
Prima nonciclopedia per colpa di quel ritardato e stonato di vasco rossi ed ora anche Wikipedia!!! Ci avete rotto!!! Vogliamo la libertà di parola e d'informazione!!!

Ma perché non ci ha ancora pensato nessuno?! Per mandare via Berlusconi basta iscriversi al gruppo "MANDIAMO VIA BERLUSCONI", per risolvere la questione PALESTINA-ISRAELE basta fare un gruppo "FACCIAMO ANDARE D'ACCORDO ISRAELIANI E PALESTINESI" e far iscrivere tutti i nostri amici, poi fa niente se la pagina è stata creata da Grande Puffo e vi chiederà di puffare.





28 settembre 2011


La tanatosi è quella tecnica di difesa, o attacco, attuata da alcuni animali che consiste nel fingere di essere morti per evitare di essere mangiati o per attaccare il malcapitato che si avvicina. Addirittura alcuni rettili rilasciano anche un liquido maleodorante che simula l'odore della carne in putrefazione.

Il  governo Berlusconi è un maestro consumato in questa tecnica. E' stato dato per morto non so quante volte ormai, sono state date per certe le elezioni anticipate a novembre, poi a marzo, poi a maggio, ma non si è mai verificato neanche l'alito di una possibilità del genere, Silvio è dato per finito ogni giorno, ma non si vede lo spiraglio di una rottura. In realtà gli spiragli si vedono ma sono allucinazioni, miraggi, o specchietti piazzati nei posti giusti per creare visioni distorte, o sono falle tappate molto prima di iniziare a imbarcare acqua.

Ma non è solo la straordinaria capacità di rimanere in piedi che caratterizza questo governo. C'è una precisa strategia della tanatosi applicata con perizia e precisione quasi militaresca, con cadenza matematica, piazzzata sempre nel posto giusto al momento giusto, prima di ogni momento cruciale.

Mi sembra incredibile che nessun giornalista, analista politico, osservatore ne abbia parlato.

Alla vigilia di ogni votazione importante,  il governo va sempre sotto su questioni di poca importanza o quasi inutili per il normale corso del parlamento:

- 14 dicembre 2010 voto di fiducia alla camera passato con 314 voti contro 311.

-> il 9 novembre il governo va sotto sul testo per la prosecuzione degli impegni sanciti nel trattato Italia-Libia di Tripoli.

-> il 14 novembre va sotto un'altra volta per l'assegnazione del "73esimo scranno italiano a Strasburgo".



- 22 settembre 2011 la camera respinge la richiesta d'arresto per Milanese per 312 voti contro 306

-> il 20 settembre il governo va sotto per ben 5 volte sulla normativa dello sviluppo degli spazi verdi urbani.



- 28 settembre voto di sfiducia al Ministro dell'Agricoltura Saverio Romano rinviato a giudizio dalla procura di Palermo con l'accusa di concorso in associazione mafiosa. Voto previsto per le 16 di oggi.

-> 27 settembre il governo va sotto sull'approvazione di un emendamento del PD contrario alla formazione di un ordine degli odontoiatri.



Questi sono stati gli unici tre momenti nell'ultimo anno in cui il governo è stato seriamente a rischio, e immancabilmente alla vigilia di questi tre momenti cruciali hanno simulato una piccola morte su questioni veramente ridicole, rispetto ai problemi del nostro paese e rispetto agli appuntamenti cruciali che possono mettere in crisi un governo. Non può essere un caso. Perché sembra studiato nei minimi particolari.

Nel caso del 14 dicembre 2010, il momento era il più importante forse dall'inizio di questo governo e la tattica è stata attuata con largo anticipo, distribuendo le due finte morti a una settimana l'una dall'altra a un mese dal voto importante. In questo modo hanno fatto annusare agli (ingenui) avversari il profumo della  vittoria, i quali ne hanno approfittato per disegnare scenari futuri, rifiutare alleanze mai proposte, richiedere le solite elezioni anticipate/dimissioni/governo tecnico. Intanto che la sinistra giocava a disegnare il prossimo governo, Silvio ne ha approfittato per serrare i ranghi e costruire la sua fiducia, senza interferenze e senza che la sinistra cercasse una strategia e si organizzasse per infliggere il colpo mortale.

Nel caso del voto di Milanese, invece la tattica è stata attuata in maniera esplosiva, poco tempo prima e in modo eclatante. In quel caso addirittura la Lega si è votata contro da sola. Ora, è risaputo che i vari Calderoli, Bossi, Salvini, Borghezio non siano un mostro di intelligenza, ma in quanto a strategia non gli si può dire niente. Un partito che da decenni prende PALESEMENTE per il culo i suoi elettori, gridando Secessione sul Po e giurando fedeltà alla poltrona e a Berlusconi a Roma non facendo NULLA per i suoi elettori del Nord che comunque continuano a votarla, non ha nulla da impararare in quanto a strategia. Per questo mi sembra alquanto ingenuo pensare che quella votazione sia stata un errore.



Puntualmente per il voto su Romano, altro punto cruciale del governo Berlusconi (vi ricordo che Romano è stato fatto ministro quando già si sapeva che pendeva su di lui un'accusa per mafia), si è ripresentata la stessa strategia, ma in forma lieve, perché essendo voto non segreto, a quanto pare il risultato sembra scontato.



E' pura casualità?

Ci fosse un'opposizione seria e capace non servirebbe a nulla perché non si farebbero prendere in giro così. Ma data l'ingenuità di Bersani e compagni, e dato che ci sono cascati tutte e tre le volte con il solito ritornello dimissioni/elezioni anticipate/governo tecnico, viene naturale pensare che sia una strategia studiata.

Scommettiamo che la tattica funzionerà anche questa volta? Lo scopriremo dalle ore 16 in poi...














21 settembre 2011

Il giorno dopo la disfatta sintetica, l'Inter si ritrova peggio che nel periodo "d'oro", quando ne prendeva 6 dal Milan, quando si faceva sbattere fuori ai preliminari di Champions da squadre di cui neanche ricordo il nome.

E' bastato dire a Moratti che non può più spendere soldi , per mandare in pappa tutta la macchina.

Perché proprio "l'altro ieri" Branca, con il portafoglio ancora abbastanza aperto, portava a casa gente come Cambiasso, e Sneijder senza spendere un euro. Oggi che la Fifa ha detto "chiudete il portafoglio", riesce a spendere soldi per bidoni come Zarate, o quasi pensionati come Forlan. Un paradosso. Oppure un banale contentino per espiare la colpa del non aver concluso nulla di quello che serviva.

E poi Gasperini.

Orgoglio o coraggio? Cocciutaggine o convinzione delle proprie scelte? Non ho ancora capito il suo carattere.

Il modo in cui è arrivato mi ha ricordato l'imitazione di Napolitano/Crozza quando chiede i biscottini e gli rimane sempre e solo quello a forma di rospo da ingoiare. E già sapere di essere una seconda scelta non aiuta ad iniziare un'avventura complicata come l'Inter. In più il trattamento riservatogli nel calciomercato è stato anche peggiore di quello offerto a Benitez. Con la differenza che Benitez era stato arrogante e pretenzioso, Gasperini aveva fatto solo due semplici richieste: dei giocatori utili al suo modo di giocare, come Palacio e Kucka che stanno facendo un inizio di campionato incredibile, oltretutto. Di tutta risposta sono arrivati Forlan e Zarate, bella dimostrazione di appoggio. Con i soldi che hanno speso per loro, e facendo uno sforzo in più potevano arrivare benissimo a Palacio, dandogli uno stipendio molto più basso di Forlan.

Come dice giustamente Luigi Garlando sulla Gazzetta, dal secondo tempo della supercoppa Gasperini non ne ha più azzeccata una. Era partito benissimo, con un primo tempo in cui tutta la squadra girava alla perfezione, sembrava andasse tutto alla perfezione. Poi Gasp decide di suicidarsi: sposta Alvarez sulla destra, che stava facendo una partita ottima, obbliga Obi a rientrare e lo spompa per poi toglierlo e limita l'azione di Sneijder a cui chiede di coprire di più, spompando anche lui. Finché Gasperini ha potuto contare sul lavoro di Obi sulla fascia la squadra ha girato, dopo si è sciolta ed è stato il Milan a comandare sulle fasce e a vincere, guarda caso.

Ma Palacio non serviva, no, no.

Da quel momento ha perso il timone della squadra. Dalla sua  ha chiesto gli uomini giusti per poter giocare come voleva lui, che non sono arrivati. Di contro però non può arrivare un signor "non ho mai vinto niente" in una squadra che ha vinto tutto e pretendere di farla adattare ai suoi schemi con giocatori non adatti, nel giro di uno/due mesi. Non sono un nostalgico di Mou, ma il suo più grande merito è stato proprio quello di adattarsi alla squadra che aveva e i risultati si sono visti.

Ha tanto coraggio però l'ormai ex allenatore dell'Inter e non si fa influenzare dalle mille tempeste che ogni giorno da decenni imperversano attorno alla squadra di milano. Una giusta in realtà l'ha fatta ed è stata una mossa veramente coraggiosa e azzeccata: Muntari per Forlan in Inter-Roma. Io sono stato il primo ad insultarlo ma poi mi son dovuto ricredere, perché è stata una mossa da grande allenatore, come ha detto lui più o meno: "Ci stavano schiacciando a centrocampo, avevo bisogno di più sostanza lì in mezzo". Infatti il campo gli ha dato ragione perché L'Inter da quel momento è stata molto più pericolosa. Già il solo nome di Muntari a San Siro crea malumori, figurarsi metterlo per un attaccante alla fine di una partita difficile e fondamentale per la sua carriera.

In quel frangente l'ho apprezzato molto, perché ha dimostrato di avere il polso della situazione. Per il resto però si è fatto male da solo tenendo ostinatamente Pazzini in panchina, l'unico vero acquisto dell'Inter negli ultimi due anni, anche dopo la sua ottima prestazione in Nazionale. Insistendo con il suo modulo, continuando a usare giocatori fuori ruolo. E inoltre non puoi lasciare in panchina Sneijder senza alcun motivo valido.

Ora se ne va, ma i problemi resteranno, perché non è lui il problema. E si vedrà presto.

Ecco, visto che di problemi ce ne sono già, prendetemi tutto, ma non Ranieri.


13 settembre 2011

Per essere precisi le Poste di Saronno (VA).

Faccio spesso acquisti su internet, e mi trovo di sovente ad aver a che fare con il mondo delle spedizioni, corrieri, ecc. Mai avuto un problema, pacchi provenienti dalla Cina, dall'Inghilterra, dall'America, niente è mai andato perduto. In più devo dire che con la Royal Mail britannica, di cui mi sono servito varie volte, ci si può giocare la casa che il pacco arriva sicuro a destinazione e con una velocità impressionante.

Gli unici problemi li ho riscontrati con pacchi provenienti dall'Italia tramite le Poste. Ma non per problemi causati da uffici sparsi per l'Italia, ma per problemi causati dall'ufficio postale di Saronno.

Tralasciamo il fatto che l'orario di apertura sarebbe dalle 8.30 ma  la porta non si apre mai prima delle 8.35, tralasciamo il fatto che mi è capitato di arrivare lì il sabato alle 11.50 (orario di chiusura ore 12.00) e già non permettevano più di mettersi in coda.

Nel loro palmares hanno già lo smarrimento di un pacco contenente quattro camicie, valore totale 100 euro circa. Notare che il pacco era arrivato a destinazione correttamente, solo che la genialità del personale ha fatto sì che invece di metterlo in giacenza, è stato inspiegabilmente spedito a VARESE, dove poi se ne sono perse le tracce.

Oltre a questo hanno anche il quasi smarrimento di un pacco di una amica, un importantissima spedizione dagli Stati Uniti, che era stato abbandonato in un punto imprecisato del magazzino e nessuno riusciva più a trovarlo. Solo l'estrema insistenza dell'amica ha fatto sì che il pacco fosse trovato, altrimenti sarebbe stato rimandato indietro, o forse sarebbe stato spedito a Varese a far compagnia alle mie camicie.

Due settimane fa ho fatto un acquisto su eBay, spedito venerdì 2 settembre. Il giovedì successivo preoccupato perché il pacco non era ancora arrivato (c'era lo sciopero di mezzo per cui immaginavo ritardi nelle consegne), chiedo info al mittente che mi dice che è posta raccomandata e mi da il codice identificativo. Ieri chiamo l'ufficio postale di Saronno e chiedo lumi sulla mia spedizione, mi dicono che è in giacenza dall'8 settembre e che dovrei avere l'avviso. Io riferisco che non mi è stato rilasciato in casella nessun avviso e mi viene detto di andare in posta con il numero di raccomandata, data di spedizione e data di giacenza.

Stamattina mi reco in posta. Riporto le frasi testuali (più o meno) perché ne vale veramente la pena (in corsivo io, fra virgolette il miei pensieri sul momento):

tipico esempio di occhio carfagnato

- Buongiorno, devo ritirare una raccomandata, solo che non mi hanno lasciato l'avviso.

Il commesso guarda il foglio con su scritti i dati della raccomandata,  gli viene l'occhio Carfagnato e mi dice:

- Ma scusi lei è di Saronno?

"partiamo bene". - Sì sono di Saronno.

- Ah... E il postino le ha lasciato questo biglietto nella casella?

"sempre meglio" - No questo l'ho scritto io.

- Eh ma la raccomandata o ce l'ha il postino o è in giacenza.

"maddai? Oppure è a Varese!" -... ... .

- E scusi come fa a sapere che c'è una raccomandata per lei?

"sono veggente..." - La aspettavo, non ho trovato nessun avviso in casella, ho chiesto i dati della spedizione al mittente , ho chiamato qui da voi per chiedere informazioni e mi hanno detto che era in giacenza.

-Eh...ma... ma come? Chi ha chiamato? Chi le ha risposto? Noi non possiamo dire queste cose, chi le ha detto che era qui? Un collega? Chiunque può avere il numero di una raccomandata, noi non possiamo dare informazioni.

- Ho chiamato proprio qui al numero dell'ufficio di Saronno. Ma scusi si può guardare su internet se una raccomandata o un pacco sono in giacenza, e non potete dirlo voi? Il suo collega ha guardato sul servizio dove/quando per dirmi che era qui.

- Eh no noi non possiamo, il mio collega ha sbagliato................... mi da un documento?

"forse ce la facciamo...". Gli do il documento lo guarda, lo riguarda, riflette un po' sul fatto che forse il continuum spazio-tempo dell'universo può essere compromesso dal mio fogliettino con i dati della raccomandata. Decide di rischiare. Mi guarda, poi finalmente si decide e va a vedere.

Guarda il primo pacco di buste, a ogni busta tira una sbuffata, borbotta qualcosa, torna al banco, riguarda la carta riguarda il foglietto, rimane per un momento ad attendere il modificarsi dello spazio-tempo, ma non succede nulla. Si rialza, sbuffa, ritorna all'armadio guarda il secondo pacco di buste, tutte piccoline...

- Guardi che deve essere una busta grande...

Poi ci si mette pure la collega.

- Prova a guardare fra quelle in contrassegno che stamattina sono impazzita a cercarne una...

- Non è in contrassegno!

-ah non è in contrassegno?

-NO!

Intanto l'altro non mi caga, ritorna riguarda la carta di identità, il foglietto, va a vedere un altro pacco scuotendo la testa, si rimette a guardare fra le bustine verdi delle multe...

- Guardi che è una busta grande!

- Eh sì... una busta grande... Borbotta supponente.

- Ma vorrà sapere meglio lei di me di com'è fatta la busta?!

Alla fine, guarda le uniche tre buste grandi imbottite che ci sono nell'armadio e magicamente spunta fuori la mia.

Profondamente deluso dall'averla trovata, perchè probabilmente non si spiega come si possa trovare una raccomandata con il numero scritto sul foglio e non sull'avviso. Me la porge, stampa la ricevuta, riguarda l'indirizzo sulla busta, l'indirizzo sulla carta di identità...

"Ecco lo sapevo..."

- Ma lei non abita più a questo indirizzo?!

- NO! Ho cambiato casa!

Intanto si riguarda ancora un po' la carta di identità ricontrolla l'indirizzo sulla busta, intanto io mi premunisco e tiro fuori la patente con l'indirizzo giusto, ma per fortuna non ce n'è bisogno, anche perché gliela avrei lanciata in mezzo agli occhi come i bigliettini di Occhi di Gatto.

Alla fine ho avuto la mia busta contenente una banalissima mantellina antipioggia per adare in bici. Quando sono tornato a casa non ho trovato mia madre da giovane che mi chiamava Levi's Strauss, quindi tutto ok, potete stare tranquilli, l'universo rimane al suo posto.

Ma se non avessi avuto un minimo di esperienza, se non mi fossi interessato, e non mi fossi mostrato fermo e sicuro con i miei dati sulla spedizione, avrebbero aggiunto un altro bel trofeo al loro palmares... E chissà quanti ce ne sono ancora che io non so...

1 settembre 2011

Sono tornato da qualche giorno da NY e tornando a Milano ho avuto la nettissima impressione di essere ritornato in un mondo arretrato, sorpassato, finito, fermo su se stesso, un mondo di provincia fatto di invidie e gelosie, di frustrazioni, di menefreghismo, di furbizia.

Non è la solita esterofilia, è la realtà.

Non lo dico per i servizi, per quello che offre la città, per sua la spettacolarità, per quella grande montatura che è il sogno americano o per quella grande boiata del patriottismoche serve solo ai presidenti quando vogliono prendere in giro il loro popolo in campagna elettorale (vedi l'esito della partita: Obama VS Osama) .

Lo dico per quello che ho visto per le strade , per l'attitudine delle persone, per la mentalità, il modo di interagire.

Si impara di più stando qualche giorno lì, che stando qui a fare mille discorsi sul senso civico, l'onestà, l'ecologia, la correttezza, il vivere bene, la comunità ecc ecc.

E' risaputo che quando un turista si ferma a guardare una cartina c'è sempre pronto un newyorkese a chiedere "Do you need help?". Questo l'ho provato in prima persona, e vale sia per l'uomo in carriera che esce dall'ufficio nei pressi del Rockfeller Center, che per il ragazzo che vive a Long Island e sta scendendo in metropolitana.

Un italiano potrebbe pensare "Sì vabbè lo fanno con i turisti per fare bella figura...", invece la realtà è proprio questa. La realtà, o almeno quello  che si può notare nei piccoli gesti quotidiani, nella vita di strada, è che tutti sono disposti a darsi una mano, sono disposti a fare la loro parte per vivere bene e in armonia con gli altri 8 milioni che vivono in città, bande di delinquenti escluse naturalmente.

Per strada si può vedere un lavoratore uscire dall'ufficio in giacca e cravatta per la pausa pranzo e tuffarsi a raccogliere una cartaccia per terra; si può vedere un giovane rampante del financial district sedersi a giocare a scacchi in un parchetto con un pensionato o con un operaio o con un homeless; si può vedere un afro che sta mettendo il grasso alla catena della sua bicicletta chiedere a un asiatico di passaggio se per caso anche lui ha bisogno, per poi metterglielo. Si può vedere un ragazzo con cappello da baseball a ore 11, in metropolitana con figlio piccolo al seguito, rovesciare un paio di gocce di latte sulla maglia di una signora e chiedere mille volte scusa offrendo anche dei soldi per la lavanderia, con un umiltà che raramente ho visto. Si può vedere un ragazzo che ti dice di alzarti per far sedere un bambino sconosciuto (probabilmente appena uscito dall'ospedale con tanto di mascherina da dottore), di fianco alla sorellina. Si può vedere una ragazza che sta tornando a casa dal lavoro, che ti regala dei gadjet della swatch solo perché ha visto che lo indossi e ha piacere a scambiare due parole con te.

Queste sono solo alcune delle cose che possono dare l'idea della mentalità dei newyorkesi, ma non è il mondo incantato, c'è anche un'altra faccia della questione.

Non sono assolutamente tollerati errori o mancanza di rispetto. Chi sbaglia paga, non c'è va be, ma sì, la prossima volta. Se qualcuno sbaglia viene mandato candidamente a quel paese, in faccia, senza nessun tipo di problema. Non c'è tolleranza da questo punto di vista.

Si dice sempre: se vuoi bene a qualcuno digli quando sbaglia, beh... a New York pare che si vogliano molto bene.

Tutti i pedoni passano col rosso quando la strada è libera, ma se si è distratti o si sbagliano i calcoli e arriva una macchina o un ciclista, stai sicuro che non sarà lui a rallentare, ma tu a dover correre. Se un automobilista rimasto bloccato in coda si muove mentre qualcuno attraversa sulle strisce, stai sicuro che ci sarà qualcuno che gli picchierà una manata sulla carrozzeria. Se una signora anziana entra in metropolitana e il ragazzo davanti a lei si siede per primo, stai sicuro che non rimarrà in piedi senza dire niente. Così come quando un ciclista entra in metropolitana urtando leggermente con la ruota la gamba di una signora, stai certo che glielo farà notare.

Non hanno paura di dire le cose in faccia, non hanno paura di parlare con gli sconosciuti, non hanno paura di chi è diverso, sono sereni, ci tengono a vivere bene, sono pronti a difendere il loro spazio ma anche quello degli altri, non hanno paura di mostrare il loro disappunto, non hanno paura di dire "hai sbagliato". Poi avranno altri mille difetti, altri mille problemi, ma questo è un gran pregio.

Qui invece si tende sempre a far finta di niente, a lasciar correre, a fregarsene. Abbiamo in testa un concetto di tolleranza che è inconcepibile per un popolo civile. Siamo abituati a lasciar andare tutto allo sfascio senza proferire parola. Da ragazzino quando mettevo i piedi sul sedile del treno, arrivava sistematicamente "l'anziano" a dirmi "maleducato, non si mettono i piedi sul sedile", ora non c'è più nessuno che ha il coraggio di farlo, io per primo, e credo che questa sia la vera chiave del nostro declino, del nostro tracollo verticale. Diciamo sempre cose del tipo "eh si ma quello è raccomandato", "ma quello ruba", "ma quello non fa neanche uno scontrino", ma poi quando ce lo fanno sotto il naso quasi nessuno ha  il coraggio di dire niente, si accetta la scorrettezza, si tende a far finta di niente e a pensare "non è affar mio".

Sarebbe tutto molto più semplice e molto più trasparente se avessimo il coraggio di dire "hai sbagliato".

Per ultimo, essendo mountain biker dell'ultim'ora della domenica, la prima cosa che ho notato è stata  la quantità di biciclette che circolano per le strade (e che biciclette!). Mi son chiesto, ma non era la città delle macchine questa? Pensare che questi fino a qualche anno fa non sapevano quasi com'era fatta una bici e adesso moltissimi la usano come principale mezzo di trasporto con ogni condizione atmosferica in una delle città più grandi del mondo, è incredibile. A Milano? Va be, scherzavo.

Prima di andarci non avevo mai capito veramente il senso di quel ritornello, ma hanno ragione gli Interpol, New York Cares.


18 luglio 2011

Cari ragazzi,

siete uno dei miei gruppi preferiti, sono cresciuto con la vostra musica. S.C.I.E.N.C.E. e Make Yourself mi hanno aperto mondi musicali che non avrei mai esplorato se non ci foste stati voi. Brandon sei uno dei miei riferimenti vocali, Mike sei uno dei più geniali chitarristi e creatori di riff che abbia mai sentito, Jose  darei un braccio per avere un batterista come te nel mio gruppo, Ben hai un tocco sul basso che è sublime, Chris tante volte mi sembri inutile, ma altre hai delle idee che diventano la parte  peculiare dei pezzi. Vi ho sempre sostenuti, anche quando i critici hanno iniziato a stroncarvi con Morning View (disco meraviglioso che solo a distanza di anni è stato capito) e non hanno mai smesso, nonostante A Crow Left on the Murder e Light Granades siano due dischi secondo me incredibili, con arrangiamenti,  riff, linee vocali e soluzioni che il 90% delle band mondiali si sognano di notte.

Ma ora è arrivato questo If Not Now, When?  e non posso più sostenervi, perchè "vi voglio bene" e 'stavolta vi devo dire che avete fatto una cazzata.

Perché avete fatto un disco palesemente pop, e va bene, si cresce e si cambia, e non vi chiederei mai un disco cattivo come Science, so che non siete più quelli lì, e io apprezzo il cambiamento, apprezzo i gruppi che non hanno paura di evolversi come voi.

Ma qui mancano i guizzi, manca il genio, manca la volontà di fare qualcosa che "venga fuori". Che poi come è palese l'indirizzo pop del disco, è anche palese che voi stiate cercando un successo planetario che stenta ad arrivare, è palese che voi vogliate diventare una band non più da palazzetto, ma da stadio. Ci state provando da anni, con dei singoli confezionati apposta per acchiappare pubblico, e avete fatto bene, ve lo meritate, ma così rovinate tutto.

Intendiamoci, ci sono delle canzoni bellissime, Friends and Lovers è forse il "lento" più bello che abbiate mai fatto, anche Adolescents è un pezzo bellissimo, Defiance, tutte più o meno sono delle bellissime canzoni, ma se non ci fosse la voce di Brandon, e ci fosse un arrangiamento "all'italiana" forse sarebbero dei pezzi buoni per un disco di Nek.

Lo ammetto, l'ho ascoltato solo una volta, ma scrivo subito perché so che al terzo ascolto il cuore prenderà il sopravvento sulla ragione, e inizierò ad ascoltarlo in continuazione e mi piacerà sempre di più. Ma oggettivamente mi aspettavo qualcosa in più da voi.

Arrivo anche a pensare che non siate più capaci di fare la differenza, di usare quelle soluzioni semplici ma incredibili che da sempre vi hanno contraddistinto. Poi verso la fine del disco arriva Switchblade e mi fate incazzare, perché invece siete ancora capaci di farlo e lo fate da dio, e allora perchè per quasi tutto il disco sento solo una batteria e un basso che fanno il compitino e un tappeto di tastiere?

Abbiamo capito che la voce di Brandon ha acquisito sempre più importanza e, diventando sempre più melodica e espressiva, ha chiesto più sacrifici agli strumenti per potersi esprimere a pieno, ma così è troppo.

Soprattutto... dov'è la chitarra?!

Non si può relegare un uomo che ha creato un riff come questo a fare il tappetino con il piano o le tastiere o a fare da accompagnamento con la chitarrina.



A guardare la copertina del disco sembra quasi che voi siate caduti da quella fune, e vi siate adagiati a terra, ma spero tanto di sbagliarmi, per questo disco passi, perché comunque mi consolerò con delle grandi canzoni, ma per il prossimo serve qualcosa di più... e non vi azzardate ad uscirvene fuori poi con dichiarazioni del tipo "questo sarà il nostro disco più rock", o "con questo disco vogliamo tornare alle origini", perché quello significherebbe la fine. Io non voglio gli Incubus degli inizi, vorrei degli Incubus nuovi, vibranti, anche senza distorsioni e senza più nulla di rock, ma pronti a usare soluzioni interessanti, non convenzionali, pronti a osare.

Spero comunque che questo disco vi porti il successo che meritate, perché... ve lo meritate.

13 luglio 2011

Diciamoci la verità questo festival è partito male ed è finito peggio.

Cominciando dal nome: "Flippaut Alternative Reload" uno dei nomi più brutti che abbia mai sentito per un festival.

Previsto all'"Arena", ci vuole un gran coraggio per chiamarla arena, di Rho, Claudio Trotta di Barley Arts, a poche settimane dal festival ammette (con una sincerità da cui dovrebbero prendere esempio molti altri promoter), che si aspettavano di vendere molti più biglietti e per questo la manifestazione verrà spostata al meno capiente Castello Sforzesco di Vigevano.  Credo sia stata la mossa che ha affossato definitivamente le vendite dei biglietti, infatti il castello era quasi per metà vuoto. Non è colpa loro, a Milano non ci sono alternative (Pisapia?). Il prezzo non era eccessivo se lo confrontiamo con altri festival, e se guardiamo i gruppi in scaletta è anche giustificato, non sono proprio nomi da niente. Ma il problema vero è che il Flippaut è arrivato alla fine di un mese e mezzo troppo pieno di eventi. La gente che va ai concerti più o meno è sempre la stessa e non ha risorse finanziarie infinite, quindi fa delle scelte e la maggior parte non sceglie un festival di martedì a 55 euro a Vigevano. Che per quanto bella sia, arrivarci e tornare a casa, con quasi tutte le macchine che al ritorno si sono riversate  sulla Vigevanese in direzione Milano, non è il massimo. La fine della serata è stata poi imbarazzante, con un impianto che andava in black out ogni 5 minuti, la band che non poteva fare molto, anzi ha fatto anche troppo.  Marylin Manson avrebbe sfasciato tutto per molto, molto meno, bastava solo un problema alle luci, invece loro hanno atteso ogni volta con pazienza il ritorno della corrente, senza dire troppe stronzate, ripartendo ogni volta con la stessa carica di prima. Poi si parla di crisi dei festival, ma secondo me ci sono motivazioni ben precise e risolvibili con poco, delle quali magari tornerò ad occuparmi più avanti.

Ma veniamo alla serata. Contavo di arrivare almeno in tempo per vedere un pezzo di Verdena, e avrei voluto tanto vedere i Glasvegas, ma causa lavoro, traffico, ricerca parcheggio faticosa, arrivo quando si stanno preparando i Chromeo, per cui mi scuso se non posso descrivervi cosa è successo prima.

Molto divertenti, bravi a tenere il palco, con dei pezzoni che ormai sono classicissimi da dancefloor. Non hanno però quella capacità di trascinare quell'autorità che serve per creare il delirio... per trascinare il pubblico che si risparmia aspettando gli Strokes, ce ne vuole tanta di autorità.  Essendo la loro prima volta in Italia, sparano tutte le loro cartucce più grosse senza risparmiare e anche a chi palesemente si disinteressa di quello che sta succedendo sul palco, il piedino inizia ad avere vita propria.  Si spendono in un set oserei dire simpatico, con un Tenderoni a chiudere il riscaldamento e ad aprire le danze vere, e un Night by Night (pezzo fantastico secondo me) a tirare in piedi buona parte della gente seduta.

Forse la loro caratteristica è anche la loro debolezza però, perché ho avuto la sensazione che la componente live del duo, chitarra, percussioni varie, sinth con vocoder di derivazione daftpunkiana, faccia perdere la botta ai loro pezzi, gli inserti di percussioni fanno sì spettacolo, sono folkloristici e fanno divertire il pubblico ma secondo me se il tuo scopo è far ballare la gente devi andare dritto con un binario, pochi cazzi e tanta cassa dritta. Comunque il loro sporco lavoro l'hanno fatto molto onestamente.

E poi gli Strokes.

Quando i critici grandi e piccoli la finiranno di stroncare tutto ciò che è uscito dopo "Is This It", come compenso per l'osanna globale che hanno ricevuto per il primo disco sarà sempre troppo tardi. Perché checché se ne dica, è da 10 anni che continuano a sfornare grandi pezzi.

Questo è un gruppo che fra un decennio verrà considerato uno dei gruppi rock fondamentali per la storia. Loro hanno salvato il rock dal millennium bug, se non ci fossero stati loro, tutto l'hype che c'è oggi per l'indie, per la nex big thing su cui si basa tutta l'industria discografica che produce rock, non sarebbe mai esistito. Non sarebbero mai esistiti (discograficamente e come livello di audience) i Kings of Leon, gli Editors, Interpol, Artic Monkeys, Franz Ferdinand, Arcade Fire ecc ecc.

Si ok ma dal vivo?

In concerto sono una delle band con più carattere che mi sia mai capitato di vedere, per quanto siano considerati dei fighetti, l'apparire non è una delle loro priorità, anzi è tutta sostanza, così come l'atteggiamento sul palco è tutt'altro che da fighetti. Li ho visti Al Traffic qualche anno fa e al Flippaut ieri sera, e posso dire (e forse l'avevo già detto) che sul palco hanno quell'aura che sprigionano solo i grandi. Quella cosa che anche se non hai idea di chi siano e li vedessi sul palco della Sagra della Focaccina di Olivola di Aulla, diresti "Questi spaccano il culo", senza neanche averli sentiti suonare.

I suoni anche dal vivo mantengono le loro caratteristiche peculiari. Ieri erano quasi perfetti fino al crack. La batteria compressa, con il rullante cartonato e la voce filtrata dal Blackberry di Casablancas si riconoscerebbero anche se facessero Caruso al contrario. E anche se Julian è oggettivamente scarso a cantare, ci scherza anche lui sulle sue qualità canore, nonostante le capacità tecniche limitate riesce a dare un impronta uno stile e un'interpretazione unici. Le chitarre sono quanto di meglio si sia sentito nel rock degli ultimi 20 anni, se escludiamo i Radiohead, in quanto ad arrangiamenti, botta e risposta, armonizzazione. I giri di basso non sono da meno, il giro Is This It dovrebbe essere nominato patrimonio dell'umanità dall'Unesco.

Poteva essere un concerto memorabile, la partenza è stata  da oscar, basti dire che nei primi 5 pezzi c'erano Reptilia e Last Nite, roba da lanciare via i vestiti. E poi Taken for a Fool che secondo me è uno dei loro pezzi più belli di sempre. Perfetti, cazzuti e con una botta da paura. Da lì poi però non c'è stato verso. Non si può neanche parlare di concerto, non ha senso parlarne. Se non per elogiare la gentile ed estrema professionalità del gruppo, che come ho detto prima, avrebbe potuto anche andarsene dopo il secondo tentativo. Invece rispettoso del pubblico è rimasto sul palco cercando il contatto e cercando di portare a casa almeno il minimo sindacale nelle finestre di corrente disponibili:  Scaletta falciata, e in sostanza un 45 minuti (a dir tanto) di concerto suonato, con una Take it or Leave it rabbiosa per salutare quel palco maledetto.

Non mi esprimo nel merito del disastro, perché ieri si è sconfinato, con gente che chiedeva il rimborso del biglietto, e minacciava botte ai tecnici del suono. Mi sembra esagerato. Sta di fatto che è stato rovinato qualcosa che poteva essere grandioso, memorabile, uno dei capitoli più belli di quest'estate e trattandosi di arte, questo è un grande peccato.

Giustamente molta gente era arrabbiata ed esigeva delle spiegazioni che non si sono fatte attendere, cito da Rockol.it: "Il problema si è verificato a causa dell'alimentazione dell'audio: tecnicamente non sappiamo e non sapremo mai da se è dipeso dall'Enel che ci distribuisce l'energia o dai tecnici degli Strokes", ha dichiarato Claudio Trotta, "Ma in realtà non è colpa di nessuno, sono cose che succedono: diciamo che siamo stati sfortunati e basta. E' un peccato, perché a parte quello la giornata è stata perfetta".

Piccolo appunto finale, ottimi gli stand con le birre artigianali al posto del solito Heineken cocktail (3 parti acqua e una parte birra), ma qualche cassa in più dove fare lo scontrino non sarebbe male.

6 luglio 2011


Io sono interista da sempre, tifoso silenzioso e poco avvezzo a grandi proclami, ma costante e sempre fedele. Credo però di essere più un amante dello sport che tifoso e per questo cerco di avere sempre una visione il più possibile imparziale delle cose. Seguo il calcio più o meno come si faceva venti anni fa, quando si chiedeva all'uomo con la radiolina all'orecchio "scusi quanto fa l'Inter?": seguo poche partite in TV, mi piace più che altro leggere la Gazzetta, perché credo che abbia mantenuto ancora po' il gusto della bellezza dello sport, del gesto atletico, dell'impresa; cosa che le trasmissioni TV non hanno più.

In questi giorni si fa un gran parlare della questione scudetto 2006. Si stanno sprecando tonnellate di parole, di ipotesi, dichiarazioni, distinguo ecc. Anche io voglio spendere due parole. Quello che mi fa più riflettere è quel numero: 2006. Dopo 5 anni siamo ancora lì, bloccati a quell'anno. Come se non fosse successo nulla nel frattempo.

L'impressione che ho è che dopo che gli Agnelli si siano riappropriati totalmente della loro creatura con Andrea alla presidenza, non si sia fatto altro che fare pressioni per tornare sulla questione Calciopoli, tanto che tutto il resto è stato trascurato, mercato, gioco, risultati. Mentre sono ancora tutti lì a rivendicare su questo maledetto scudetto del 2006 la Juve ha chiuso un campionato a dir poco disastroso, forse il peggiore dopo calciopoli in rapporto all'investimento fatto a inizio anno e anche le premesse per il prossimo non sono ottime.

Ma la cosa che più di tutte mi fa pensare e che fa capire a che punto il marcio che c'è in Italia si è insediato dentro ognuno di noi, è l'arma di difesa che è sempre stata imbracciata da tutti gli Juventini, dal più illustre all'operaio al bar. Nessuno ha mai cercato di difendere i dirigenti della Juve, di provare la loro innocenza, da un lato perché era impossibile viste le prove allucinanti che sono venute alla luce, dall'altra perché invece di chiedere scusa, di ammettere gli errori, sembra più importante dimostrare che anche gli altri hanno rubato, piuttosto che dimostrare che tu non hai rubato, o ammetterlo e voltare pagina.

In Italia, invece di condannare chi ha rubato lo si difende, usando come scusa la frase: "Eh, ma anche loro però rubano!". Il fatto che il tuo vicino abbia rubato una caramella non legittima te a rapinare le banche e viceversa, non è che se tutti rubano, allora automaticamente dal torto si passa alla ragione. Se tutti rubano, sbagliano tutti, non si viene automaticamente assolti.

Ora si è passati a uno step successivo, davanti all'accusa di essere dei ladri, si nega l'evidenza o si minimizza, e immediatamente si addita qualcun altro come ladro per distogliere l'attenzione.

Ogni tanto sento ancora dire "Eh... ci voleva Moggi", "Moggi sì che ne capiva di calcio..." e altre frasi stupide tipo queste, manco fosse il Duce. Si sta parlando di uno che sequestrava gli arbitri negli spogliatoi, che comprava schede telefoniche estere da dare a arbitri e designatori per evitare di essere intercettato. Uno che diceva a Cannavaro di giocare male all'Inter così l'anno dopo sarebbe passato alla Juve, uno che era capace di pilotare 5 risultati in una domenica, compresi ammoniti e espulsi, che pilotava le trasmissioni serali, che controllava la GEA, allora la più grande società di gestione dei calciatori, che venivano anche ricattati da lui, minacciando il mancato passaggio a una grande squadra, o stroncando la carriera di qualcuno di loro che non obbediva. Era infiltrato in ogni piega del sistema calcistico, non mi stupirebbe se un giorno venisse fuori che pagava anche i giardinieri dei campi. Con questi mezzi a disposizione chiunque ne "capirebbe" di calcio.

Le altre frasi assurde che sento sono "Eh ma la Juve avrebbe vinto comunque sul campo anche senza Moggi", ma allora che motivo c'era di inventarsi tutta quell'impalcatura di imbrogli se per vincere bastavano i giocatori?

Che poi non fosse da solo è vero, ma in ogni caso era lui il principale manovratore. Quest'aria di revisionismo che già aleggia, che lo vuole dipingere come una vittima del sistema, è un po' ridicola.

Ora per la serie "Eh ma anche lui però!" si sta cercando in tutti i modi di portare allo stesso livello di Big Luciano l'ex presidente dell'Inter, Facchetti. Perché attaccando una colonna di onestà come lui si può dire "Beh se anche lui lo faceva, allora vale tutto!". Se illecito c'è stato è giusto che l'inter venga punita in proporzione. In ogni caso, un'eventuale condanna all'Inter non restituirebbe nulla alla Juve, se non la magra, infantile, vigliacca e assolutamente errata consolazione di dire "Visto? Anche loro rubavano". Il famigerato scudetto 2006 è solo una scusa, un simbolo, quello che preme agli juventini è la prova che tutti rubavano e quindi loro non hanno fatto niente di particolarmente grave.

In questo momento lo "juventino medio" purtroppo rappresenta ciò di cui l'Italia dovrebbe disfarsi una volta per tutte. L'ammirazione per i furbi e i delinquenti, la passione per i favori personali, il piacere senza rimorso di essere vincitori barando, il non rispetto delle regole, l'omertà, la mancanza di coraggio nell'ammettere gli errori e nel prendersi la responsabilità delle cose scaricandola sugli altri, usare l'illecito altrui per giustificare il nostro (Tabacci per esempio è stato un maestro in questo quando è stato nominato assessore di Milano), il voler portare tutto ciò che si ha intorno nella melma per non ammettere di esserlo (Berlusconi lo sta facendo da vent'anni). Tutte cose in cui l'Italia è prima in classifica ma farebbe un gran bene a sé stessa se rinunciasse a questi primati. 

Forse sarebbe meglio guardare avanti, sia da juventini che da Italiani. Forse sarebbe meglio dire "Sì, abbiamo rubato e siamo dispiaciuti e pentiti, non ci interessa cosa hanno fatto e cosa fanno gli altri, noi abbiamo sbagliato,  ma ora giuriamo di essere corretti."

Rifletteteci, cari amici juventini, visto che durante la settimana quest'anno non avrete niente da fare...

29 giugno 2011


Nel fine settimana, dando un'occhiata a quello che è in questo momento il miglior canale di tutto il digitale terrestre, ovvero Rai 5, all'interno di "Cool Tour", prima Jeff Bezos (fondatore di Amazon) ha dato per scomparsi i vinili, relegandoli a materiale solo per collezionisti. Poi il conduttore Carlo Massarini, in un bellissimo servizio-intervista a Vito Liverani, il più grande fotografo sportivo italiano e non solo, dava per totalmente scomparsa la fotografia su pellicola. Direi che in tutti e due i casi si sbagliano di grosso. Partiamo dal secondo.

Per molti,  la parola "rullino" sembrerà catapultata fuori dai racconti "di una volta" dei genitori o dei nonni. In realtà per me il rullino, la pellicola, da qualche tempo è l'unico ( se non consideriamo rarissimi scatti di emergenza con il cellulare) supporto che uso per fissare le immagini.

Sono stato prima un piccolo fotografo analogico, con le classiche macchine automatiche compatte degli anni '80-90. Poi dopo una lunga pausa, ho comprato una macchina digitale, compatta anche questa. Mi sono divertito molto all'inizio, cercando di usarla al massimo delle sue potenzialità, e ci ho tirato fuori delle foto di tutto rispetto, niente di clamoroso, ma mi sono tolto delle soddisfazioni. Poi è venuta la moda delle famigerate reflex digitali.

Sono sempre stato convinto che un fotografo, se è veramente bravo, riesce a tirar fuori una bella fotografia sia con un'usa e getta che con una reflex da cinquantamila euro. Per questo prima di passare a un missile terra-aria, ho sempre creduto fosse importante fare esperienza con mezzi più limitati, per misurare le reali capacità del fotografo.

Ora invece, prima ti compri una reflex e poi diventi automaticamente fotografo.

Perché diciamo la verità, le possibilità che ti da una reflex digitale, soprattutto se usata in automatico o in preset (come fa la maggior parte dei "fotografi"), sono talmente tante che chiunque riuscirebbe a tirar fuori qualcosa di decente. Perché si hanno così tanti scatti a disposizione e così tante possibilità di ritocco e correzione, in pre e post produzione che lo scatto in sé perde importanza.

Certo, poi c'è la sensibilità artistica del fotografo che fa la differenza, ed è l'unica cosa conta veramente secondo me. 

Ma chi non ce l'ha, può benissimo bilanciare le sue carenze con tutti i mezzi che la tecnologia mette a disposizione. 

Io sono un grafico, e proprio per questo non ho mai ritoccato una mia foto, neanche il contrasto o la luminosità, nulla. So di essere integralista, ma con le capacità e l'esperienza che ho accumulato nell'uso dei programmi, da una mia foto potrei tirarci fuori qualsiasi cosa. Per questo quando scatto, non mi interessa vedere le mie capacità di grafico, ma di fotografo.

A me interessa il piacere di guardare una mia foto e sapere che è stata fatta solamente con la capacità di mettere insieme i fondamentali della fotografia con la mia sensibilità artistica.

Ho anche provato alcune volte a usare una reflex, ma tutte queste possibilità di intervento anche non usandole, ma sapendo che ci sono, mi tolgono il gusto del fotografare.

Aggiungiamo anche il fatto che non ho tempo né voglia di mettermi a ritoccare 100-200-3000 fotografie ogni volta.

Anche in analogico si possono modificare le foto: con i filtri, con il tipo di pellicola, con le tecniche di stampa e di sviluppo. Ma le possibilità sono decisamente minori e bisogna avere conoscenza dei metodi, esperienza, manualità e bisogna essere bravi a capire come si può intervenire per avere un risultato migliore, non si hanno molti tentativi a disposizione. Oppure facendo delle scansioni successivamente, si può fare di tutto, ma questo esula dal processo analogico.



Un giorno, poco più di un anno fa, leggo di una mostra mercato di fotografia/collezionismo in un paese vicino al mio e decido di andare a dare un'occhiata per vedere cosa c'è. Com'era intuibile il mercato era occupato per lo più da anziani appassionati che offrivano le loro collezioni di vecchie macchine fotografiche. Facendomi consigliare da uno di loro, per la modica cifra di 30 euro, compro una Voigtlander VITO B.



Niente esposimetro, niente telemetro, TOTALMENTE manuale.

Da qui inizia la mia avventura come fotografo analogico.

Devo dire che fin dal primo momento le sensazioni che ho provato scattando con questa macchina sono state molto più appaganti che scattare con una digitale.  Il corpo di metallo, la meccanica, il rumore dell'otturatore, la carica della pellicola, I particolari curati, il peso, l'aspetto di questa macchina danno proprio l'idea di un qualcosa realizzato con una cura riservata solo agli oggetti creati per durare nel tempo.

La manualità che necessita questo oggetto per essere messo in funzione è molto affascinante, bisogna impostare la distanza, cercando di calcolarla a occhio, l'apertura, i tempi, per ogni impostazione bisogna riflettere, fare piccoli calcoli, concentrarsi su quello che dobbiamo fotografare. E' un modo di fare foto che ti assorbe totalmente, perchè sai di non avere molti tentativi a disposizione, a meno di non voler buttare via un rullino e quindi soldi per fare delle prove, e sai di non poter vedere subito il risultato di quello che hai fatto per correggerlo in corsa.

Proprio sabato sono andato a ritirare un rullino che è rimasto caricato per molto tempo e che ho usato in diverse occasioni. L'aspettativa, l'emozione di ritirare le tue stampe per ritrovare le foto che avevi fatto settimane o mesi fa è inspiegabile per chi è abituato con una digitale. Ricordarti i momenti in cui le hai scattate, il modo in cui avevi impostato la macchina e vedere il risultato a distanza di tempo, pensare alle correzioni che avresti potuto fare. A volte da dispiacere perché magari una foto su cui ti eri impegnato particolarmente non è venuta come volevi.  Altre volte invece, quando tutto é venuto come pensavi, o quando hai fatto una foto non essendo sicuro del risultato che invece risulta quasi perfetto, da una soddisfazione infinita. La cosa bella e utile è che comunque con ogni foto realizzata impari qualcosa di nuovo, perché non puoi cestinarla subito e rifarla, rimane lì a mostrarti cosa hai sbagliato ed è uno stimolo grandissimo a fare meglio la volta successiva per non buttare via pellicola, impari ad essere più preciso, ad avere più attenzione. Una fotografia su pellicola stampata, a mio parere, ti insegna molte più cose che mille tentativi fatti con una digitale.

Per questi motivi poi ho aggiunto alla collezione la vecchia reflex Pentax  di mio padre, completa di ogni accessorio, che uso per situazioni particolari, in cui si necessita un grandangolare o uno zoom; ultimamente poi mi sono lasciato affascinare dalle biottiche e ho acquistato alla modica cifra di 40 euro una Lubitel 2.



Cercando informazioni poi ho scoperto che non sono l'unico a pensarla così a proposito di analogico. C'è una nutrita schiera di fotografi che amano e usano le vecchie macchine, si trovano un sacco di forum, su flickr e su altri siti a riguardo. Inoltre c'è una vera e propria comunità internet di appassionati e utilizzatori di macchine Lomo, all'interno della quale ci si scambiano idee, metodi, trucchi, consigli   (grazie soprattutto a scelte di marketing molto azzeccate e un'ottima strategia di comunicazione). E' un mondo in continua evoluzione e  in cui vengono presentate con cadenza periodica nuove macchine con soluzioni fantasiose e divertenti per chi ama sperimentare nuovi modi di fotografare. Queste sono macchine fatte totalmente di plastica, con componenti tecnici di mediocre qualità. Paradossalmente questa qualità non eccelsa è la loro forza perché regalano effetti particolari che con altre macchine è impossibile avere. A fronte di questo standard però i prezzi sono decisamente troppo alti, giustificati solo dal fatto che avere una Lomo fa figo.

Io preferisco decisamente il recupero di vecchie macchine, infatti la  Lomo che ho comprato appartiene alla prima generazione (ed è una delle biottiche che costano meno), non a questo nuovo trend.

Con tutto questo non sto dicendo che l'analogico sia meglio, perché sarei oltremodo anacronistico, nostalgico e refrattario alle nuove tecnologie (sono tutto l'opposto in realtà). Il digitale ha mille vantaggi rispetto all'analogico che non sono stato ad elencare perché sono sotto gli occhi di tutti.

E' più un confronto fra la ricerca sfrenata della perfezione e il fascino delle imperfezioni che solo una cosa vera può avere. La pellicola, per un certo modo di fare foto, per chi ricerca il lato artigiano dell'arte, per chi vuole imparare veramente cos'è la fotografia, per chi ha ancora il sapore, la pazienza e il piacere dell'attesa, della lentezza, è ancora un validissimo supporto su cui fotografare. Inoltre non è così difficile iniziare, basta cercare su ebay o a un mercatino una macchietta a poco, prendere un rullino, si trovano ancora nei supermercati, dai fotografi, e se ne trovano molti dove andare a svilupparlo.

Per tutti gli altri ci sono le reflex digitali.
Già lo dissi ben tre anni fa in questo articolo:

http://www.rockon.it/1712/musica/il-supporto-ha-bisogno-di-supporto/

Ora la situazione è cambiata ma non di molto.

Il vinile, per quanto il guru di Amazon sostenga il contrario, si è affermato stabilmente come supporto alternativo per ascoltare musica. Certo i numeri non sono altissimi, ma ormai tutti i gruppi, tutti gli artisti, all'mp3 e al cd, affiancano un'edizione anche su vinile. I motivi del successo potete leggerli nell'articolo citato sopra.

Per fortuna ora è un po' più stabile il mercato, non ci si inventa più lettori a forma di incudine. Inoltre come avevo anticipato, nel momento in cui il CD è tornato ad essere un supporto esclusivamente musicale, si è stabilizzato anche lui come formato alternativo al digitale, e in alcuni casi  sono addirittura aumentate le vendite rispetto al baratro degli anni scorsi.

Ma per quel che riguarda il vinile, non si tratta di collezionisti, o almeno non solo.

Alcuni elementi che possono aiutare a capire la diffusione del fenomeno:

Per WOW dei Verdena sono state stampate circa 500 copie in vinile non distribuite e non pubblicizzate se non con un piccolissimo post sulla fanpage. Sono state fagocitate in meno di due settimane dall'uscita (non so se poi lo abbiano ristampato).

Ai concerti di gruppi medio-piccoli, nei piccoli festival, nelle serate live, ormai è consuetudine trovare un banchetto che vende dischi, soprattutto vinili. Ormai si vede spesso gente ai concerti con sottobraccio un vinile comprato al banchetto di turno. I gruppi stessi, ai loro banchetti offrono il vinile del loro disco che non si trova nei negozi.

Se date un'occhiata su Amazon nella sezione apposita, in molti casi sui dischi appena usciti (si parla sempre di band e  artisti medio piccoli, tipo The Kills o Dredg ora mentre scrivo), troverete scritto "only 3 letf in stock" "only2 left in stock" "not in stock".

Jack White, voce e chitarrista dei White Stripes e in mille altri progetti, ha aperto la sua casa discografica che produce solo vinili.

Ma diamo un volto a questi cosiddetti "collezionisti".

In realtà sono quelli che seguono il sottobosco musicale, quelli che si vanno a cercare i gruppi sconosciuti ai più, che seguono concerti nei piccoli locali, sono gli appassionati di musica.

Se li rapportiamo alla popolazione che ascolta musica, sono ben poca cosa. Ma se li rapportiamo alla popolazione che compra musica, qui le cose cambiano. Perché gli appassionati sono ormai quasi l'unica categoria che compra ancora musica, periodo natalizio escluso. Magari ne scarica, ma rispetto alla media ne compra anche molta. Non considerando il download legale, alzi la mano chi scarica abitualmente da iTunes o simili, rimangono i cd e i vinili.  E il vinile, come dicevo già nel vecchio articolo, ha una connotazione fisica molto più palpabile. Per un appassionato dotato di giradischi, il vinile è un oggetto molto più appetibile sia del cd che del download. Anche se poi il cd ha delle caratteristiche (comodità, ascolto, portabilità) che sono difficili da scavalcare.

Ora con il cloud, la musica nell'immediato futuro diventerà ancora più impalpabile, e probabilmente molti altri sentiranno la necessità di fruire la musica in modo molto più fisico di quello che viene spinto dal mercato.

Le band e gli artisti lo sanno, (le case discografiche iniziano ad avere l'alba dell'idea di come si stia strutturando questo tipo di richiesta e prima di agire passerà un decennio), cercano di accontentare questa fascia di persone che è quella che porta più entrate, che va ai concerti, che poi va a formare quella base che segue la band in ogni occasione, che funge da "finanziatore" del gruppo. Molti di questi nonostante si siano scaricati il disco appena uscito, pagano per vedere il concerto e ne approfittano per comprare il disco originale.

Questo trend però non si può misurare nei negozi, perché il più delle volte chi compra non lo fa in negozio, o almeno non nelle grandi e moribonde catene. Gli acquisti vengono effettuati online oppure in negozi specializzati, dove si comprendono a pieno le esigenze degli appassionati, oppure nei sopracitati banchetti. In questo senso Fnac (faccio riferimento a Milano) è lo store che più ha capito le esigenze di chi compra musica. Appena entrate, trovate subito l'indie/alternative italiano, e poco più in là lo scaffale dei vinili in bella vista, pieno di nuove uscite di gruppi e artisti meno conosciuti. A differenza  di Feltrinelli (Ricordi a Milano) che offre degli scaffali veramente imbarazzanti, sui quali si trovano sempre le solite cose.

Un esempio lampante in questo senso è il Taxi-Driver Store a Genova, un negozio che ha aperto quando tutti gli altri stavano chiudendo, e offrendo un catalogo mirato e denso di vinili, ha riunito intorno a sé una schiera di appassionati di genere (soprattutto postmetal-posthc-stoner e fratelli), con l'aiuto della webzine dedicata, dello store online, della presenza ai concerti con il banchetto, ha costruito una rete che gli permette di essere un punto di riferimento a livello nazionale. Gli amanti del genere quando ai concerti trovano il banchetto di Taxi-Driver devono farsi sequestrare il portafoglio per non comprare qualcosa.

Così come succede nella fotografia,  al fianco dalla digitalizzazione, dalla velocità, dalla fruizione immediata, c'è chi preferisce la materia, la lentezza, la passione vera e fisica.

Non chiamateli collezionisti, chiamateli appassionati.

E se volete capire bene cosa intendo, provate a svegliarvi la domenica mattina, prendere un bel vinile dallo scaffale, accendere l'amplificatore, tirare fuori il disco dalla custodia, appoggiarlo sul piatto, posizionare la testina e farlo girare, guardarlo per qualche secondo mentre gira prima che inizi la musica.  Intanto fate colazione, o  leggete un libro, o state solamente sdraiati a sentire il disco, ricordandandovi che dovete girarlo per sentire il lato b.

24 giugno 2011


Chi mi conosce sa come la penso sulle reunion dei gruppi: BASTA!

Perché se un giorno hai deciso di mettere la parola fine su un progetto è perché qualcosa non funzionava più. A distanza di anni, i rapporti personali possono essere tornati quelli di prima, ma il progetto è chiuso, non ci sono più le motivazioni che avevi prima, non c'è più la voglia di sputare il sangue per quel progetto, puoi trovare un compromesso, ma non può tornare a funzionare come prima. Quindi diventa la celebrazione di un'amicizia, di un qualcosa che è stato e ti lega a delle persone, al pubblico ma che non ha più niente da offrire di vivo, di vibrante, di fresco.

C'è chi lo fa per soldi, chi lo fa perché non riesce a rinunciare alla droga del palco, chi lo fa per una sana passione, per gli amici per il pubblico. La maggior parte appartiene alla prima categoria, poi c'è la seconda e pochissimi appartengono alla terza.

Non sono mai andato a vedere concerti di band riunite, sia per principio, ma anche per motivazioni personali. Capita che una band sia stata la colonna sonora di un certo periodo della tua vita e  poi te la sei lasciata alle spalle perché sei cresciuto i tuoi ascolti sono cambiati. Però te la porti nel cuore come qualcosa di mitico, qualcosa che ti ha fatto crescere. E' qualcosa legato a quel periodo a quell'età, in cui magari quella band ti sembrava la più forte del mondo, ma in realtà non era così, erano solo le emozioni che ti regalava che te la faceva credere incredibile.

Poi la band sciolta si riunisce e torna in tour, ma non sarà mai come te la ricordavi, non sarà mai come te l'aspetti, sia che tu l'abbia già vista dal vivo sia che tu non l'abbia mai vista. Nel 99% dei casi ti troverai di fronte a una band che recita, che fa il compitino, che magari ce la mette ancora tutta, che sembra sempre quella di una volta, ma comunque è sempre la cover band di sè stessa, non è più arte, è solo spettacolo, divertimento, celebrazione.

Negli anni ho rinunciato a diversi concerti reunion, uno su tutti quello dei Rage Against the Machine, perché sono un gruppo che 15 anni fa era una bomba, una roba mai sentita prima, per me hanno significato tantissimo. Li vedevo come musicisti incredibili (in realtà poi non è che siano così incredibili...), ho coverizzato alcuni loro pezzi con vari gruppi, li ho visti al Forum di Assago per il tour di Battle of Los Angeles. Non sono voluto andare perché sapevo che sarei rimasto deluso, che non avendo più 16/17/18 anni, quando andavo a vedere 3 concerti all'anno (adesso ne vedo 3 al mese), non sarebbe stata quella cosa incredibile che è stata 15 anni fa, non avrebbero più avuto per me quell'aura di gruppo interplanetario che avevano in quel periodo. Così come i Faith no More, anche se non li avevo mai visti. I gruppi vanno visti quando sono in attività nel loro periodo storico, quando sono nel pieno della loro creatività, quando c'è un progetto vivo. Se no sono solo figurine, pose... diventa un varietà.

L'unico sconto che concedo è nel caso in cui la band ritorni con un gran disco, ma guarda caso non succede quasi mai. In questo senso l'unica reunion che sembra funzioni ora sono gli Skunk Anansie, che da quando sono tornati insieme hanno tirato fuori solo dei gran pezzi e un disco che fa onore alla loro  carriera, ma non li ho visti dal vivo...

Negli ultimi 7 giorni , ho infranto la mia regola ben due volte, una involontariamente l'altra volontariamente. Ma in tutti e due i casi, anche se i gruppi e il tipo di reunion sono di natura totalmente diversa l'uno dall'altro, il mio pensiero si è rafforzato. Quella involontaria sono stati gli Stooges prima dei Foo Fighters al Rock in Idrho. Per carità massimo rispetto per Iggy Pop, ma cos'era quella roba? L'unico che si è barcamentato sul palco perché  fa sempre le stesse cose, è stato l'Iguana, ma gli altri una pena, sembrava di vedere una banda di liscio della riviera, il batterista ogni quattro colpi ne perdeva uno, sembrava dovesse morire da un momento all'altro, gli altri era già tanto se sono riusciti a stare in piedi per tutto il concerto. Un concerto che più molle non poteva essere, se non fosse stato per le solite pose di Iggy avrei potuto tranquillamente dormire.

Quella volontaria sono stati i Boysetsfire ieri sera. Ho deciso di andarli a vedere per passare una bella serata, perché costava poco e perché alla fine ci si credeva poco al loro scioglimento, infatti è durato poco. Ma anche lì il progetto è finito. Infatti ieri ho visto una band stanca, molle. Onesti, sinceri e veri come sempre, ma non c'era quella roba lì... io li ho visti anni fa, sempre al Rock in Idro, per il loro "ultimo" tour, e  sembrava dovessero esplodere in mille pezzi da un momento all'altro, c'era gente che volava da tutte le parti. Ieri non sono riusciti neanche a far muovere il pubblico (complice anche il volume non adeguato), se non sugli ultimi due pezzi.

Alla luce di queste due esperienze, continuerò ad evitare i baracconi dei reunion tour, senza un minimo di dispiacere.

16 giugno 2011


Sabato scorso mi sono imbarcato per un viaggio, perché di viaggio si tratta, non è un film.

La nave, o la droga, si chiama The Tree of Life, e il capitano, o lo spacciatore, si chiama Terrence Malick.

Partiamo dal principio ed evitiamo paroloni da grande cinefilo quale non sono.

The Tree of Life è una palla.

E questo è innegabile, checché se ne dica: "CAPOLAVORO!" "GRANDE CINEMA!" "IL FILM DEFINITIVO!" . Un film di due ore e mezza, montato in quel modo, con pochissimi dialoghi, immagini sospese nel vuoto, voci filosofiche fuori campo, non può essere definito in altro modo.

Ci vuole tanta tantissima pazienza, sensibilità, capacità di sopportazione, ci vuole un preciso stato di apertura e di sospensione per arrivare alla fine senza perdere attenzione e senza diventare insofferenti.

Di fianco a me c'era una signora che già dopo un'ora dava i primi segni di cedimento, sbuffando. Da lì è stata un'escalation, di "Basta", "Quando finisce?". Poi allo scoccare delle due ore, quando il film sembrava finire e invece è ricominciato, il tracollo: "Basta vi prego non ce la faccio più, voglio uscire!", ma poi è rimasta fino alla fine, quando si è lasciata andare a un "Finalmente! Io questi film non li voglio più vedere!" e insieme al marito non sembravano due che vanno a vedere solo film di natale e cartoni della Disney.

Ve lo dice uno che ama i film lenti, uno che si è sparato quasi tutti i film di Kim Ki Duk (che in confronto a questo di Malick sembrano sì Walt Disney), molti dei quali in lingua originale con sottotitoli, che poi ci sono così pochi dialoghi nei suoi film che non è stato un grande sforzo.

Però lo "sforzo" richiesto da Malick è stato ripagato a pieno, perché è un film che da tanto, sia in termini di fotografia, che in termini di riflessione. Ti porta proprio a riflettere profondamente su quello che hai visto e sentito, ti spinge a trovare il senso di quello che ti è passato davanti, a trovare un perchè di quella ridondanza, di quelle immagini che a volte apparentemente non c'entrano nulla messe insieme.

Insomma a me è piaciuto, perché ti lascia dentro tanto e lascia anche tanta voglia di rivederlo, perché molte cose si metabolizzano anche a distanza di giorni. Anche scrivendone adesso mi vengono in mente molte cose, e cresce la ancora voglia di rivederlo per scoprire nuovi spunti e capire meglio.

Il film è viaggio profondo e intenso nei meandri della vita.  E non è solo la vita di una persona, di una famiglia, di una comunità, è la vita in senso più ampio, la terra, gli animali, i dinosauri, i batteri, i virus, tutto ciò che dalla "Creazione" è stata la vita.

Non voglio dire altro di specifico del film, perché per chi lo vuole intraprendere, è un viaggio da fare senza cartina nè navigatore. Voglio solo elencare le tre cose che più mi hanno emozionato (Attenzione microscopici spoiler):

1. Un'immagine ribaltata dei bambini che giocano, con questi che fanno da "ombra" alle loro ombre.

2. L'immagine di uno stormo enorme di uccelli che vola fra i grattacieli.

3. I primi piani di Jessica Chastain, non per la bellezza estetica, ma  per la drammatica intensità del suo viso e del suo sguardo.