28 agosto 2012

Come incendi, incuria, mancanza di senso civico e istituzioni inadeguate stanno distruggendo una delle zone più belle e "inesplorate" d'Italia.

Il Sannio per chi non lo sapesse è quella zona del Sud Italia (Campania) confinante con Molise e Puglia, che oggi si identifica generalmente con la provincia di Benevento e i paesi limitrofi.  Da qualche anno mi capita di passarci alcuni giorni (di solito in agosto e durante le feste natalizie) per ragioni sentimentali e ogni volta rimango stupito e amareggiato per quello che vedo intorno a me.

Il territorio collinare è un susseguirsi di campi coltivati, vigne, ulivi, boschi e  borghi, il tutto circondato da una cornice montana quasi incontaminata con boschi che si estendono per chilometri su tutti i versanti e pochissimi insediamenti umani.

Il panorama da Montefusco (AV)

La zona di Torrefusco e Solopaca con le sue colline verdissime e vigneti che si estendono all'infinito fino alle montagne. Il massiccio del Taburno che domina tutta l'area (Parco Regionale) con il suo santuario e la sue rete di sentieri. Le gole di Caccaviola a Cusano Matri, un canyon scavato dal torrente Titerno famoso fra i torrentisti e attrezzato per escurisioni organizzate. Questi sono solo alcuni dei luoghi degni di nota, dal punto di vista naturalistico è un territorio veramente ricco che offre tantissimo.

Un altro esempio del panorama visibile nei pressi di Sant'Agata de' Goti. Senza saperlo ho fotografato la discussa Collina Ariella, ferita dalle tracce di un incendio, che si dice essere una piramide simile alle presunte tali trovate in Bosnia.


In mezzo a questo paesaggio che poco ha da invidiare ad altre zone d'Italia più famose, si trovano dei borghi che sono delle vere e proprie perle, per citarne un paio  fra i tantissimi che si trovano:

Sant'Agata de' Goti, costruita a picco sulle gole create dai torrenti adiacenti è un vero e proprio gioiello, bandiera arancione del Touring Club, è un borgo formato da bellissimi vicoli stretti e tortuosi fra i quali si trovano molte chiese al cui interno vi è un grande patrimonio artistico.


Sant'Agata de' Goti


Montesarchio, con il suo castello che si staglia davanti al Taburno è uno  spettacolo come se ne vedono pochi in giro.

Montesarchio (foto di Francesco Gaddi)


Pietrelcina, famosa per essere il paese di Padre Pio e meta di pellegrinaggio religioso, è un altro borgo bellissimo.

Telese, con le sue terme e il parco.

Anche la stessa Benevento è ricca di storia e di luoghi da vedere e visitare, basti pensare che la città custodisce  uno dei pezzi del patrimonio dell'umanità dell'Unesco, la chiesa di Santa Sofia.

La piazza principale di Benevento, con la chiesa di Santa Sofia e il suo campanile


Tutta la zona è piena di questi gioielli nascosti, tutti da scoprire, borghi che non hanno nulla da invidiare a quelli della Toscana o dell'Umbria o delle Marche. Anzi, sono molto più autentici, senza quella patina disneyana ultraperfetta, ultraristrutturata e ultraturistica che hanno moltissimi borghi di queste regioni. Qui sono paesi che pulsano di vita vera, con la gente per le strade, che chiacchera, che vive profondamente la piazza, il contatto umano.

Una zona così ricca dovrebbe essere piena di turisti, invece di turisti non ce n'è neanche l'ombra o quasi...

C'è un'altra faccia della medaglia, a cui non si può non fare caso.

Incendi, speculazione edilizia,  incuria, maleducazione, mancanza di senso civico, non si può non fare caso a come si faccia di tutto per deturpare questo paesaggio e le sue risorse naturali. Non voglio fare il milanese che insegna ai meridionali come si vive, perché a fronte di alcuni ignoranti e delinquenti che operano questi scempi, ci sono molte brave persone, gentili, calorose e ospitali, che avrebbero molto da insegnare a quei miei vicini di casa cafoni e maleducati che neanche salutano quando ti incontrano per le scale o in cortile e non sono capaci di fare neanche una stupidissima raccolta differenziata, roba da prendere il bidone e svuotarglielo in cucina.

Nella settimana in cui sono stato lì ad agosto, ho visto in media tre o quattro incendi al giorno, intere colline e montagne sventrate dalle fiamme, interi boschi ridotti a pezzi di brace buoni per la griglia. Per un sostenitore della conservazione del territorio come me è stato veramente uno strazio vedere ogni giorno quel disastro. Le cause sono molte, dai contadini che incendiano le sterpaglie, ai bracconieri che col fuoco cercano di spostare la sevaggina, ai pastori che vogliono erba nuova, ai piromani. E' un problema di dimensioni difficili da immaginare se non lo si vede sotto al proprio naso.

Sulla sp81, in mezzo al verde la macchia scura lasciata da un incendio.


Come se non bastasse questo tipo di deturpazione, i bordi delle strade provinciali e le piazzole di sosta sono spesso ridotte a piccole discariche a cielo aperto, con sacchetti di spazzatura di ogni tipo buttati  a bordo strada. Intendiamoci, pochissima roba se paragonato alle immagini di Napoli nei giorni dell'emergenza, anche perché qui si fa una raccolta differenziata capillare, porta a porta). E se anche questo non bastasse, ogni cinquecento metri si vede uno scheletro di palazzina o villa lasciato a metà con i soli pilastri a sorreggere la struttura portante e niente altro, a causa di speculazione edilizia, condoni, concessioni speciali post-terremoto (L'irpinia è a due passi).

Come si può favorire il turismo quando non si ha rispetto dei luoghi che si abitano e che si dovrebbero offrire al visitatore? Se non hai rispetto per il posto in cui vivi, vuol dire che non hai rispetto per te stesso e men che meno per chi lo deve visitare.

In una zona dove c'è pochissimo lavoro e quello che c'è è pagato una miseria, la popolazione potrebbe vivere in gran parte di turismo, riconvertendo abitazioni e casali abbandonati in agriturismi e strutture ricettive, organizzando itinerari, escursioni, si creerebbero moltissimi posti di lavoro e si avrebbero soldi da reinvestire nel territorio.

In questa mancanza anche le istituzioni hanno la loro grossa fetta di responsabilità. Non vi è un minimo di promozione, pubblicità, per far conoscere il territorio. Molti commercianti si sono lamentati perché neanche l'inserimento della chiesa di Santa Sofia nel patrimonio dell'umanità dell'Unesco è riuscito a dare slancio al turismo. Un evento del genere per una piccola cittadina come Benevento dovrebbe essere pubblicizzato in tutti i modi possibili e immaginabili, invece credo che pochissimi siano a conoscenza di questo ennesimo gioiello.

Non basta qualche sito, alcuni inutili, altri esaustivi e completi come quello dell'ente provinciale del turismo di Benevento (www.eptbenevento.it), per promuovere il turismo, ci vuole cura e amore per il proprio territorio, educazione ambientale, forte e deciso contrasto alla deturpazione del paesaggio. Bisogna far capire a tutti (e non solo nella provincia di Benvento) che il territorio è una risorsa, che la natura è una risorsa, e se conservati al meglio e curati, possono portare guadagni a lunghissimo termine, invece dei fugaci e dannosi guadagni a breve termine dati dalla distruzione del paesaggio. I boschi incendiati impiegano decine di anni per crescere e tornare com'erano prima, i sacchetti se non vengono tolti rimangono per sempre a inquinare la vista e  il terreno, i palazzi non finiti in Italia rimangono per sempre. Non sono danni trascurabili, sono danni profondi e irreparabili che non saranno mai sanati. Non so in tutto questo quanto siano profonde in queste zone le infiltrazioni della Camorra, che quando si tratta di speculazione e deturpazione è sempre in prima fila. L'anno scorso il sindaco di Montesarchio era stato arrestato insieme a un assessore per associazione camorristica e reati elettorali e cercando vengono fuori articoli che ne parlano, ma non so quanto le persone avvertano e subiscano la sua presenza e credo non lo saprò mai.

Per questo è necessario iniziare un azione di educazione e contrasto profonda, perché non c'è più tempo da perdere. Nel contempo bisogna favorire il turismo con pubblicità, promozione, iniziative efficaci.

E' un circolo virtuoso, la cura del territorio alimenta il turismo che a sua volta aiuta a sviluppare il senso della ricchezza delle risorse naturali e paesaggistiche. Quando tutti capiranno che un territorio incontaminato porta visitatori che a loro volta portano soldi e benessere per tutti, tutti si impegneranno per la conservazione delle risorse. Questo vale per il Sannio, ma vale anche per tutta Italia, non tralasciando che la cura e la bellezza del luogo in cui si vive aumenta la qualità della vita.

Andate a visitare questa splendida regione, ancora  non toccata dal turismo su larga scala, perché merita veramente e più gente ci andrà più la aiuterà a migliorare, magari anche con qualche piccola critica costruttiva e facendo notare le cose brutte che si vedono.

16 agosto 2012

Torno a parlare di musica (finalmente) per parlare di un disco che dire controverso è dire poco.

Baroness - Yellow and Green


Il post-hc/sludge/chiamatelo come volete è un genere strano, perché è un non-genere che però ha una connotazione precisissima e un identità forte con un equilibrio sottilissimo e molto precario in mezzo fra altri generi. Appena si perde un minimo di questo equilibrio automaticamente si è fuori. Mantenerlo è difficilissimo e solo chi ha trovato una formula precisa e granitica e ha avuto la possibilità di svilupparla in sordina per molto tempo è riuscito a sopravvivere.

Già un intero movimento, quello post-hc quasi strumentale e di derivazione post-rock sì è praticamente estinto, logorato dalla ricerca di questo equilibrio, e autodistruttosi per non essere riuscito a trovare una svolta, cadendo nella ripetitività e nella mancanza di idee. Cult of Luna e  Isis sono le "morti" celebri, i Pelican sono sopravvissuti ma con grosse difficoltà, i Red Sparowes sopravvivono come side project con uscite sia live che discografiche a dir poco sporadiche.

Dopo questa ondata sono esplosi i Mastodon, che attualmente sono l'unica band di "nuova" generazione che è riuscita nell'intento di mantenersi nel genere cercando di portare ogni volta piccole novità e perché no di portare un po' più fuori dalla sua nicchia il post-hc. Il loro obiettivo dichiarato era quello di diventare band di riferimento di tutto il nuovo metal, ma l'obiettivo non è stato centrato in pieno. Sono riusciti ad arrivare a molte più orecchie di un qualsiasi altro gruppo simile, ma sono sempre rimasti un po' in sordina nel mondo metallaro mainstream.

Dopo di loro? Il nulla.

Non ho paura di dire che il posthc/sludge è quasi morto, sì ok ci sono i Red Fang, i Kylesa, ma sono più di stampo Stoner e non li vedo come dei gruppi che han voglia di prendersi sulle spalle tutto un intero movimento musicale e di portarlo in trionfo. Si sa che i generi musicali, senza alfieri e punti di riferimento vanno naturalmente a morire come grandi pachidermi nella savana. A parte casi isolati e molto underground, non si vede all'orizzonte un nuovo vero alfiere di questo genere.

A parte uno.

E questo uno sono proprio i Baroness.

Fin dal primo disco sono stati indicati e spinti a portare lo stendardo, si è gridato al miracolo, giubilo e gaudio a corte "Un altro Mastodon.... si!.. può!.. faaareeee!", col secondo disco la grande conferma, incredibile, sembra quasi un sogno e poi?

E poi arriva Yellow and Green.

Ed è come il padre interista che si ritrova all'improvviso con un figlio milanista, è come Rocky in Rocky V (capolavoro ingiustamente sottovalutato) quando viene mollato dal suo allievo prediletto che lo tradisce per soldi e figa.

Personalmente ho sempre pensato che i Baroness siano un gran gruppo, ma non sono mai riuscito ad ascoltarli veramente con piacere, perché li ho sempre trovati troppo legati, costretti in un sistema troppo stretto per loro, un po' come sentire Omar Rodriguez Lopez costretto a suonare La Canzone del Sole. Beh sì, è facile dirlo adesso dopo aver sentito questo doppio disco, ma giuro che era l'esatta sensazione che mi trasmettevano.

I Baroness oltre ad essere un grande gruppo sono anche dei musicisti intelligenti, e si sono voluti togliere in fretta di dosso tutte le pressioni, e le investiture che gli sono state date.

In ogni caso questo terzo disco sarebbe stato un "flop" o avrebbe avuto comunque critiche spietate. Quando hai addosso tutta quella attenzione e quando ti concedono due "5 stelle" di fila, no c'è capolavoro che tenga, se rimani sulla linea dei due dischi precedenti manchi di idee e sei ripetitivo, se provi a cambiare leggermente direzione sei bravo ma non hai centrato l'obiettivo e avanti il prossimo, se cambi totalmente sei un venduto.

E poi onestamente non so proprio cosa avrebbero potuto tirar fuori dopo due dischi così e altri 5 dei Mastodon prima di loro.

Hanno deciso di fare il colpo grosso, smarcarsi da tutti e portare la competizione un livello più alto, riuscire anche dove i tutti loro illustri predecessori hanno fallito: portare a un livello nuovo il genere e portarlo fuori dalla sua isola per evitarne l'estinzione di massa.

La cosa che mi ha stupido di più del disco, è che pur pucciando i piedi di qua e di là, riesce comunque a mantenere quell'equilibrio di cui parlavo prima e riesce a mantenere la sua matrice nel genere nativo pur non essendolo.

C'è chi ha parlato di tradimento, chi ha parlato di obiettivo poco chiaro, chi ha parlato di disco troppo dispersivo, di pochi tratti a fuoco e molti altri totalmente fuori norma.

Secondo me è un disco come non ne capitavano da almeno 20 anni, un disco che segna indelebilmente la storia, per quando oggi la musica rock incida poco sulla storia, e che sancisce  la nascita (finalmente) di una nuova grande band di stampo metal.

Avete presente "Mellon Collie and the Infinite Sadness"?

Questo è il suo fratello minore (a mio parere per età e non per qualità).

Curiosamente questi due doppi album arrivano da due band all'inizio della loro carriera, dopo due dischi osannati, che si sono smarcate dal genere in cui volevano a tutti i costi incasellarle, consacrandone il successo a livello mondiale. Il grunge negli anni '90 aveva tutt'altra considerazione rispetto allo sludge/posthc/postmetal di oggi, ma con le dovute proporzioni nei dati di vendita si può dire che  il salto è stato lo stesso. E curiosamente agli Smashing Pumpkins sono state mosse le stesse critiche al tempo dai loro fan storici. Curiosamente c'è anche un pezzo sul disco dei Baroness il cui riff e ritmica ricordano molto da vicino un pezzo presente in Mellon Collie...vediamo se lo trovate (la soluzione a fine articolo).

Altro punto della questione: oltre a portare il genere in una nuova dimensione, i Baroness hanno il merito di riuscire nell'impresa di riportare gli assoli nel mondo metal moderno (moderno come concezione, non come età) , dandogli un senso, una nuova connotazione, e un ruolo principale nell'arrangiamento del pezzo. Assoli completamente opposti a quelli che il mondo metal è abituato a sentire, tutta tecnica e niente cuore e cervello, ma un tipo di assolo emozionale a metà fra Pink Floyd e i QOTSA.

Alcune critiche arrivano anche perché secondo i detrattori, hanno fatto il salto ma non l'hanno fatto abbastanza lungo, perché per la paura di scontentare troppo i fans sono rimasti con un piede nel loro vecchio mondo.

Io credo, come dicevo prima, che sia proprio questa la grande forza di questo disco, quello di rimanere all'interno del loro genere ma di contaminarlo con altro, cosa che nessuno aveva mai fatto veramente e con questa qualità ed efficacia.

In questo doppio disco ci sono pezzi clamorosi, come "March into the sea", già solo il gioiello d'arpeggio che c'è in questo pezzo vale il prezzo del disco. "Board up the house" o "Back where I belong", con un assolo a due chitarre (che solitamente non sopporto perché è la classica sboronata ignorante e inutile del classic metal) da lacrime; "Psalms Alive" con un andamento al limite del drum n' bass e un esplosione centrale da indici al cielo. Ci sono dei grandi pezzi molto diversi fra loro, che però hanno tutti la stessa identità e una coerenza di fondo.

L'altra grande rivoluzione sono le linee vocali. Finalmente da un genere che nelle migliori delle ipotesi quando ha voluto fare il melodico ci ha abituati al mononota (anche qui i Mastodon ci avevano provato senza avere il coraggio e la capacità di osare, anche per evidenti limiti tecnici) arriva una nuova (per il genere) concezione di "cantato", che non ha paura dei pregiudizi. I Baroness regalano un lavoro sulle voci ottimo e finalmente dei pezzi che ti spingono a cantare, che volenti o nolenti è sempre stato un grosso limite di questo genere, nelle sue frange più o meno melodiche.

Sì, forse nella parte verde del disco c'è qualche episodio non riuscito, ma anche il sopracitato Mellon Collie aveva alcuni episodi non proprio ottimi eppure è considerato, con i suoi pregi e difetti riconosciuti, universalmente il loro capolavoro e un disco di riferimento per quegli anni e per tutta la musica.

Non voglio fare il controcorrente per forza, non mi interessa, ho approcciato questo disco con grande scetticità e distacco, non sapevo cosa aspettarmi, e mi sono ritrovato con un desiderio di ascoltarlo e riascoltarlo che non mi capitava da moltissimo tempo.

I Baroness si sono trovati davanti a un bivio: o l'estinzione di massa o rischiare e andare alla ricerca della valle incantata. Hanno scelto la seconda, non so se hanno trovato la valle incantata ma sicuramente è un posto fertile dove far crescere la loro musica e il loro "branco".

L'estinzione è scongiurata... per ora.

La soluzione al quesito della Susi è:

March into the sea - Bodies

2 agosto 2012


Non voglio far diventare questo blog un blog di bicicletta (l'ho già detto?) ma l'argomento è caldissimo e non posso esimermi dal dire due parole. Visto che mi sono già preso una buona dose di insulti in un articolo precedente non voglio perdere l'occasione per prenderne altri.

Chiarisco subito che al momento io non sono né a favore né contro l'obbligatorietà del casco, perché prima degli obblighi di legge conto (sbagliando) sull'intelligenza delle persone, e prima di tutto mi interessa la salvaguardia della vita delle persone, a prescindere dalle leggi imposte.

A seguito di un articolo apparso su Quattroruote (che purtroppo non riesco a recuperare da nessuna parte, non è stato riportato online), si è infiammato il dibattito sull'obbligatorietà del casco... o meglio sull'utilità del casco in bicicletta. Prima #Salvaciclisti  (movimento dal quale voglio ufficialmente dissociarmi a causa della risposta ai limiti della follia all'articolo di Quattroruote), e poi FIAB hanno risposto all'articolo portando le loro motivazioni che vorrei analizzare nello specifico, perché personalmente mi sembrano a dir poco assurde. Ok essere contro l'obbligatorietà del casco, ma le argomentazioni portate per sostenere quest'idea a mio avviso fanno più danni che altro. Prima di arrivare all'obbligo o no, bisogna chiarire se a Salvaciclisti e a Fiab interessa più la salute dei ciclisti o LA GRANDE, EPICA ED EROICA GUERRA CONTRO LA FAMIGERATA  LOBBY delle AUTO.

Stendiamo un velo pietoso sui toni complottisti, deliranti e offensivi che ha usato #Salvaciclisti per rispondere a Quattroruote, già ridicolizzati dalla pacata, efficace ed educata risposta del direttore. #Salvaciclisti snocciola i soliti dati copia e incolla senza citare uno straccio di fonte, come è ormai tristemente di moda, per dimostrare l'inutilità del casco obbligatorio.

Fiab all'inizio della sua risposta dice che consiglia caldamente l'uso del casco, salvo poi fare di tutto per dimostrare la sua inutilità.

Ma vediamo...

#Salvaciclisti: "Su 1.000 utenti fragili della strada uccisi in Italia dalle automobili, 750 sono pedoni e 250 sono ciclisti: mettiamo il casco ai pedoni?."

Una bella argomentazione, peccato che non si tenga conto del fatto che i pedoni sono molti di più dei ciclisti, per questo il numero di morti è così alto rispetto a quello di questi ultimi. Occorre portare delle percentuali rispetto al numero totale di soggetti per avere una argomentazione valida. Anche i morti in auto sono maggiori di quelli in moto, togliamo il casco anche ai motociclisti?

#Salvaciclisti: "E non contengono, sia ripetuto, un briciolo di rispondenza a realtà ad impatti superiori a 23 km/h il caschetto è ininfluente per la sicurezza, e a volte provoca lesioni gravi a atlante ed epistrofeo, con conseguente lesione del midollo spinale e relativa paralisi motoria."

FIAB: "Non è invece appropriato il confronto con l'obbligo esteso alle moto, a cui erroneamente ci si riferisce per dimostrare l'utilità di un provvedimento a cui i ciclisti si opporrebbero in modo miope. Infatti i caschi per moto sono omologati per impatti fino a 70 km/h e quindi proteggono da investimenti e cadute fino a questa velocità, mentre i caschi per bici, del tutto diversi in quanto necessariamente aerobici, sono omologati fino a 23 km/h e quindi non proteggono né dagli investimenti né da cadute ad alta velocità (vedi quanto successo lo scorso anno a Weylandt), ma solo da cadute del ciclista da solo, con lo stesso rischio di un pedone che inciampa e cade per terra."

Secondo me qui si arriva al delirio, non solo si dice praticamente che il casco in bici non serve a nulla se non nei casi in cui si cade da soli e da quasi fermi, ma addirittura #Salvaciclisti sostiene che non solo non protegge, ma fa anche danni (sua quali basi, in quali casi, quali studi lo hanno dimostrato? In che precentuali? Non si sa)!

Innanzi tutto se un casco è omologato per impatti fino a 23km/h, vuol dire che è la MINIMA protezione che un casco deve avere. Non esclude che un casco possa proteggere anche per impatti a velocità superiore, cosa molto probabile.  I costruttori si terranno sicuramente un margine di rischio per le prove e quasi sicuramente lavoreranno per alzare sempre di più la soglia di protezione, è nel loro interesse. Cinicamente parlando, un ciclista morto è un cliente in meno. Ci sono anche diverse tipologie di caschi da bici con diverse tipologie e gradi di protezione, non si può generalizzare.

Oltre a questo non vuol dire che in un impatto a 23,1 km/h quando ti togli il casco  ti si apre la testa come ammiocuggino.

Sono d'accordo sul fatto che gli incidenti capitano più spesso per impatti contro le auto che vanno anche a più di 23km/h. Ma non è che quando un'auto va contro a una bici, centra in pieno la testa del ciclista. Più verosimilmente impatterà sul corpo/bicicletta/gambe del ciclista che in un secondo momento andrà a battere la testa sull'asfalto o sull'auto stessa o su qualsiasi ostacolo presente, per cui non è che se una macchina va a 50 all'ora l'impatto sul casco sarà sicuramente a 50 all'ora.

Non sono un esperto di fisica ma mi affido a quelle quattro nozioni che conosco e alla logica: negli impatti vi sono varie cause di dispersione di energia che fanno sì che prima che la testa batta contro qualcosa, la velocità d'impatto sarà molto probabilmente diminuita rispetto all'impatto principale.

Il povero Weylandt, si è letteralmente schiantato mentre scendeva a 80 all'ora, per cui secondo la  tesi di Fiab e salvaciclisti non si sarebbe salvato neanche con un casco da moto,  fra l'altro è morto non solo per i traumi alla testa, ma anche per traumi gravi su tutto il corpo. E' stata una tragedia a dir poco sfortunata e non è opportuno strumentalizzarla per dimostrare l'inefficacia del casco.

Infine, se l'omologazione è stabilita entro i 23 km/h è perché qualcuno avrà studiato le casistiche degli incidenti in bicicletta e avrà verificato che la maggior parte degli impatti avviene entro questa velocità. Altrimenti che senso avrebbe l'omologazione?

FIAB: "Non è invece appropriato il confronto con l'obbligo esteso alle moto, a cui erroneamente ci si riferisce per dimostrare l'utilità di un provvedimento a cui i ciclisti si opporrebbero in modo miope. Infatti i caschi per moto sono omologati per impatti fino a 70 km/h e quindi proteggono da investimenti e cadute fino a questa velocità"

Vale lo stesso discorso dei caschi per bicicletta, protegge "SOLO" fino a 70 km, quando in autostrada si viaggia anche a 130, per cui per impatti superiori è inutile, quindi il casco per le moto non serve a niente?

FIAB: "Le motivazioni tecniche di tale contrarietà sono ben illustrate sui siti FIAB ed ECF (breve sintesi per es. http://fiab-onlus. it/salvaiciclisti/component/content/article/58-casco. html)"

E' incredibile come per rafforzare la loro tesi portino un "documento" scritto di loro pugno, sul loro sito, senza portare le fonti, senza alcuna dimostrazione di questi dati. E' come voler dire:  il casco obbligatorio non serve a niente perché lo diciamo noi, punto.

In conclusione, per combattere la proposta di obbligatorietà del casco, non si possono portare argomentazioni contro l'utilità del casco in sè, è sbagliato, diseducativo, ed è anche da irresponsabili scrivere certe cose.

Visto che non serve a nulla negli impatti oltre i 23 km/h invito gli amici di #Salvaciclisti e FIAB a fare un crash test a 30 all'ora prima col casco e poi senza e vediamo...

Io non mi baso su statistiche prese da non si sa dove, mi baso sull'esperienza, su testimonianze dirette di persone che la bicicletta la usano per davvero, facendo migliaia di chilometri all'anno, non solo per fare la critical mass al giovedì sera. Persone che possono raccontare quanto è utile il casco solo perché ce l'avevano in testa quando sono caduti o quando hanno fatto un incidente. Mi baso su foto di caschi spappolati e rispettive teste intere, di testimonianze di gente in mtb che ha impattato contro alberi e rocce in discesa e lo racconta facendosi una risata solo perché aveva il casco. Mi baso per esempio su di un ragazzo in bmx che ho soccorso una mattina in una pool, che si è aperto la testa cadendo e se avesse avuto il casco non si sarebbe fatto nulla se non qualche abrasione .

Se non avete testimonianze dirette andate su qualche forum o sito di bici e vedrete quante ne trovate.

Spero che in un futuro quasi fantascientifico, quando tutte le strade avranno la loro sede ciclabile, e vorranno introdurre l'obbligo alle bici di circolare sulle piste ciclabili (perché scommetto che ci sarà bisogno di introdurlo), FIAB e #Salvaciclisti per difendersi dalla LOBBY delle AUTO non se ne saltino fuori a dire che le piste non servono a nulla, che disincentivano l'uso della bicicletta, che non salvano la vita e anzi a volte provocano paralisi e altre amenità del genere.