29 aprile 2015



Quello italiano è un popolo abituato a non decidere, a partire dalla prima guerra mondiale nella sua storia l’Italia è sempre rimasta a guardare, per decidere una volta delineato il quadro, oppure non decidere affatto.

La situazione interna non è mai stata molto diversa. Il voto è sempre stato un voto dato ciecamente al partito di appartenenza, chi votata PCI ha sempre votato PCI, chi votava DC ha sempre votato DC. 
Anche dopo la Prima Repubblica, la situazione non è cambiata, l’italiano o votava Berlusconi o votava chiunque piuttosto di non far vincere Berlusconi, con minimi movimenti verso uno o verso l'altro schieramento. Ma il voto fino ad oggi è sempre stato una mezza scelta. Perché in fondo si sapeva che chi saliva al governo non avrebbe mai fatto delle scelte nette, non avrebbe mai dato quella svolta nelle riforme per preparare il Paese al futuro. A nessuno interessava, perché fare scelte significa inevitabilmente scontentare qualcuno, e i partiti non hanno mai voluto scontentare nessuno.

In fondo neanche a noi importava che il governo portasse dei cambiamenti, tutti stavano bene, tutti mangiavano (nel senso negativo del termine), non c’era selezione naturale, l’importante era vivacchiare, tenersi il proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, senza fare il minimo sforzo in più del necessario, o tenere attiva la propria azienda senza la fatica di immaginare nuovi mercati e nuovi investimenti, senza guardare al domani, ed evadendo le tasse appena possibile.

Ora non ce n’è più per nessuno e siamo costretti a decidere, ad agire. Ma questa cosa ci fa una paura fottuta, perché bisogna rischiare, bisogna immaginare un futuro che non è già scritto, bisogna inventarsi qualcosa ed essere audaci, propositivi, attivi, intelligenti e pronti a cogliere il minimo cambiamento. Così si scopre che non tutti sono in grado, non tutti sono bravi, la selezione naturale fa il suo corso, la meritocrazia inizia a farsi largo, ma non perché viene calata dall’alto, ma perché adesso siamo soli, non c’è più il datore di lavoro al quale leccare il culo per tutta la vita, non ci sono più tutte quelle macroaziende parastatali dove ci si rifugiava una volta, magari con la raccomandazione dell'amico o del parente. Se sei bravo ce la fai, se non sei bravo stai a casa.

In tutto questo quadro di incertezza si inserisce il lavoro del governo, il primo in vent’anni che applica una semplice regola della democrazia: la maggioranza vince (e decide).
Fino ad ora c’è stata un'interpretazione tossica della democrazia, che faceva un gran comodo a tutti: la maggioranza vince, ma la vittoria è interpretabile a proprio piacimento e se la minoranza dice no, allora non facciamo nulla per non scontentare nessuno.

Se invece la maggioranza vince allora bisogna decidere, bisogna fare, bisogna cambiare le cose per impostare il futuro, non ha scuse, e se sbaglia ne pagherà le conseguenze. Fino ad oggi chi ha sbagliato è sempre stato rieletto, in un modo o nell’altro, con un nome nuovo o con un nuovo simbolo. 
Perché oggi non si può più fare a meno di pensare al domani, siamo già indietro di quarant’anni e ne stiamo pagando le conseguenze da almeno otto. Il futuro arriva molto più velocemente di prima e se non si prepara il campo si viene spazzati via.

L’italiano a questo punto è costretto a farsi un’idea anche dopo le elezioni, a stare attento alla vita politica perché si fanno cose che incidono pesantemente sul suo futuro, ma non è abituato e quindi fa fatica. Fa fatica a farsi un’idea partendo dai fatti e allora è più comodo affidarsi agli slogan, al qualunquismo, alle frasi fatte. È più comodo gridare all’attacco alla democrazia, al fascismo piuttosto che analizzare i pro e i contro di una legge. 
E’ più comodo ripetere a pappagallo le dichiarazioni spot di Brunetta o di Salvini, o credere alla minoranza del PD, quella che in vent’anni non ha mai preso una decisione e non ha mai risposto a una domanda, piuttosto che andare a guardare cosa c’è dentro la legge.

 Perché poi si torna sempre lì, alla paura di decidere. Perché questa legge elettorale è la prima fatta per dare la possibilità di decidere, di agire, per far sì che la maggioranza vinca e la minoranza perda. Semplice. 
Questo ai partiti e alle persone che hanno deciso le sorti del paese e hanno causato crisi di governo con il 3% dei voti fa molta paura. Fa molta paura abbandonare quell'idea tossica di democrazia, per la quale il 3% degli eletti possa mandare a monte quello che ha deciso il 30 o 40%.

Inoltre con questa legge elettorale non si può più andare nell’urna mettendo una croce a caso, o votando lo stesso partito che hai votato per trent’anni perché tanto poi non combinano nulla. 
Bisogna andare a votare con cognizione di causa e se non siamo in grado di farlo la colpa non può esse dell’Italicum.

Facile gridare all’attacco alla democrazia, al fascismo, facile seguire la frustrazione di chi per 20 anni è stato a capo di un partito non considerando minimamente la minoranza al suo interno e ora si trova a fare parte proprio di quella minoranza, e dei giovani vecchi pronti per saltare sul carro del vincitore che si sono ritrovati invece a piedi a minacciare dimissioni.

Poi ci sono quelli che dicono che in questo momento ci sono cose più importanti della legge elettorale. C’è sempre qualcosa di più importante rispetto a quello che stai facendo, io sono qui a scrivere, voi siete a casa o al lavoro, ma là fuori ci sono delle vite da salvare, che fate ancora lì?

Una legge che viene rimandata dal 2006, la cui alternativa al momento è stata decisa da un tribunale, che da la possibilità a chi vince di poter finalmente decidere e agire, non vedo cosa ci sia di più importante in un paese democratico.

Grazie a Bersani, Vendola, D’Alema, Bindi (mi vengono i brividi a mettere questi nomi in fila) abbiamo vissuto nell’incubo di Berlusconi, con la paura assurda e assolutamente fuori da ogni realtà possibile, della deriva autoritaria e dittatoriale, con lo scopo di portare più voti alla sinistra. Scopo mai raggiunto da loro, come si è visto. 

Un quadro sintetico e spietato della situazione attuale da parte di Francesco Costa (Il Post)




Ora si cerca di gettare la stessa ombra sull’Italicum, diffondendo la paura dell’attacco alla democrazia e della dittatura. Ieri Chiara Geloni a Otto e Mezzo sosteneva la teoria della dittatura facendo leva sul fatto che una legge elettorale come l’Italicum non c’è in nessun paese europeo. 

Partendo dal fatto che nessun paese europeo ha una storia neanche lontanamente paragonabile a quella dell’Italia, e la realtà politica italiana è indietro di una cinquantina d’anni rispetto agli altri, ma è sempre necessario fare le leggi copiando quelle degli altri paesi? 

Quello che funziona in Francia non è detto che funzioni in Italia, anzi è molto probabile che non funzioni. Oggi non basta più limitarsi a copiare e adattare le leggi degli altri, bisogna fare un passo più in là, bisogna rischiare e la fiducia posta sulla legge elettorale fa parte di questo rischio.

Hanno giocato tutti fino ad ora pensando che come al solito fosse una farsa, che poi alla fine non si sarebbe fatto nulla, poi una volta messi di fronte alle proprie responsabilità si sono sfilati ad uno a uno, prima Forza Italia, poi la minoranza PD e via via gli altri (tutti hanno partecipato attivamente alla scrittura della legge).

La tattica (palese) era votare sì nelle prime battute per poi mandare tutto all’aria e rimandare a data da destinarsi. Non è possibile che dopo le barricate dei giorni scorsi alla prima votazione sulle pregiudiziali siano diventati tutti agnellini. Renzi, come dovrebbero aver già capito (ma forse no), non è scemo e li ha messi nell’angolo.

Poi se sarà deriva autoritaria non sarà certo colpa dell’Italicum ma di quello che si voterà con l’Italicum, quindi sarà comunque colpa nostra, come sempre. Magari ci darà la possibilità di fare la prima rivoluzione nazionale e sentirci finalmente un Paese unito, ma nel caso dovesse succedere, avrete sicuramente qualcosa di più importante da fare e non sarà salvare delle vite.

A prescindere dalla validità o meno della legge, non è l'Italicum che ci fa paura, la paura di chi sta in parlamento e anche di chi si recherà alle urne poi, è che il nostro prossimo voto possa decidere veramente le sorti del nostro paese.