1 luglio 2021




Da diversi anni, oltre ad essere un popolo di 60 milioni di CT della nazionale, di virologi, di ingegneri e di tutto ciò che la notizia del giorno porta, siamo ogni giorno un popolo di 60 milioni di giornalisti mancati. È sport nazionale infatti sentenziare su tutti i titoli, articoli, video pubblicati, foto e qualsiasi azione da parte dei "giornaloni", perché tutti sanno come va data una notizia, quando e perché, e il modo in cui la danno i giornali è sempre quello sbagliato.

È un atteggiamento figlio del populismo e del grillismo della prima ora, che è sopravvissuto intatto a tutte le varie mutazioni e alla sua morte ed è sempre più estremizzato. Inoltre, cosa più incredibile, si è diffuso soprattutto fra le persone apparentemente più lontane da quel modo di pensare. Oggi i castigatori, per quello che riguarda la mia "bolla", quelli che ogni giorno pongono critiche costanti e reiterate (non quelli si limitano a un vago "fanno tutti schifo" per intenderci) fanno parte soprattutto di un'area diciamo progressista, che si potrebbe definire intellettuale o comunque con un'istruzione alta.

Oltre all'odio derivante dalle campagne di denigrazione di Grillo c'è anche un fatto generazionale e culturale, perché tutti più o meno dai 40/45 anni in giù abbiamo avuto o abbiamo ancora un blog, e questo in un certo senso ci fa sentire gente del mestiere. Un po' come quelli che appunto giocano a calcetto al lunedì e per questo motivo pensano di essere più bravi di Mancini a mettere in campo la nazionale. O se vogliamo un esempio meno abusato, è anche l'atteggiamento dell'umarell, che siccome in casa ha tappato un buco nell'intonaco con un po' di malta, crede di sapere meglio dell'architetto o dell'ingegnere come si fanno le fondamenta di un palazzo. Rispetto agli anni scorsi poi ci sono sempre più persone che si occupano di comunicazione e che anche in quel caso pensano di sapere come si svolge il lavoro del giornalista, o di una redazione di un quotidiano, senza averci mai avuto a che fare.

Ora al netto di innegabili scivoloni, cadute di stile, bassezze per andare a rastrellare click, il giudizio che si da è spesso oltremodo severo, perché in un giornale che deve dare un numero altissimo di notizie nel più breve tempo possibile, è chiaro che l'errore, l'articolo scritto male o quello che deve andare a prendere click (anche per permettere al giornale di sopravvivere) ci sarà sempre e c'è sempre stato, anche prima di internet (non era il click ma lo strillo in edicola). Ma intorno a quell'articolo, quel video, che pubblicate sui social scrivendo "spero che chiudano" c'è sempre una base di informazione generalista professionale, fondamentale per la pluralità e per la circolazione delle idee.

È anche vero che nell'ultimo anno, in cui l'informazione è stata soprattutto di carattere scientifico, i quotidiani hanno mostrato spesso molta difficoltà e una mancanza di competenza nel trattare certi argomenti. Con un evento del genere in cui un tipo di informazione così settoriale diventa popolare e di dominio pubblico è effettivamente complicato mantenere il passo e in molti casi le redazioni hanno mostrato il fianco scoperto. Se pensiamo però che l'informazione è stata farraginosa e contraddittoria persino da parte degli scienziati e dalle organizzazioni scientifiche, che avrebbero dovuto guidare le scelte dei governi, quella dei giornali può essere vista in parte come mancanza oggettiva, ma anche come difficoltà inevitabile, figlia di una situazione del tutto eccezionale.

Vi sento già mormorare "Eh ma Il Post non le fa certe cose..". Ecco sgomberiamo subito il campo: Il Post, che è un ottimo sito di informazione e uno di quelli che leggo più spesso, non è quello che si definirebbe un "quotidiano", è in un certo senso un magazine di informazione. Non costruiscono le notizie, ma vivono spesso di rimbalzo sulle notizie degli altri. Il clima di cui sopra fra l'altro, in questi ultimi anni è stato alimentato anche da alcuni giornalisti del Post e dal suo direttore, spesso più impegnati a giudicare (negativamente) come gli altri danno le notizie che darle in prima persona. Salvo poi con la scusa della citazione, riportare interi articoli dei tanto criticati quotidiani sul proprio sito, e alla prima occasione cadere negli stessi errori condannati fino al giorno prima. Quindi sì in parte è vero, il post non le fa certe cose, ma non le fa anche perché non si "sporca le mani" andando a scovare le notizie per darle prima di altri.

Spesso vedo tweet o post con lo screenshot di un titolo, un giudizio sommario e un commento che varia dal  "devono chiudere", al "spero chiudano domani", oppure "spero falliscano". Ora io non ho mai visto nessuno scrivere la stessa cosa di una qualsiasi altra azienda o categoria professionale con tale frequenza e con tale rabbia. 

Fra l'altro sono sempre e solo critiche quelle che si vedono circolare, sembra quasi una campagna coordinata a volte. Difficilmente vedo qualcuno pubblicare un articolo perché vale la pena leggerlo e non è perché non ce ne siano, anzi (mi vengono in mente tutti i pezzi di Paolo Giordano dall'inizio della pandemia per esempio), ma perché forse da più soddisfazione, "conviene" di più soffiare su questo odio, anche da parte di influencer più o meno popolari.

Io, al netto di tutti gli errori, le superficialità e gli opportunismi che l'informazione generalista si porta dietro, non so che gusto ci sia ad augurare di rimanere senza lavoro a centinaia di persone, perché secondo voi un articolo non è scritto bene. So che lo si scrive senza pensarci, ma ripeto, una tale cattiveria io non la vedo neanche con i peggiori criminali del mondo.

In questi giorni invece abbiamo avuto un esempio lampante della ricchezza che porta al dibattito e alla trasparenza un giornale che apre, invece di chiudere.

Domani è un giornale giovanissimo, edito da De Benedetti (e già per questo motivo nato sotto i peggiori auspici di molti), che è uscito nelle edicole con il suo primo numero il 15 settembre 2020, solo 10 mesi di vita, ed è diretto da uno dei direttori di giornale più giovani d'Italia, Stefano Feltri.

In questi giorni il quotidiano si è reso protagonista di un'esclusiva che è stata una vera bomba a mano lanciata nel dibattito pubblico.

Avrete sicuramente letto articoli o visto il video delle violenze ad opera delle forze dell'ordine nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Se questa esclusiva non l'avesse scovata Domani, chissà se ci sarebbe stato qualcun altro pronto a pubblicarla; molto probabilmente sì, ma non è un caso che l'abbia fatto quello che è il giornale più giovane attualmente in circolazione e probabilmente quello più disposto a rischiare, dovendo imporsi su una concorrenza molto più attrezzata e con una base di lettori solida. 

Anche Domani certamente avrà fatto degli errori in questi dieci mesi, avrà sicuramente buttato online qualche articolo o video con lo scopo di aumentare i click, avrà certamente trattato qualche argomento con un po' di superficialità fra i tantissimi. 

Ed è giusto criticare per questo, ci mancherebbe. Nessuno però è esente da errori, sviste, o momenti di debolezza in cui magari si è sotto pressione per mancanza di risultati e si cerca qualcosa che in qualche modo dia una spinta. 

Ma accanto agli errori, ci sono anche notizie come questa, che sono fondamentali per uno stato democratico. Se Domani avesse chiuso, o nel suo caso non avesse mai aperto, come molti augurano ai quotidiani, la nostra democrazia probabilmente sarebbe stata più debole, perché un fatto gravissimo come quello forse sarebbe rimasto nell'ombra. 

E badate bene che certe cose non le porta a galla il primo che capita, ma sono un lavoro frutto di anni di relazioni, di rapporti con tutti i piani inclinati delle istituzioni, mesi di ricerche, e spesso anche rischi personali e legali enormi, che solo una struttura solida come un gruppo editoriale, con alle spalle un ufficio legale importante può permettersi.

Quindi va bene criticare, ma quando augurate a un giornale di chiudere, anche il peggiore, quello che è diametralmente opposto alle vostre idee, pensateci bene. Ricordatevi che oltre alle persone che ci lavorano dentro, che non sono solo i giornalisti che tanto odiate (vai a capire il perché poi, se non per l'irrazionale sentimento anticasta alimentato dal grillismo), ma tutta una struttura di dipendenti e collaboratori, al di fuori della redazione, che poco hanno a che fare con quello che viene scritto, ne va anche della nostra democrazia. Come insegna la Bielorussia prima, l'Ungheria poi, o vedi il caso più specifico e recente dell'Apple Daily di Hong Kong, è veramente un attimo perdere.