22 luglio 2014



Gli Editors per me sono uno dei gruppi della vita, inteso non semplicemente come il gruppo per cui vado in delirio o di cui sono superfan. Il gruppo della vita è quello che hai vissuto in prima persona, che hai scoperto da solo quando è uscito il primo singolo, quando è ormai passata l’età della ribellione, nella quale ascolti quei generi e quei gruppi che danno voce alla tua voglia di essere contro, ma che poi si esauriscono presto, perché capisci che la musica è molto di più e c’è un mondo da scoprire.



Quel gruppo che non ti è stato passato dall’amico più grande che ne sa sempre più di te e che l’aveva scoperto prima di te. Il gruppo della vita è quello che è nato e cresciuto con te, che è maturato con te e ha avuto un percorso artistico evolutivo, con la volontà di rinnovarsi e di crescere artisticamente per poter essere sempre la tua band di riferimento. Senza diventare dopo una decina d’anni il gruppo che ascoltavi quando eri giovane, che vai a vedere in piena crisi di mezza età per il concerto della reunion solo per sentire i pezzi vecchi e sentirti ancora giovane, anche se hanno un nuovo disco in uscita di cui non hai mai sentito nulla e del quale non ti interessa nulla.

Per me uno di quei gruppi sono gli Editors, perché sono nati sotto i miei occhi e li ho colti con tutta la “saggezza” dei miei vent’anni, perché sono usciti in coda a un movimento musicale che è stato il primo che ho potuto vedere nascere in prima persona (e l’ultimo nella storia, di quella portata). Perché per il grunge o il crossover/nu-metal sono sempre arrivato dopo, ero troppo giovane o troppo immaturo musicalmente, per coglierne i primi semi.

Perché sono uno dei pochissimi gruppi di quel movimento (nato con gli Strokes), che è sopravvissuto all’implosione del movimento stesso e che ha continuato a fare dischi cercando di trovare una valida via personale fuori da quel calderone, a differenza di molti altri che hanno cercato solo di sopravvivere.



Gli Editors stanno agli anni duemila come i Pearl Jam stanno agli anni novanta...

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15 luglio 2014

Nel 2012 è uscito il disco d’esordio de Il Triangolo con il quale si sono guadagnati un posto speciale nel panorama indie italiano. I pezzi contenuti in Tutte le Canzoni, riprendono le atmosfere beat degli anni ’60 ed entrano subito in testa grazie a testi ben costruiti, strutture semplici e dirette e alcuni ritornelli che è impossibile non ritrovarsi a cantare, provate ad ascoltare Battisti, per esempio. La dimensione ideale di quei pezzi però è ai concerti, dove il pubblico, che cresce a ogni data, canta a memoria tutti i testi. Presto la band si ritrova ed essere una delle rivelazioni di quell’anno e una delle tante promesse per il futuro.

Il 2014 è l’anno giusto per mantenere quella promessa. Ad aprile esce Un’America, anticipato da Icaro e si capisce subito che il trio non ha intenzione di rimanere confinato nelle categorie che gli sono state assegnate. Il suono diventa più ricco e più distorto, si va verso la new wave e il post punk senza però perdere l’identità forte che avevano mostrato all’esordio. Qualcuno rimane spiazzato, ma nella maggior parte dei casi viene accolto bene, e dimostrano un coraggio e una voglia di sperimentare che per una band come loro non è banale, soprattutto in un paese come l’Italia e in un ambito come l’indie, nel quale con il secondo disco sono tutti pronti a dimenticarti per dedicarsi alla prossima next big thing.



Ora sono tornati sui palchi per presentare questo nuovo corso della band. Hanno inaugurato il tour partendo dalla miglior piazza possibile, quella del Mi Ami, dove hanno suonato sabato 7 giugno sul palco della collinetta da headliner, prima di Ghemon.

Ho raggiunto telefonicamente Marco Ulcigrai (voce e chitarra) nel pomeriggio durante la lunga attesa per il concerto serale, per parlare del disco e delle nuove sonorità della band.

Voi eravate già stati al Mi Ami se non ricordo male, vero?

“Eravamo già stati due anni fa quando era appena uscito il primo disco, che era uscito più o meno nello stesso periodo di questo, sempre sulla collinetta in orario pomeridiano, verso le sette se non ricordo male”.

Siete consapevoli di essere fra i più attesi questa sera?

“È una cosa che speriamo, visto l’orario sappiamo che Rockit & company puntano abbastanza su di noi quindi speriamo di essere attesi”.

Siete contenti di come è stato accolto il disco? Leggete le recensioni, vi interessate oppure la cosa non vi preoccupa?

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9 luglio 2014

La recensione di Un'America dei Il Triangolo uscita su Rumore di Maggio: