Gli Editors per me sono uno dei gruppi della vita, inteso non semplicemente come il gruppo per cui vado in delirio o di cui sono superfan. Il gruppo della vita è quello che hai vissuto in prima persona, che hai scoperto da solo quando è uscito il primo singolo, quando è ormai passata l’età della ribellione, nella quale ascolti quei generi e quei gruppi che danno voce alla tua voglia di essere contro, ma che poi si esauriscono presto, perché capisci che la musica è molto di più e c’è un mondo da scoprire.
Quel gruppo che non ti è stato passato dall’amico più grande che ne sa sempre più di te e che l’aveva scoperto prima di te. Il gruppo della vita è quello che è nato e cresciuto con te, che è maturato con te e ha avuto un percorso artistico evolutivo, con la volontà di rinnovarsi e di crescere artisticamente per poter essere sempre la tua band di riferimento. Senza diventare dopo una decina d’anni il gruppo che ascoltavi quando eri giovane, che vai a vedere in piena crisi di mezza età per il concerto della reunion solo per sentire i pezzi vecchi e sentirti ancora giovane, anche se hanno un nuovo disco in uscita di cui non hai mai sentito nulla e del quale non ti interessa nulla.
Per me uno di quei gruppi sono gli Editors, perché sono nati sotto i miei occhi e li ho colti con tutta la “saggezza” dei miei vent’anni, perché sono usciti in coda a un movimento musicale che è stato il primo che ho potuto vedere nascere in prima persona (e l’ultimo nella storia, di quella portata). Perché per il grunge o il crossover/nu-metal sono sempre arrivato dopo, ero troppo giovane o troppo immaturo musicalmente, per coglierne i primi semi.
Perché sono uno dei pochissimi gruppi di quel movimento (nato con gli Strokes), che è sopravvissuto all’implosione del movimento stesso e che ha continuato a fare dischi cercando di trovare una valida via personale fuori da quel calderone, a differenza di molti altri che hanno cercato solo di sopravvivere.
Gli Editors stanno agli anni duemila come i Pearl Jam stanno agli anni novanta...
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