25 febbraio 2014

In occasione dello showcase in Santeria a Milano, per annunciare il ritorno degli Estra e le quattro date che faranno ad aprile (11/4 Treviso, 16/4 Milano, 17/4 Firenze, 23/4 Roma) ho raggiunto Giulio e Abe per un intervista che si è trasformata in una lunga chiaccherata molto interessante, ricca di spunti e di rivelazioni. Si è parlato del futuro della band, ma anche del loro passato, e si è discusso di tante cose come ad esempio la differenza fra la situazione musicale di oggi e del periodo in cui gli Estra erano in piena attività. 

(Avendo poco tempo a disposizione l'intervista è stata impostata come una mini conferenza stampa e insieme a me c'era Raffaele Concollato di Indie-roccia. In rosso le mie domande e commenti, le risposte di Giulio con carattere normale e in corsivo quelle di Abe, in blu alcune domande di Raffaele)



Partiamo dalla domanda più semplice, qual è stato il motivo che vi ha spinto a ritrovarvi e a tornare a suonare insieme?

Non per i soldi e neanche per nostalgia. La premessa è che noi siamo talmente scellerati che non ci siamo mai sciolti, tant’è che non si può parlare nemmeno di reunion. Siamo semplicemente sbadati, dieci anni fa ci siamo dimenticati di salutare.

Avevate altro da fare...

Eravamo in frigorifero.... (ridiamo, ndr)

L’anno scorso ci siamo ritrovati per la prima volta tutti e quattro insieme attorno a un tavolo e abbiamo detto “Forse è il caso di farlo questo saluto dieci anni dopo”. E così è, perché in effetti  l’ultimo concerto degli Estra si è tenuto nell’autunno del 2004, per l’ultima tournée che era legata all’uscita del doppio live.
E quindi eccoci qua.
In realtà penso che senza scomodare parole brutte come entusiasmo, energia ecc, abbiamo voglia. Io personalmente sono ormai dieci anni che non prendo in mano una chitarra elettrica, non faccio parte di una band.

Per me è come ricominciare da capo, io in questi dieci anni sono stato un eremita musicalmente parlando.

Quindi dopo gli Estra non hai più fatto nient’altro?

No, praticamente no, e questo mi fa molto bene e credo faccia bene anche al gruppo. Perché abbiamo ritrovato la “giovinezza”, c’è tanta voglia, anche di riprendere in mano tutto e di reinventarsi.

Si tratterà solo di questi quattro concerti o c’è in programma anche altro?

L’idea è di fare anche un tour estivo, quindi non saranno quattro le date, sono quattro nei club, faremo anche qualche festival, e poi si pone la tua domanda. Nel senso che è tutta un’incognita, sia come staremo noi, sia quanto ci divertiremo e anche quanta energia riceveremo. Per cui diciamo che non ci poniamo limiti, la cosa è sincera, nasce solo per questo motivo.

Quindi non ci sono programmi…

Non ci sono programmi e addirittura i pochi inediti che proporremo non li pubblichiamo neanche su un supporto fisico. Per cui non è sicuramente un’operazione di business, è veramente pura voglia e desiderio di tornare in pista.
Poi i segnali sono molto confortanti perché a me capita di girare l’Italia e quasi in ogni piazza in cui vado sento questa voglia, quest’affetto. Che tra l’altro è davvero sorprendente, perché non abbiamo veramente mai più fatto parlare di noi, è molto bello.

I vostri pezzi saranno in parte riarrangiati oppure preferirete riportarli alla luce così com’erano?

Una delle prime cose che ci siamo detti è stata “Non diventiamo la cover band degli Estra”, per cui non ci siamo posti il problema di ritrovare esattamente quella chimica o quel suono. Quindi credo ci sarà qualche piccola o grande sorpresa, ci siamo presi il lusso di reinterpretarci. Dieci anni dopo, abbiamo tutti più di quarantanni, ognuno di noi ha fatto il suo percorso…

Avete anche una visione diversa…

Esatto, che sia solo vitale o artistico o esistenziale è ovvio che sei un’altra persona. Tra l’altro per noi è sempre stato programmatico questo, il primo disco si chiama Metamorfosi, il secondo Alterazioni, l’unica fede che ci siamo concessi è quella di rimanere fedeli a noi stessi, cioè fedeli nel cambiamento e penso che questo ci accompagnerà tantissimo oggi più che mai dato che siamo altri, siamo “alterati”…

(sulla parola "alterati" arrivano le birre che avevamo chiesto...)

Anzi, stavo dicendo che in questi concerti ci sarà un quinto elemento, un polistrumentista che ci aiuterà, secondo me non a fare chissà quali voli, ma proprio a dare il suono che abbiamo noi in testa e nel cuore oggi. Ma anche una chitarra in più.

Quindi saranno abbastanza rivisitate le canzoni…

Alcuni sì, altri come per esempio Miele secondo me è così, è nata così e così morirà.



Com’è stato riprenderle in mano dopo dieci anni, che sensazioni avete avuto? A me è capitato di ritrovarmi con un vecchio gruppo e risuonare i pezzi e mi è sembrato un po’ strano, per voi com’è stato?

Come dicevo prima è come ricominciare da zero. Sì è vero c’è la canzone c’è la struttura, ma ci siamo trovati veramente a reinventare tutto.

Sì lo spirito è proprio non fare la cover band, non per forza ritrovare quella versione, ma risuonarla come la suoneremmo oggi

Quindi comunque è una cosa molto stimolante, non è solo nostalgia, ma una cosa nuova.

Voglia di renderle anche più attuali forse?


Più attuali per come siamo noi, non perché stiamo inseguendo una contemporaneità a tutti i costi.
Abbiamo anche un piccolo vantaggio perché avendo sempre avuto più o meno un sound molto scarno, mi sembra che le canzoni non siano invecchiate in maggior parte. Ci sono alcuni pezzi che io non scriverei più, ma questo fa parte di me, ma a livello di proposta e quindi di suono quello che ci ha stupito in questo ritrovarci, è il fatto che tutto sommato il nostro suono è ancora attuale. Questo può aprire molti dibattiti, cioè è il rock che non va da nessuna parte o noi eravamo in anticipo o…

Nel periodo in cui eravate in attività c’era tanto fermento intorno al rock,  cosa che poi è svanita negli anni successivi, in questo momento c’è un movimento molto ampio per quello che riguarda le band indie, voi avete sentito qualcosa, avete avvertito questa cosa oppure no?

Io assolutamente sì, continuo a essere curioso e ho anche la fortuna che essendo spesso in giro per l’Italia, alla fine degli spettacoli spesso c’è qualcuno che mi regala dei dischi e trovo anche il tempo di ascoltarli. Ci sono un sacco di cose interessanti, proprio tante. Altro discorso è se queste cose riescono ad avere un perso, se riescono a trovare spazio. 
Noi abbiamo avuto qualche (non tante) fortuna sotto quel punto di vista, perché siamo arrivati in un momento in cui anche nell’industria, forse grazie ai Nirvana prima e in Italia ai nomi che sapete, come ad esempio i CSI ma anche altri molto più di massa, c’era questa idea che anche il rock potesse arrivare al grande pubblico. 
Per cui evidentemente abbiamo beneficiato di un momento di quel tipo. Poi dopo è arrivato quello che sappiamo in termini di crisi dell’industria e quindi, a maggior ragione, chi ha un certo tipo di suono, un certo tipo di proposta fa ancora più fatica degli altri.
Tant’è vero che in realtà oggi a livello di grande proposta il suono come il nostro non c’è più. 
Potrei fare dei nomi di cose bellissime che ci sono in giro in questo momento in Italia, ma altro discorso è quanto riescono ad arrivare alle orecchie di chi magari sarebbe interessato, ma se non ha la curiosità di andarselo a cercare personalmente, non lo incontrerà mai, no? 
Mentre c’erano delle band insieme a noi che riuscivano comunque ad avere una chance di farsi vedere o di farsi sentire, questa è un po’ la differenza.
Poi il prezzo che si paga a lavorare con l’industria lo conosciamo anche quello, e sarebbe un altro lungo discorso. Però c’è tutto dentro questo discorso, cioè la bellezza di fare la musica che vuoi fare e la possibilità di farla sentire. Ma per farla sentire devi anche combattere tutti i giorni con chi vorrebbe che tu facessi cose più fruibili.
E gli Estra conoscono anche questo, forse anche più di altre band come noi, perché noi eravamo con una major tra l’altro. Altre band erano indipendenti anche nel senso tecnico. Noi facemmo una scelta diversa per la quale abbiamo dovuto conquistarci più di altri la credibilità, proprio perché non venivamo da una super casa di lusso indipendente.

Volevo riallacciarmi a questa cosa che hai detto, io mi ricordo che quando è uscito Tunnel Supermarket, sembrava un po’ il disco per allargare gli orizzonti, per arrivare a più persone. Poi forse non ha dato il risultato che sperava sia la major che probabilmente anche voi, e a causa di questo dopo si è rotto un po' qualcosa. E’ stato questo che poi vi ha spinto a lasciare in frigorifero il progetto oppure altro?

C’è da dire una cosa, Abe ricorda spesso un nostro incontro con Steve Wynn, quando noi gli dicemmo che noi eravamo già insieme da dieci anni e ci trovavamo tutti i giorni, o comunque un giorno sì e un giorno no, ed è così che fai una band, che fai un suono.... 
C’è da dire che in quel momento, confesso questa cosa, mentre lavoravamo alla scrittura di Tunnel Supermarket, per la prima volta in dieci anni, gli Estra non erano più insieme rispetto all’obiettivo finale, era la prima volta in cui forse ciascuno di noi avrebbe fatto un disco diverso. 
Mentre fino a Nordest Cowboy eravamo tutti convinti che l’unica cosa che dovevamo fare in quel momento era quella lì. Quindi Tunnel secondo me è già il risultato di un qualcosa che c’era dentro la band. 
Se ci aggiungi a questo le pressioni che avevamo all’esterno, sarebbe un discorso veramente lungo, ma purtroppo io mi ricordo tutto… Intanto era successo che i CSI erano andati al n.1 in classifica, i Subsonica avevano vinto Sanremo praticamente, allora improvvisamente c’era questo fottimento per cui chiunque venisse dall’indie avrebbe un giorno potuto diventare Tutti i miei Sbagli dei  Subsonica o Forma e Sostanza dei CSI e questo è stato un fottimento per tutti, tant’è vero che da quel momento in poi è impazzito tutto e non si è più capito nulla. 
Noi siamo parte di quella confusione in quel momento. Rivendico però il fatto che Tunnel Supermarket era un disco idealmente molto pensato. Cioè il titolo era proprio quello, lontanamente era Ok Computer, cioè “Ok siamo nel supermarket”, ma non solo noi quattro, tutti. L’idea era quindi quella di riuscire a dare un suono che partendo sempre da chitarra basso e batteria potesse darti il senso di questo fottimento, ma il disco non fu compreso affatto, causa anche una cover che qualcuno si ricorda. 
Ma l’operazione non fu compresa, perché noi eravamo Alterazioni, il nostro zoccolo duro non capì che era un’altra faccia della stessa medaglia, era semplicemente un arricchire lo stesso tipo di proposta.


(questa è la cover a cui fa riferimento Giulio)


Sì però non hai finito il discorso di Steve Wynn (ride ndr), che disse che le band hanno una vita fisiologica, di credo sette anni...

Meno, meno…

E quindi dieci anni erano già troppi per lui.

Lui diceva che era impossibile, come fate, dopo tre/quattro dischi, dopo sei anni, se una band è composta di quattro elementi è fisiologico che esploda in un’altra direzione...

Io tra l’altro mi ricordo che nel periodo in cui abbiamo smesso, si era guastato molto tutto l’ambiente del sottobosco musicale italiano. Erano i primi anni in cui internet veniva usato molto dalle band per commentare quello che facevano le altre band. Invece di sostenersi tutti cominciavano a darsi mazzate sulle ginocchia. Questo un po’ ci aveva anche infastidito e insieme a tutte le altre cose ci ha fatto dire “lasciamo un po’perdere”.

Mi ricordo i Marlene che venivano appunto falcidiati…

Si, hanno combattuto parecchio contro quel problema…

Io e Cristiano adottamo due linee opposte, cioè Cristiano si mise a rispondere ad ognuno io invece lasciai perdere, cosa che peraltro faccio tutt’ora.

Penso che ad un certo punto della carriera di una band lo zoccolo duro dei fans diventi non dico un problema, ma una cosa che ti crea problemi quando tu cerchi di andare verso un’altra direzione…

Non è disposta ad accettare il cambiamento…

E invece c’è gente che ti vuole sempre uguale, che poi forse è il problema che è venuto fuori quando è uscito Tunnel  Supermarket


Sì sì, è proprio così. Io speravo che avendo dichiarato da subito la metamorfosi (fa riferimento al loro primo disco, ndr), questo fosse un patto no? Siamo sempre noi e tutte le volte faremo un disco diverso e così abbiamo fatto, perché non abbiamo mai fatto un disco uguale all’altro.

Il fan vuole sempre essere ventenne e sentire sempre le stesse cose.

Ma infatti quando prima dicevo, noi non abbiamo nostalgia… sicuramente il fan è uno che ha sempre nostalgia, della prima volta, del primo disco, della prima volta che ti ha visto, della prima volta che si è innamorato di una tua canzone. 
Però se un artista è un artista ha il diritto/dovere di rinnovarsi. Poi anche lì ci sono artisti che per tutta la vita fanno lo stesso quadro, arstisti che invece tutti gli anni fanno una nuova mostra, noi siamo sempre stati del secondo tipo. 
E tra l’altro il mio percorso personale credo lo dimostri ancora di più, da lì in poi ho fatto talmente tante cose che è come andarsi a cercare continuamente in un altro posto. Finché ti ritrovi però, attenzione, non fare la qualunque, fare cose che ritieni necessarie anche se apparentemente magari sei “sconsigliato”. 
Che poi c’è anche un fatto di business che è terrificante, questo “dover funzionare” è la morte di tutto. Eppure ci fai i conti perché essendo un mestiere ci devi fare i conti. Non siamo elettrodomestici diceva un nostro amico ed è così, invece DEVI funzionare, perché quando qualcuno schiaccia il bottone e non funzioni più, basta, sei a casa.




Invece a proposito di nostalgia, mi ricordo che Metamorfosi me l’ha passato un mio compagno di classe in cassetta. (sulla parola cassetta tutti e due spalancano gli occhi, ndr)

(Giulio e Abe) Ah sì c’erano ancora le cassette…

Sì, che detto adesso sembra assurdo.

Così ci fai sentire vecchi però...

Ma anche io…

Ma cassetta originale intendi (sorride, ndr)

Sì assolutamente originale… che poi ho duplicato però.

Aaaah (ridiamo, ndr)

Volevo chiedervi, se gli Estra nascessero adesso sarebbe più semplice per voi raggiungere il pubblico o secondo voi era più diretto e semplice prima.

Qui entriamo nel dibattito sulla rete...

Sì forse adesso i mezzi sono più “democratici”

Più che sulla rete, io intendo sia come facilità che come qualità.

Il periodo sicuramente è molto diverso da quello in cui siamo nati…

E’ cambiato tutto, è imparagonabile…

Forse all’epoca c’era molta più attenzione e disponibilità…

All’epoca quel minimo di distanza che c’era ancora, questa cosa che l’artista era non rintracciabile comunque creava un interesse superiore. 
Il nostro primo disco si è imposto con cinque recensioni sulle riviste specializzate. 
Eravamo nel ’95, ’96, è stata l’ultima volta in cui le riviste specializzate hanno avuto un peso, attenzione è cambiato tutto anche da quel punto di vista. Quella volta lì mi ricordo benissima la recensione di Giancarlo Susanna su Il Mucchio Selvaggio che parlava di un piccolo capolavoro, quello è chiaro che l’interesse lo crea. Non so se poi crei anche l’acquisto, ma l’interesse, la curiosità li crea sicuramente. 
Oggi non è così perché tutti dicono tutto, tutti sanno tutto, nel giro di un secondo i primi trenta secondi di una canzone vengono ascoltati da tutti poi passiamo a un altro. Poi esistono delle cose virali Bellissime e spontanee ma qui appunto entriamo nel dibattito sulla rete, per cui io non credo che oggi sarebbe così.
Noi in realtà ci siamo conquistati quello che ci siamo conquistati con i live perché molto prima di firmare un contratto vero, abbiamo vinto ogni concorso in cui abbiamo suonato. Da lì qualcuno ci richiamava a suonare nel locale vicino, ma tutto senza contratto, con due autoproduzioni in cassetta, e abbiamo venduto un sacco di cassette tra l’altro (ridono, ndr). 
Quindi parliamo di un’epoca completamente diversa. Però, credo che Abe me lo confermerà, che noi la credibilità ce la siamo conquistata più sul campo che sulla comunicazione.

Quindi secondo voi da quel punto di vista sarebbe la stessa cosa anche oggi forse?

Forse sì, il problema è che mi dicono che i locali fanno più che altro cover band, che non pagano… 
Devi mettere insieme tanti elementi, probabilmente rispetto all’impatto che potremmo avere oggi su chi viene nel locale probabilmente sarebbe la stessa cosa. 
Ma mi dicono che anche i locali sono in crisi…
In quel periodo c’era la curiosità, anche noi eravamo i primi che nei week end andavamo in giro per locali a sentire. Veniva una band che so a Brescia? Wow, andiamo a vedere questi cosa fanno. 
Oggi non lo so, perché appunto è facile a casa avere le informazioni e quindi magari uno dice “va be…”. 

C’è anche questo, non credo che siamo qui per parlare di questo, ma due anni fa io ho fatto un disco che sull’on line è stato un trionfo, nelle prime tre settimane non ho mai avuto così tanti riscontri, poi però abbiamo fatto quattro concerti di presentazione e la gente non c’era, lo dico senza nessun problema. Che poi sì c’era, ma non certo quella che mi aspettavo rispetto al "popo" di recensioni, di osanna che c’erano stati. E la gente poi ti scrive “eh non potevo, avevo altro da fare, tanto il disco l’ho già sentito”, l’ho sentito per altro, non l’ho comprato.

Stessa cosa per il teatro, hai dovuto iniziare da zero, cioè hai iniziato con poco pubblico e poi la cosa è cresciuta o hai già trovato un ambiente diverso, curioso?

Il teatro è diverso quando non porti la tua cosa a teatro, ma è il teatro che ti inserisce in una stagione, è molto diverso, sono proprio due mondi completamente diversi. Certo, hai tutto il peso dell”absolute beginner”, ma sei in una stagione, per cui come dire, è un’offerta culturale che il teatro fa al proprio pubblico. Poi devi riempirlo il teatro eh, ma è diverso, perché comunque c’è qualcuno che frequenta quel teatro, che si fida della proposta del teatro.
Come quando i locali sapevano che dicevano “facciamo, che so, i La Crus “, tu dicevi “Chi sono i La Crus?”, però vado perché se me lo dice il mio locale di riferimento vado a sentire cos’è. E’ un po’ quella filosofia lì. Sempre meno eh, ma ci sono ancora operatori teatrali che fanno quel tipo di proposte.

Anche perché poi i teatri vivono molto sugli abbonati, quindi se gli abbonati si accorgono che la proposta non è più valida…

Esattamente, per cui diciamo che la cosa davvero diversa è quella, c’è ancora la possibilità di proporre, mentre mi sembra che nella musica, nei grossi locali si viva della stessa legge, che è una cosa che non sopporto, cioè che anche il rock che nasce proprio come contraddizione, nasce proprio con controcultura, come controproposta, viva poi delle stesse leggi che governano il nostro fottuto mondo e cioè se una cosa funziona te la propongo, ma se non abbiamo la garanzia che vengano ottocento paganti, sai non ce lo possiamo permettere.
E così è la fine di tutto, perché è così che si finisce a fare la coverband dei Depeche Mode, perché almeno lì la gente balla, gode.

C’è una scelta che avete fatto nel passato che a pensarci adesso magari non vi avrebbe portato a questo periodo di pausa e che invece avrebbe potuto farvi diventare gli Afterhours.

Mah io non ho rimpianti, non so… (indica Abe, ndr)

Direi di no, la refrigerazione è stata fisiologica, non è stata per scelte sbagliate, ci mancherebbe. Poi per carità c’era sempre da mettere d’accordo quattro teste, cinque anzi, per cui è ovvio che qualcuno era scontento magari di piccole cose ma in generale…

No anzi, se penso a quello che abbiamo sfiorato prima, il discorso del rapporto con la grossa industria, devo dire che siamo stati molto coraggiosi. Abbiamo sempre fatto esattamente il disco che volevamo fare, nonostante tutti i pareri sconcertati di chi ci li produceva.

Forse qualche volta abbiamo avuto un po’ paura di osare.

Certo quando hai addosso due direttori generali che ti dicono “Oh stavolta bisogna vendere cinquanta mila copie eh”...

Sì non sei serenissimo poi…

Quando sei in studio a registrare e ti dicono “mi raccomando la voce che si senta bene”, e a te piacerebbe sentire che so di più la batteria e ti dicono “no no..”, sono esempi così per dire, piccole cose, però forse a volte saremmo potuti essere più coraggiosi.

Però è vero che gli Estra sono stati anche tra i pochi che hanno sempre fatto delle canzoni, quasi tutti i nostri dischi erano piuttosto formali, la sperimentazione era dentro la forma canzone. 
Per cui, come dicevo prima, in realtà ci sono delle cose che oggi non farei, però in quel momento io ho sempre fatto il disco che volevo fare. 
Come diceva un mio amico, Nordest Cowboys è il più bel disco degli Estra nonostante che Alterazione sia il più bel disco degli Estra, perché in Nordest c’era proprio l’equilibrio tra la produzione, tra quello che una band con le proprie forze può fare in più oltre ai tre strumenti di base e il live, cioè la band che sta suonando in uno studio.

In Nordest c’era anche una ricerca di qualcosa di diverso rispetto ai dischi precedenti, forse era quello che andava di più verso il “cantautorato”, anche se questa definizione va presa con le pinze, comunque verso quella direzioni lì…

Perché inizia con Signor Jones… (ridiamo, ndr)

No, no, però mi sembra quello più strutturato…

C’era anche stato un salto qualitativo notevole dalla scelta del produttore, Jim Wilson, e allo studio che erano più professionali e importanti rispetto a quelli precedenti, per cui c’è anche un impatto sonoro diverso.

Ma invece i pezzi nuovi…?

Non ve li facciamo sentire qui eh (ridiamo ndr)

Più o meno che direzione hanno preso? Sono recenti?

Sì sì, di questi ultimi mesi in cui ci siamo trovati a suonare, nascono proprio in sala prove da improvvisazione da riff…

Tra l’altro a dimostrazione che avevamo molta voglia di reinventarci e ritrovarci, siamo partiti direttamente con dei pezzi nuovi, poi ad un certo punto ci siamo detti, però se fra un paio di mesi dobbiamo fare i concerti forse è meglio che ripassiamo (ride, ndr), quindi sono totalmente contemporanei a noi.

Il fatto che abbiate iniziato subito con dei pezzi nuovi significa che la “creatura” è viva…

Sì, forse la cosa vera era quella di non essere la cover band  di noi stessi, mi sembra la cosa più importante, perché il rischio era talmente evidente… Dieci anni dopo riprendi in mano i pezzi e “come faceva?” “no, no non era  proprio così…” e dopo ti incarti, non so come dire.

Il tempo a nostra disposizione è finito, ci salutiamo e Giulio e Abe scendono a fare il soundcheck per lo showcase, che vi racconterò...




12 febbraio 2014



Il primo dei due concerti dell'anno è prevedibile come i bis alla fine dei concerti.

WOODKID


Nel 2013 ho avuto due occasioni per vederlo, una la trovate recensita QUI (ed è anche uno degli articoli più letti di questo blog), la seconda è stata a Villa Arconati a Bollate.
Due situazioni diametralmente opposte, ma in tutte e due Yoanne e la sua band ne sono usciti col massimo dei voti.

La prima, ampiamente descritta nella recensione, era una situazione "mondana" ma anche un debutto importante: fiera del design, hipsters come se piovessero, vips, il jet-set indie milanese al gran completo, il teatro Franco Parenti strapieno, prima data in Italia. Insomma si giocava un bel po' di credibilità nel nostro Paese e dire che si è giocato tutte le sue carte al meglio è dire poco.

La seconda occasione è stata all'interno del festival di Villa Arconati, che all'apparenza doveva essere una situazione  più istituzionale, "seria". Ma visto il mancato tutto esaurito, la rilassatezza e la serenità che riesce a trasmettere la Villa e l'organizzazione, Woodkid ha saputo trasformarla in una festa.

Rispetto al concerto al Franco Parenti si è lasciato andare molto di più, ha cercato ancora di più di entrare in contatto col pubblico.

Anche prima di iniziare lui e la sua band hanno scherzato col pubblico dalla finestra del camerino (ubicato in una delle bellissime stanze della Villa), segno che anche per loro l'atmosfera di Villa Arconati aveva fatto effetto.

Alla fine ha fatto anche salire qualcuno del pubblico sul palco. Non due o tre persone, ma chiunque. Ha trasformato il palco in un vero e proprio dancefloor, dove c'era così tanta gente (compreso il sottoscritto) che non c'era quasi più spazio neanche per i musicisti.

Finito il concerto, siamo scesi tutti dal retropalco ordinatamente, senza creare nessun problema, segno che Yoanne aveva compreso e interpretato al meglio la situazione.



Ma oltre ad avere la capacità di leggere e interpretare al meglio l'atmosfera e le senzasioni del pubblico, oltre a portare una ventata di aria nuova nella musica, è riuscito anche a creare uno show unico. Con pochi elementi (solo fasci di luce bianca, videoproiezioni e disposizione sul palco della band) ha creato uno spettacolo mai visto prima e di una suggestione incredibile.
Cito dal precedente articolo:

... La disposizione è molto ampia e simmetrica (come tutto lo show): in fondo al palco ai due angoli opposti i percussionisti, ognuno con la sua grancassa sospesa (da suonare con le mani), messa di fianco rispetto al pubblico, in modo che suonandole si vedano i movimenti sincronizzati dei due, con un semplice ed efficace effetto scenico.
Sul fronte del palco, all'angolo sinistro (guardando il palco) il tastierista e il "paddista" e all'angolo destro i 3 fiati. Al centro naturalmente, lui.


...

Il mondo di Woodkid è però anche video,grafiche e show, come dicevo all'inizio.
Avrebbe potuto sfruttare tutto il suo enorme talento registico per il suo concerto. Invece molto intelligentemente ha deciso di tenere i suoi video fuori dal set, limitandosi a proiettare grafiche ipnotiche e simmetriche (sempre in bianco e nero come vuole la sua tradizione), molto suggestive ed efficaci nella loro semplicità.
Quello che apparentemente può sembrare una mancanza o una leggerezza è invece un punto di forza perché dei filmati troppo elaborati avrebbero distolto l'attenzione e avrebbero compromesso la partecipazione del pubblico.
Infatti in determinati momenti le proiezioni venivano anche spente quando il pezzo necessitava attenzione, oppure nelle parti più movimentate dove il pubblico poteva sfogarsi senza distrazioni.
Questo denota un'attenzione maniacale per la riuscita dello show, e una preparazione meticolosa. 

Anche Yoann, sapientemente, chiedeva attenzione e partecipazione in determinati momenti, probabilmente consapevole dell'effetto iptonico e "paralizzante" che può avere la sua musica così carica abbinata alle proiezioni,  non ha mai lasciato sprofondare il pubblico nel "suo mondo" sognante e ancestrale, ma ha cercato di tenerlo sempre sulla corda e sempre partecipe e pronto a rispondergli.

Anche la gestione delle luci è stata una parte fondamentale dello show, con una decina di fasci bianchi, e tre strobo, sono riusciti a creare un gioco di luci veramente suggestivo, e l'attenzione estrema ai particolari si è vista in un preciso momento quando i fasci di luce passavano velocemente dall'illuminare la sala all'incrociarsi su Woodkid formando una "stella" e le sue braccia si aprivano e si chiudevano a X sul petto, in contemporanea con il movimento delle luci.




Nella nuova data allo Zenith di Parigi (giocava in casa), ha aggiunto anche dei nuovi elementi rispetto all'ultimo tour. Oltre all'orchestra che già aveva inserito in altre occasioni particolari (come il live al Rex, sempre a Parigi), ha aggiunto una passerella circondata altri fasci di luce bianca e in più una marching band di tamburi, molto suggestiva e d'impatto. Segno che, nonostante abbia già fatto un ottimo lavoro, non si accontenta e vuole offrire sempre qualcosa di nuovo.


Live @ Zenith - Paris 2014 - immagini tratte dalla sua pagina facebook 






Lo show di Woodkid è un esempio di professionalità estrema e un nuovo standard di riferimento (escludendo le superstar americane del pop) per chiunque voglia dare qualcosa di più, oltre ad una semplice esecuzione dal vivo.

Non poteva non diventare il concerto dell'anno.