15 novembre 2011

Se due indizi fanno una prova, allora ho la quasi certezza che Milano sia un organismo autosufficiente che nasconde le sue perle alla vista di chi non è curioso, di chi è pigro. In questo caso non parlo di angoli nascosti, di tutti quei posti splendidi della città che si nascondono alla vista di chi è distratto, ma che si offrono silenziosi chi è disposto a fare quel passo in più per cercarli. Parlo della vita della città, dei suoi eventi.

Ho sempre amato questa città e non ne ho mai fatto segreto, ne ho già scritto in molte altre occasioni, anche se l'ho tradita con New York che è ancora miei pensieri. Mentre mi appresto a diventarne cittadino effettivo, dopo anni di cittadinanza "onoraria", proprio ieri sera ho trovato il secondo indizio di questa mia teoria senza alcun fondamento scientifico e nessuna velleità di averne.

Il primo indizio lampante dopo molte piccole avvisaglie l'ho avuto un paio di anni fa, in una sera come ieri a inizio settimana, in cui pioveva a secchiate e c'era un vento pazzesco e la cosa più naturale da fare era stare in casa all'asciutto. Invece decisi di uscire per andare alle Scimmie a vedere un piccolo concerto di Diego Mancino, nonostante sapessi che sarebbe iniziato tardi e finito tardissimo. Furono un concerto e una serata meravigliosi.

Ieri invece Milano ha deciso di proteggersi con la barriera più potente che possiede  e con la quale è diventata famosa (ma ormai c'è più nebbia al centro-sud che qui, miei cari...): una gran nebbia, non la più fitta che io abbia mai visto ma di tutto rispetto, su una scala da uno a dieci diciamo un 7,5.

Ieri sera al teatro Martinitt, c'erano due personaggi che si sposano perfettamente con le atmosfere fredde e nebbiose: Scott Matthew e Josh T. Pearson. Il primo un perfetto sconosciuto per me e gran sorpresa della serata, il secondo autore di un disco veramente notevole.

La serata inizia con Scott, il suo ukulele baritono e due musicisti.

Si capisce dalle prime note che non è un supporto a Josh, ma un concerto vero e proprio, la scaletta è ricca, si prende tutto il tempo necessario e alla fine troverà anche il tempo per un bis. La sua voce è perfetta per essere accompagnata da un ukulele e pochi altri arrangiamenti, molto piena, rotonda, leggermente soffiata, usata con molta cura e intelligenza, per dare la giusta intensità e il giusto colore ai pezzi, bilanciando bene falsetto, sussurrato, e parti più potenti. E' uno che sa veramente come emozionare e come trasmettere la grande intensità e delicatezza delle sue canzoni. Canzoni che sembra incredibile siano fatte (e credo anche composte) usando principalmente l'ukulele, per la grande varietà di idee messe sul tavolo e la costruzione perfetta delle strutture...

Avete presente le pippe per ukulele di Eddie Vedder? Ecco questo è un altro pianeta.

Oltre alle capacità di grande cantante e grande autore si presenta anche bene sul palco, con quel suo stile da Band of Horses mancato, con la giusta dose di umiltà e timidezza, mascherate da una vena comica che rende divertenti le spiegazioni dei pezzi e fa da netto contrasto con la natura cupa e triste di questi ultimi.







Come ho detto è stato una grande sorpresa e, nella pausa fra i due concerti, ne ho approfittato per comprare il vinile del suo Gallantry's Favorite Son.

Durante la pausa il palco si svuota, rimangono solo un'asta, un microfono e un occhio di bue. Ad un certo punto una barba spunta da dietro le quinte, Josh sale con la chitarra ancora nella custodia, manco fosse un busker qualsiasi che passa di là. Apre, imbraccia la chitarra, si prende il suo tempo per accordare e fa capire subito come sarà l'andazzo del concerto "This song is called tuning", e dopo due prove per verificare l'accordatura "Thank you good night" e fa per andarsene. Tutto il concerto sarà costellato da un umorismo nero, da prese in giro a noi italiani al limite dell'offensivo e ci tiene a specificare che sta scherzando: "Wow, che pace! E' la prima volta che sono in una stanza piena di italiani e c'è questo silenzio, bravi, vedo un radioso futuro davanti a voi!" preceduto da un "Good No Berlusconi Day!" e altre battute sul nostro ex presidente tipo "Resturants are full...", ma dopo averci "bastonato" per quasi tutta la serata mostra profondo rispetto per i nostri meriti e le nostre capacità artistiche "Thank you for Verdi" o a proposito sempre di Berlusconi "Maybe Sorrentino could make a film... i've seen Il Divo and it was great, i really like it", chiude il cerchio nel suo caratteristico e forse discutibile humor, con alcune barzellette (guarda caso un pezzo forte di B.) sui musicisti e sui pompini.

Fra una minchiata e l'altra però quando si avvicina il microfono e fa andare le dita sulla chitarra è un fiume nero e profondo, le sue dita e la sua voce sono capaci di creare il vuoto intorno a un rivolo di note sussurrate, oppure di inondare la sala con una cascata di suoni. C'è poco da dire di tecnico oltre a questo sul suo concerto, se non che ha suonato alcuni brani dal suo disco e ha chiuso con un "Rivers of Babylon" uno spiritual degli anni '70. La scaletta conta poco. Un concerto così è da vivere, Josh T. Pearson esprime la tradizione americana, ma con quel qualcosa in più che lo rende unico, nelle sue canzoni respiri il texas, il tennesee, l'alabama, l'oklahoma, tutti quei nomi di stati americani che ti fanno pensare a mandrie, praterie e ranch sperduti con vecchi cow-boy seduti sulla sedia a dondolo in veranda a fumare il sigaro e a bere whisky. Oltre a queste immagini però riesce a farti respirare la sua anima, la sua vita, sembra stia pregando, sembra stia chiedendo perdono lì da solo con la sua chitarra e le sue parole.



Alla fine Scott e Josh regalano più di due ore di grande intensità, protetti da una Milano che sapeva bene cosa stava succedendo nella sua pancia.

A proposito di musica dal vivo e di concerti di qualità, colgo l'occasione di ringraziare i ragazzi dell'associazione Golden Stage che ha organizzato questo concerto e molti altri, mettendo insieme una rassegna di grande qualità, che ha scommesso su due nomi quasi sconosciuti ed è stata premiata con un teatro quasi pieno nella profonda periferia di Milano. Complimenti, c'è un gran bisogno di gente come voi.

E se qualche sera Milano sembra la città più inospitale della terra, sappiate che da qualche parte al suo interno sta succedendo qualcosa di speciale... sta a voi scovarlo e goderne.