26 settembre 2022

 


C'è un momento preciso in cui è iniziata la disfatta del PD in queste elezioni ed è stata la prima volta in cui a Propaganda Live si è vista la gag del vaso degli esteri. 

So che sembra assurdo detto così, ma fino a quel momento Letta era solamente uno stimato direttore di una scuola di scienze politiche francese, un ex politico ormai fuori dai giochi (e lui stesso lo ha ribadito diverse volte) che nessuno avrebbe mai immaginato di nuovo alla guida del PD.




Grazie a quella gag però, e alle successive ospitate, il pubblico e gli elettori di sinistra riscoprono una brava persona e un buon osservatore politico, una figura rassicurante che in un momento di grande incertezza (durante il secondo infinito inverno di pandemia) colpisce per la sua pacatezza e sincerità. 

Nel frattempo inizia a montare lentamente la crisi del PD di Zingaretti, probabilmente la guida più debole e confusa della sua storia, in totale sudditanza e appiattimento sul M5S (come dimenticare le celebri frasi "Avanti con Conte" e "Conte punto di riferimento dei progressisti").

Così un partito in totale annaspo, ostaggio delle proprie correnti e in totale assenza di una linea da seguire, invece di avviare un'opera di ricostruzione, invece di indire primarie vere e aperte a tutti (unico modo a mio avviso di alimentare nuova linfa), si affida al volto familiare, che possa garantire alla sua classe dirigente un futuro di sopravvivenza senza troppi scossoni, in vista del prossimo appuntamento elettorale.

Essere una brava persona però non vuol dire essere un bravo leader, a maggior ragione quando il presunto leader in questione aveva già dimostrato di non essere la persona più adatta a ricoprire quel ruolo. 

Fin da subito la volontà di Letta è quella di riportare il PD a sinistra, ma lo fa in modo piuttosto maldestro e populista, con la volontà di piantare bandierine e far vedere che il PD "c'è" ma poca capacità (o volontà?) di scegliere il momento e il modo adatto. Lo ius soli/scholae sbandierato a fine legislatura e in piena guerra, il DDL Zan fatto naufragare in modo grottesco dando la colpa a Renzi quando era chiaro che il solo Renzi non bastava ad affossarlo ed era forse il caso di guardare internamente e fare un po' di pulizia, e tante altre piccole operazioni "simpatia", fatte più che altro per sfatare il mito del PD partito della ZTL, che per volontà politica.

Gli errori poi si moltiplicano dopo la caduta di Draghi, innanzi tutto con la pessima gestione delle alleanze, ma anche con la pessima gestione delle candidature, e qui ritorna l'intreccio con Propaganda Live. 

Le candidature più in vista di Letta sono più che altro figurine buone per twitter e per le trasmissioni di La7, tant'è che mettendo in fila alcuni nomi sembra di ripercorrere le ospitate o le carrellate di tweet di Diego Bianchi & Co: Cottarelli, Ilaria Cucchi, Civati, Soumahoro, e poi Lopalco e altri. Molte sono persone che stimo (sono molto contento che sia stata eletta la Cucchi), di grande caratura morale, ma molti di loro che radicamento hanno sul territorio a livello politico? Da un lato sembra la solita sinistra autoreferenziale che guarda dentro la sua bolla, ma dall'altro può essere anche una linea politica coerente: candido gente con cui la sinistra si identifica. Poi però ci si ritrova nell'uninominale gente come Casini, Spadafora, Di Maio, Azzolina. Che senso ha? Soprattutto quando si lascia a casa persone come Giuditta Pini, a mio parere una delle migliori di sempre in casa PD e con un fortissimo radicamento sul territorio?

In un elettore più o meno attento come credo di essere io già crea confusione, mi immagino lo scoramento fra i meno appassionati che si ritrovano sulla scheda sopra al simbolo del PD Lucia Azzolina, miss banchi a rotelle.

Questo è stato il primo grande errore, il secondo invece, forse ancora più grande, è un errore di presunzione e ingenuità allo stesso tempo, che arriva prima della campagna elettorale e risponde al nome di Di Maio.

La presunzione di Letta è stata quella di pensare di poter battere il M5S con un accordo "di palazzo" invece che alle urne. Nessun complotto sia chiaro, semplicemente è ormai sotto gli occhi di tutti che il tentativo di Di Maio di spaccare il Movimento nasce in contemporanea con un accordo con il PD e la garanzia di un posto in Parlamento per lui e tutti gli esponenti di spicco che con lui hanno lasciato. Basta guardare le candidature all'uninominale citate sopra. L'ingenuità invece è stata quella di sperare di aprire una breccia nella propaganda interna del M5S, che fin dalle prime avvisaglie di rottura ha fatto partire le cannonate contro Di Maio, dipinto come traditore, venduto, poltronaro e chi più ne ha più ne metta. 

L'operazione Di Maio è stata un gigantesco boomerang che ha fruttato la bellezza di uno zero virgola alle urne, non ha fatto altro che ricompattare il movimento e i suoi elettori, ha tolto ogni elemento di instabilità e lanciato definitivamente Conte come leader assoluto. Oltre ad aver fatto perdere un po' la faccia al PD.


Letta ora lascia un PD che ha fatto pochissimi passi avanti, con un risultato deludente e un'aria di tempesta interna che è più o meno la stessa che si respirava mentre Zingaretti dava le dimissioni. Un anno in cui poteva avviarsi un vero processo di rifondazione, con un risultato elettorale che probabilmente non sarebbe cambiato molto, ma con prospettive diametralmente opposte a questo senso di resa incondizionata alla destra che si respira oggi.

2 settembre 2022

Dalla composizione dei collegi del Senato, facendo il confronto con quelli della Camera, si capisce bene che grazie alla riforma dei 5S molti elettori non avranno un vero rappresentante per il loro territorio al Senato, ma in pochissimi se ne rendono conto.

La Lombardia per esempio passa da 5 a 3 collegi, che vuol dire meno persone che dovranno rappresentare un territorio più vasto. A farne le spese saranno i piccoli comuni e i centri più isolati, perché dovendo scegliere, gli eletti dovranno difendere le istanze dei territori a densità maggiore, sia egoisticamente per interesse elettorale, sia perché è più semplice portare all'attenzione delle commissioni esigenze che arrivano da un maggior numero di persone. Ma il danno maggiore è nelle zone a bassa densità abitativa, concentrate soprattutto al Sud, che conterà ancora meno in Parlamento.

In questo articolo di Pagella Politica si vede come diminuirà la rappresentanza delle regioni del Centro-Sud dopo le prossime elezioni. 

Quello di cui forse non ci si rende conto è che la prossima composizione del Parlamento in futuro creerà ancora più divisioni nel Paese fra chi abita nei grandi centri e chi in provincia, chi abita al Nord e chi al Centro-Sud. Sarà ancora più facile alimentare il populismo e l'invidia sociale nei piccoli centri, sarà ancora più facile alimentare il malcontento di territori che probabilmente verranno dimenticati quando ci sarà da legiferare, distribuire sussidi e sostegni e fare politiche di crescita.
A pensar male verrebbe da dire che il movimento che ha fondato la sua ascesa sul populismo e sull'odio per la politica, abbia voluto alimentare il suo (ex?) principale bacino elettorale con l'isolamento istituzionale, per poi in una fase successiva ergersi a difensore della rappresentanza tradita, contando sulla memoria a brevissimo termine dell'elettore medio.
Oppure è solo un letale mix di ignoranza e ideologia.