10 dicembre 2012




Parlando con varie persone, sentendo i discorsi che si fanno per le strade, o nei negozi, c'è sempre la tendenza a dividere in due categorie distinte l'Italia, e non parlo di geografia.

La divisione di cui parlo è molto sottile, ma al tempo stesso fondamentale per la coscienza e il pensiero degli Italiani: da una parte c'è il popolo italiano e dall'altra ci sono "i politici".

I politici vengono messi sempre in una sezione a parte nei discorsi, si parla di loro come se fossero una cosa distaccata, come se non facessero neanche parte di questo paese. "I politici" per molti italiani sono uno stato a parte, sono un'entità astratta, qualcosa di lontano e di pericoloso. Già solo la parola "politici" crea una spersonalizzazione profonda e pericolosa delle persone, dei cittadini, che sono inclusi in quella categoria.

In realtà i "politici", non sono nient'altro che parte del popolo, eletta dal popolo, alle quali vengono delegate decisioni riguardanti il popolo.

Molti di voi, anche io, soprattutto chi vive in piccoli paesi avranno amici impegnati in politica, con cariche nel consiglio comunale. Per cui basta guardarsi un po' intorno, per rendersi conto che "i politici" non sono una categoria lontana e astratta, ma sono molto più veri e vicini a noi di quanto si pensi, a volte sono anche nello specchio.

Questa spersonalizzazione, questa tendenza a relegarli nel loro angolo sporco, permette al popolo di sentirsi pulito, di sentirsi estraneo, di lavarsi la coscienza.

Purtroppo però i politici sono la diretta conseguenza delle nostre scelte, delle scelte di tutti. E non parlo solo delle scelte elettorali, ma delle scelte che facciamo tutti i giorni, anche la più piccola.

Ma non voglio fare la paternale sul senso civico, o sulle responsabilità dei cittadini, anche se è un argomento che ho sempre piacere di affrontare.

Quello che vorrei fare è riflettere  sulla  situazione in cui siamo piombati da un paio di giorni.

Siamo rimasti tutti storditi dal rientro in scivolata di Berlusconi, e neanche il tempo di rialzarci da terra, che subito è arrivato un altro calcione sugli stinchi, sotto forma di crisi di governo.

Non hanno neanche fatto in tempo a spruzzarci il ghiaccio spray, che subito siamo stati abbattuti un'altra volta dalla borsa e dallo spread.

In cinque giorni, siamo tornati indietro di un anno, in una settimana è stato cancellato un anno di governo tecnico, un anno di regole, di rigore, di cambiamento (perlomeno un tentativo).

Ma questo ribaltamento non è solo frutto del delirio di onnipotenza di una persona, arriva da un po' più lontano. Purtroppo, per quanto mi dia fastidio dare ragione a quell'uomo, quando dice che gli è stato chiesto a gran voce di tornare, indirettamente ha ragione...

Gli è stato chiesto il 2 dicembre.

E gliel'hanno chiesto circa un milione e settecentomila italiani.

Con le primarie del centrosinistra gli Italiani non hanno solo scelto un candidato premier. Hanno deciso che la vecchia politica non è poi così male. Che nonostante i danni, i disastri fatti in questi anni, tutto sommato non ci possiamo lamentare. Gli italiani hanno deciso che il cambiamento tanto sbandierato non lo vuole nessuno, che stiamo bene con quello che abbiamo e  non c'è bisogno di andare avanti, meglio stare fermi dove siamo, meglio non rischiare. Anzi forse è meglio tornare anche indietro. Gli italiani hanno deciso che il "vecchio" è ancora buono, è ancora valido, che è meglio tenersi le solite facce tanto contestate e chiaccherate.

E allora se gli italiani vogliono le solite facce, chi è la faccia più "solita", la più conosciuta, la più chiaccherata della vecchia politica? 




Ma torniamo indietro ancora a qualche settimana fa... è stata tutta un'improvvisata quella di Berlusconi?

Quanto ha influito lo sbando, la totale deriva del Pdl nel periodo di campagna elettorale della sinistra, sulla scelta ultra-conservativa di Bersani?

Quanto hanno influito i continui e subdoli attestati di stima a doppio taglio dal PDL nei confronti di Renzi?

Le primarie più volte sono state definite una "scelta per il prossimo premier", perché con il Pdl in pezzi non esisteva un altro schieramento in grado di intimorire il consenso del PD.

Anche per questo motivo il voto si è indirizzato verso un leader  più adatto all'illusorio tempo di pace che ci avrebbe aspettato dopo la messa in sicurezza di Monti. E' stato scelto quello che nell'immaginario collettivo è un pacato "amministratore", piuttosto che un giovane generale dal cervello affilato. Ma appena il leader si è insediato, le legioni nemiche fino a quel momento nascoste nella boscaglia (e pronte comunque ad eleggere un nuovo rampante generale, fosse servito), hanno attaccato.

E' sempre la solita e collaudata strategia della tanatosi.

Ma se avesse vinto Renzi  (un uomo solo contro il proprio partito e contro tutta la classe dirigente, senza alcun sostegno istituzionale) sarebbe stata assordante la richiesta di cambiamento degli italiani. Tutti i partiti a quel punto sarebbero stati costretti a correre ai ripari, compreso il PDL, che quando si tratta di seguire le mode non è secondo a nessuno. Sarebbe stata una corsa a presentare la faccia più fresca, più nuova, più immacolata per assecondare la richiesta. Piuttosto avrebbero cambiato la Costituzione per poter presentare candidati di 16 anni, e Berlusconi non avrebbe aspettato altro...

Ma, ahimè, così non è stato e le conseguenze sono quelle che stiamo vivendo in questa giornata.

In ogni caso, nessuno nei fortini dei vecchi partiti aveva intenzione di togliersi di mezzo.

Durante la campagna elettorale, sì è assistito a un clamoroso processo di morphing. Tutto a un tratto Renzi era l'uomo politico navigato, quello con gli scheletri nell'armadio, quello da radiografare in tutte le sue "innumerevoli" esperienze passate, il politico scafato, di lungo corso. Questo processo ha prodotto una serie infinita di accuse che per fortuna qualcuno si è preoccupato di raccogliere, a cui ne aggiungo un paio: la Corte dei Conti che con un tempismo perfetto, fra il primo e il secondo turno delle primarie boccia il Comune di Firenze, e il M5s che nonostante si definisca il baluardo del rinnovamento, con un tempismo degno del miglior Sallusti, inizia a pubblicare video di denuncia delle "Folli spese di Renzi", sempre prima del ballottaggio.

Bersani invece si trasforma nell'immacolato chierichetto di provincia, planato al parlamento direttamente da Bettola, con il parroco, la pompa di benzina, e i genitori a fare da sfondo. Ci sarebbe anche da parlare dell'assist clamoroso  di Vespa, che lo fa piangere "in diretta" mostrandogli il filmato dei suoi genitori, ma questa è un'altra storia.

Nessuno durante il periodo di campagna elettorale è andato ad analizzare quello che ha fatto Bersani dal MILLENOVECENTOTTANTA a oggi.  Fra le altre cose è stato (cito wikipedia) Ministro dell'Industria, Commercio e Artigianato nei governi Prodi I e D'Alema I, Ministro dei Trasporti e della Navigazione nei governi D'Alema II e Amato II, Ministro dello Sviluppo Economico nel governo Prodi II.

Quindi qualche responsabilità sul disfacimento economico attuale forse ce l'avrà anche lui... no?

Ma alla fine, come dicevo prima,  quello che conta sono le scelte degli italiani. Ogni scelta, dalla più piccola alla più grande. E mai come questa volta la scelta era importante.

Gli italiani avevano in mano forse la più grossa possibilità di voltare pagina, dal '94 a oggi.

Il 61%, SESSANTUNO PERCENTO degli italiani, ha spazzato via con una crocetta ogni tentativo di rinnovamento e ogni possibilità di voltare pagina. Non è stato un risultato equilibrato, è stato netto, schiacciante. E anche per questo la conseguenza di quel risultato è stata altrettanto netta e schiacciante, non è un caso, ce lo abbiamo sotto gli occhi.

Che lo vogliate o no, il risultato di quella scelta è la causa diretta di quello che sta accadendo oggi.

Come se non bastasse, non è così scontata la vittoria di Bersani alle prossime elezioni. La mancanza di memoria a breve termine (ma anche a lungo) degli italiani, la morsa sui portafogli e la stretta sulle tasse, la  famiglie stremate, costrette a fare i conti con sempre meno soldi, sono una preda fin troppo facile per Silvio.

Forte dell'abolizione dell'ICI, e della reimmessa IMU pronta per essere abolita anche lei, troverà molte pance scoperte a cui rivolgersi, alle quali risparmiare anche 1000 euro  all'anno farebbe la differenza fra l'essere piene o vuote. Dite che non è possibile che  ci caschiamo un'altra volta? L'abbiamo detto anche nel 2008.

Se non si presentano terzi incomodi (il m5s dubito che riesca a impensierire i partiti e le loro alleanze alle politiche), i prossimi mesi rischiano di essere molto bui...

6 dicembre 2012


Settimane fa...

Mio fratello: "Oh, a dicembre ci sono i Jim Jones Revue al Magnolia, si va!"

Io: "Eh chi cazzo sono?".

Mio fratello: "Ma come non li conosci? sono questi qua!".

Io: "Non li avevo mai sentiti".

Poi il nulla fino a ieri quando becco per caso l'evento su Facebook:

Io: "Oh ma 'sti Jim Jones stasera? Si va?".

Mio fratello: "Ah sono stasera? Si va!".

Questo giusto per farvi capire lo spirito con cui si è andati a questo concerto. Un mercoledì sera, nessun impegno, un probabile bel concerto a un prezzo onesto, perché stare a a casa?

Mai scelta fu più azzeccata.
I Jim Jones Revue sono una band incredibile.




Dal punto di vista musicale, non sono il massimo dell'originalità, ma credo non gliene freghi un cazzo dell'originalità. A loro interessa fare del rock n' roll, sudato, sporco, cattivo, bastardo, inglese, stiloso, ruvido... semplicemente del fottuto rock n' roll.

E lo fanno bene. Lo fanno così bene, che ormai le band con "quella roba lì" si contano sulle dita di una mano, e loro sono il dito medio (l'indice sono i The Kills).

Loro "quella roba lì" ce l'hanno nel sangue , non hanno bisogno di recitare, le movenze, lo stile, il modo di vestire, fanno parte di una storia di cui loro sono parte integrante, sono fra gli ultimi rappresentanti di un'attitudine che ormai è più rara dei bidet in inghilterra.

A tutti i gruppi che pensano che basti mettere un chiodo, pantaloni stretti e scarpe a punta per essere rock n' roll, consiglio di andare a vedere un loro concerto, e appendere il chiodo al chiodo.

Il concerto è stato un crescendo continuo, pezzi uno dietro l'altro senza respiro, e più i pezzi incalzavano più il pubblico si scaldava, più il pubblico si scaldava e più la band cercava il contatto e  la partecipazione, più c'era partecipazione più pestavano sugli strumenti, più si davano più si sbattevano.

Sul palco era un continuo muoversi, un continuo scambiarsi il fronte del palco, fra Rupert Orton, chitarrista con uno stile inarrivabile, e Jim Jones cantante con una voce raccolta da una discarica (in senso buono si intende) e capace di urlarti in faccia per tutto il concerto senza mai un attimo di tregua. Una batterista che dopo un primo periodo di riscaldamento (trovarne di batteristi che si riscaldano così), inizia a pestare sulle pelli sempre più forte fino a diventare un vero e proprio treno. Un basso distorto fino a diventare un tritacarne, e un pianista/tastierista che credo cambi i tasti delle tastiere con la stessa frequenza con cui un batterista cambia le bacchette. Tastiere che se non abbiamo visto male sembravano amplificate da due testate Orange! (se qualcuno avesse info più precise, lo prego di correggermi, o precisare).

Grande maestria, grande professionalità, nonostante all'apparenza sembrino degli scappati di casa che riescono a mettere insieme due accordi per miracolo, con Jim che sembra un ubriaco al pub, in realtà è tutta gente che ne sa tanto, e sa soprattutto come si sta su un palco, materia che ormai in pochi conoscono.

In fondo quello che fanno è un garage rock che affonda le radici negli anni 50, con una forte componente blues, pezzi che possono rimandare, per capirci, al mondo di Johnny B good e Great Balls of Fire, passate dentro a un overdrive grosso come la turbina di un aereo.

Ma lo fanno come pochi al mondo e come se non ci fosse domani, ed è questo quello che conta.

Magari non sarà il gruppo che vi cambierà la vita, musicalmente parlando. Magari il genere non vi piacerà neanche, magari su disco possono anche non dirvi nulla di particolare, ma dal vivo sono una di quelle band che VA VISTA. E se non riusciranno a smuovervi durante il loro concerto, probabilmente siete come Bernie.

Quindi grazie al Magnolia, grazie Hard-staff, grazie al fratello e grazie al rock n' roll per questo mercoledì da leoni.

3 dicembre 2012


Sabato 1 dicembre a Torino, si è svolto il concerto dei Black Keys con super special guest i Maccabees.

Mesi fa, all'annuncio che i Maccabees avrebbero accompagnato il duo in questo tour mi precipito sulla pagina di Ticketone ad acquistare i biglietti.

Non credo avrei affrontato la trasferta da Milano a Torino solo per i Black Keys, che sono un grande gruppo, sono famosi, sono bravi,  ma non sono  il mio gruppo preferito. Invece uno dei gruppi che mi piace di più al momento è proprio quello che a loro faceva supporto, per l'appunto i Maccabees.

Un gruppo che è già passato in Italia da headliner, candidato al Mercury Prize, osannato dalla critica mondiale, con un singolo e un album nella classifica dei top 100 europei. Non proprio gli ultimi arrivati.

i Maccabees delusi dal premio di consolazione al Mercury Prize


Peccato che non mi sia stato possibile assistere alla loro esibizione (se non per un paio di pezzi), per una comunicazione di orario errata.

Oltre a questo ci sono anche un altro paio di questioni che vorrei affrontare. Ma partiamo dalla prima:

ORARIO.

Fino a qualche anno fa, l'orario di inizio dei concerti era uno e quello rimaneva, inizio alle 21. Prima i gruppi di supporto e poi l'headliner, che spesso si faceva anche aspettare.

Tant'è che la frase classica che si diceva era "Ma sì, andiamo con calma per le 21 tanto prima ci sono i gruppi di supporto".

Ora sui biglietti c'è sempre e comunque scritto inizio ore 21.00, ma non si sa mai quando incomincia veramente il concerto. Lo si sa il giorno prima se il promoter vuole specificarlo sulla sua pagina facebook altrimenti si va a braccio.

Un paio di giorni prima del concerto mi arriva una mail da Ticketone che dice:

Cliccare per ingrandire l'immagine


"Inizio spettacolo ore 21.00"

Vista la specifica dell'apertura cancelli e dell'orario, la vicinanza al giorno del concerto e nessun avviso del tipo "l'orario d'inizio potrà subire variazioni" o "l'orario è indicativo", io lo considero un orario "ufficiale".

Sabato parto per tempo in modo da arrivare con un anticipo adeguato per poter fare la coda per ritirare i biglietti (altra questione che affronterò dopo). Un po' di problemi per trovare parcheggio, ma comunque sono in tempo, scendo dalla macchina alle 20.15, davanti al viale d'ingresso, passo davanti all'ingresso del Palaolimpico e sento i Maccabees che stanno già suonando.

Imprecazioni a raffica, mi precipito verso la biglietteria, per fortuna non c'è coda, ritiro i biglietti e il più velocemente possibile entro al Palaolimpico alle 20.30. Tempo di capire da che parte devo andare, avevo un biglietto per le tribune non numerate (anche questa è una questione che affronterò dopo), arrivo a un posto secondo me adeguato, sento tre pezzi e il concerto dei Maccabees è finito alle 20.55 circa. Altre imprecazioni.

Com'è possibile, a che ora hanno iniziato?

Il giorno successivo, vado sulla pagina facebook di Vivo per controllare se c'è qualche indicazione. Non avevo potuto farlo prima, perché sono stato in giro tutto il giorno sia venerdì che sabato e sulla app di facebook gli aggiornamenti delle fan page non si vedono.

Sulla pagina di Vivo il 30 novembre viene indicato inizio Maccabees ore 20.30, Black Keys ore 21.30.

Chi si occupa della vendita dei biglietti indica un orario e il promoter il giorno dopo un altro?

Chiedo informazioni sull'orario di inizio dei Maccabees perché evidentemente non hanno iniziato alle 20.30 e un ragazzo presente al concerto mi risponde che hanno iniziato alle 20.00.

Allora anche l'indicazione di Vivo Concerti è sbagliata, sebbene con uno scarto minore.

E' così difficile dare un'orario di inizio che sia giusto? Se vado a vedere uno spettacolo teatrale o uno di danza divisi in due parti, l'orario di inizio è uno e uno solo, è preciso (al massimo inizia con qualche minuto di ritardo) e corrisponde all'inizio della prima parte, perché per i concerti non è così?

A quel punto decido di richiedere un rimborso parziale anche solo per principio, e come "segnalazione". Perché ho perso una parte di concerto per un'indicazione sbagliata e soprattutto ho pagato 14 euro (per due biglietti, c'era anche un'altra persona con me) di diritti di prevendita e commissioni di servizio per un servizio che non è stato adeguato:

Cliccare per ingrandire l'immagine


Attendo risposta. Vi farò sapere.

Per alcuni di voi che vanno a un concerto all'anno, potrà sembrare ridicolo chiedere un rimborso per un gruppo di supporto, ma per altri come me che assistono a un gran numero di concerti durante l'anno (circa 3 o 4 al mese) e ci spendono discrete somme, la presenza di un gruppo di supporto può fare la differenza e può essere addirittura più importante della band headliner. Soprattutto pretendo che per quasi 40 euro a testa, quando invece il biglietto per il concerto ne costerebbe 32, le indicazioni per assistervi siano perfette sia da parte del promoter,  che da parte di chi si occupa della vendita dei biglietti.

Nel caso Ticketone non avesse informazioni certe sugli orari dei concerti dovrebbe limitarsi a rimandare alla pagina del promoter senza annunciare orari a caso.

BIGLIETTI.

Perché posso prendere il treno con un sms sul telefono, posso prendere un AEREO con una mail stampatama per un concerto sono costretto a fare la fila in cassa, o a spendere 10 euro per farmi spedire il biglietto fisico a casa?

Ribadisco, se spendo il 22% , VENTIDUE PERCENTO,  rispetto al costo base del biglietto per prevendita e costi di servizio, perché poi devo fare anche la coda, come se il biglietto lo acquistassi in loco?

Molti vogliono il ricordo del biglietto, anche se ormai i biglietti per i concerti sono tutti uguali, ma perché non dare la possibilità a chi vuole di poter entrare con un biglietto "virtuale"?

POSTI PARTERRE/TRIBUNE.

Che senso ha per un concerto del genere fare biglietti divisi fra parterre e tribune?

Sicuramente per questioni di sicurezza, credo, e va bene. Ma non capisco con che criterio sono divisi visto che sotto era mezzo vuoto e sopra non c'era un posto a sedere.

Forse perché chi ha il biglietto tribune non può andare nel parterre e invece chi ha il biglietto parterre può andare sulle tribune (non numerate), perché nel secondo caso non ci sono controlli?

Una persona che ha preso il biglietto per il parterre, ma si vuole riposare un po' o vuole vedere il concerto comodo perché c'è troppa ressa sotto al palco, può andare a sedersi sulle tribune, invece io che ho il biglietto tribuna (preso perché non c'era altro, io non guardo mai un concerto seduto, se non in teatro) non posso sedermi e non posso neanche scendere.

Inoltre poco prima dell'inizio del concerto la sicurezza ha fatto spostare tutti dalla balaustra della tribuna, dicendo che non si poteva stare. Io ho fatto presente che non c'era posto a sedere, ma mi è stato detto "di posto ce n'è, gira un po' il palazzetto e di posto ne trovi", ma davvero di posto non ce n'era.

Allora esasperato dalla situazione, (Cosa avrei dovuto fare, sentirlo da fuori?) appena si sono spente le luci mi sono intrufolato nel passaggio per il parterre.

CONSUMAZIONI

Ultima questione ormai risaputa, ma mai troppo contestata.

Non mi è permesso portare bevande (bottiglie, lattine, al massimo bottiglie di plastica senza tappo) all'interno per questioni di sicurezza e va bene e non mi è permesso neanche uscire dal luogo del concerto per prendere qualcosa.

Ma perché tutte le volte bisogna spennare gli spettatori facendo pagare un'acqua 2 euro, una birra da 33cl 4 euro e una bibita 3 euro?

Questo mio articolo non vuole essere una polemica fine a sé stessa, o il piagnisteo di un bambino (di 32 anni, con 15 anni di esperienza fra concerti fatti e visti) che non è riuscito a vedere il suo gruppo preferito.

Tutte le volte dopo i concerti, complice l'emozione, la bravura della band, il bel momento passato, i commenti entusiasti, le recensioni gloriose, si tende a dimenticare queste piccole cose.

Per questa volta invece saranno l'unica cosa che racconterò di questo concerto. Non me ne vogliano né i gruppi (che dubito fortemente leggano questa recensione) né Vivo Concerti, che è solo una delle tante parti coinvolte in questo tipo di problematiche, e domani potrebbe essere un altro promoter ad essere coinvolto. Questo articolo vuole essere solo uno stimolo a migliorare questi aspetti , alcuni con soluzioni più immediate e semplici, altri un po' più complicati, ma tutti importanti per la perfetta riuscita di un evento che è una delle esperienze più belle nella vita di una persona.



28 novembre 2012


Ieri sera è passato a Milano il nuovo, per modo di dire, talento del country americano.



“Country”… non so a chi sia venuto in mente di incastrare questo ragazzo in una definizione così limitante.

Come giustamente diceva un articolo di Rolling Stone è una definizione che in America fa vendere anche i sassi, ma all’estero ha l’effetto contrario, relegando l’oggetto in questione alla curiosità dei pochi cultori del genere.

Perché sentire la parola country, ancor peggio di “folk”, fa venire subito in mente cappelloni, stivaloni, banjo e slide guitar, come dicevo nel precedente articolo sui Band of Horses/ Bon Iver. Soprattutto se il personaggio in questione arriva anche dal Texas.

Ieri sera di country puro se ne è sentito veramente poco.

Sì è sentito blues, forse qualcosa di garage, e un po’ di folk. Tant’è che nell’ultimo disco, “Tomorrowland” in alcuni pezzi si sentono sonorità più simili ad Afghan Whigs e Screaming Trees che a Sonny James o a Johnny Cash.

Ryan sale sul palco insieme alla sua band, e che band, senza troppe menate, arrivano tutti insieme, salutano e attaccano a suonare.

Tutta la serata sarà caratterizzata da un atteggiamento molto pacato, semplice e professionale. Poche parole, qualche grazie, qualche annuncio del pezzo successivo, e alcuni incitamenti al pubblico molto pacati nei modi ma efficaci nel risultato. Se dovessi scegliere una parola per descrivere questo concerto sceglierei “professionalità”.

Il cantautore è relativamente giovane (classe ’81) ma ha già molta esperienza alle spalle e si vede in ogni suo gesto, in ogni sua nota. Si vede nella scelta della band (nuova). 3 musicisti incredibili, con uno stile pulito e personale. Non i soliti turnisti, ma persone che provano ad arricchire i pezzi con la loro personalità.

Bassista (donna) dal tocco delicato ma sempre incisivo e carico di ritmo; batterista molto dritto, senza orpelli, gran botta quando serve e grande atmosfera quando invece i pezzi sono più tranquilli. Il vero valore aggiunto della band però era il chitarrista, sempre con l’effetto e il suono perfetto in ogni occasione, anche cose che per il genere (country?!) sono marziane, come l’octaver per esempio. Sempre pronto ad impreziosire ogni passaggio senza mai strafare.

L’esperienza e la professionalità si vede nell’andamento del concerto e nella scaletta. All’inizio un po’ di blues, con alcune dilatazioni, poi i pezzi un po’ più rock e diretti, poi una brevissima pausa per tornare da solo con la chitarra acustica e poi la parte finale con il vero apice di rock n’ roll attitude della serata.

Con questo andamento sono riusciti ad accompagnare il pubblico esattamente dove volevano e sono riusciti a  a far crescere il calore e la passione dopo ogni pezzo. Arrivano all’apice dell’entusiasmo poco prima del rietro di Ryan da solo con la chitarra acustica. A quel punto, il pubblico, non avendo più pezzi movimentati dove sfogarsi, ed emozionato per la fantastica esecuzione dei pezzi voce e chitarra è andato in delirio con applausi a scena aperta, urla e fischi prolungati anche per molto, che costringevano Ryan ad attendere più del previsto per iniziare il pezzo successivo.

Questo non è un caso, ma vuol dire avere il polso della situazione e la consapevolezza di quello che dai al tuo pubblico e di come questo può rispondere. Vuol dire essere capace di portarlo esattamente lì dove e quando vuoi.

Quell’entusiasmo strabordante è stato poi la benzina sul fuoco dell’ultima parte del concerto che si è chiuso con una versione scartavetrata di Bread and Water.

A mio avviso gli episodi più riusciti, come accade spesso per i solisti e i cantautori, sono quelli dove la voce sabbiosa di Bingham ha più spazio per esprimersi, ovvero quelli più rock o d’atmosfera. Non è un caso che il pubblico abbia apprezzato particolarmente i pezzi eseguiti da solo, fra cui una splendida The Weary Kind, e un’ancora più splendida Hallelujah.

Anche alcuni pezzi del nuovo disco sono stati veramente notevoli, come una commovente Flower Bomb, e una fantastica Never Far Behind con dei suoni veramente grandiosi, grazie al grande gusto del chitarrista.

L’unico gradino su cui è un po’ inciampato è il primo singolo estratto da Tomorrowland: “Guess who’s knocking”. Onestamente non ha reso come mi sarei aspettato, un pezzo quasi garage rock che però sul palco è rimasto molto sommesso, peccato. Ma è veramente l’unico neo in mezzo a un grandissimo concerto.

Un’ultima considerazione vorrei farla sul luogo che ha ospitato il concerto, un luogo di riferimento per la musica dal vivo a Milano che offre sempre concerti di qualità:

La Salumeria della Musica di Milano.

Forse però si chiama “salumeria” perché ogni volta che entri devi lasciarci una fetta di culo:

25 euro di biglietto (che sarà anche bravo, ma rispetto per esempio ai 32 di Black Keys+Maccabees mi sembra un po’ eccessivo) , 10 euro i cocktail, 6 le birre e 5 le bibite.

A mio avviso sarebbe più giusto cambiargli il nome in “Oreficeria della Musica”.

15 novembre 2012


Ieri c’è stata la prima (credo) grande protesta organizzata a livello europeo, con annesso sciopero europeo.


Oggi i commenti sui giornali e sui blog si sprecano, chi analizza e contesta l’azione delle forze dell’ordine chi analizza il lato sociale della protesta, chi accusa i cosiddetti “centri sociali” o “black bloc”, ecc.

Io però voglio analizzare un aspetto delle proteste che non viene quasi mai preso in considerazione:

Il giorno dopo questa grande mobilitazione, questa sommossa popolare, questa “rivoluzione” cos’è cambiato, cosa si è ottenuto?

NULLA.

I Greci cosa hanno ottenuto in questi anni di manifestazioni e guerriglia?

NULLA.

Gli spagnoli con il movimento degli Indignados cosa hanno ottenuto dopo le innumerevoli manifestazioni, e dopo la grande mobilitazione contro il parlamento di qualche settimana fa?

NULLA.

Il movimento Occupy Wall Street cos’ha ottenuto?

NULLA.

Queste immagini sono la perfetta rappresentazione dell'efficacia delle manifestazioni in questi anni:



Si sente spesso parlare di rinnovamento, nella politica, nelle istituzioni, nel sistema finanziario, ma come si può chiedere un rinnovamento con forme di protesta di un secolo fa, come si può fare una rivoluzione con metodi che di rivoluzionario non hanno più nulla ormai, con slogan e schemi che hanno inventato proprio le persone a cui sono indirizzati?

Le manifestazioni, la guerriglia, lo sciopero sono forme di protesta senza più segreti per le istituzioni.

Sanno benissimo come combatterle, soprattutto sanno benissimo che non possono durare in eterno.

Sanno che la peggiore delle manifestazioni, dopo una giornata passata a prendersi lacrimogeni, manganellate, dopo arresti, fermi, scontri corpo a corpo, sarà destinata a diminuire di intensità e a disperdersi.

Anche la gigantesca manifestazione contro il parlamento spagnolo del 25 settembre che sembrava destinata a durare in eterno, si è spenta dopo poco più di una giornata.

Ormai il gene della rivolta nel mondo occidentale è morto, non siamo più abituati a combattere per prenderci quello che vogliamo, sono più di 50 anni che viviamo nell’illusione del benessere, che abbiamo tutto senza lottare neanche un secondo. Nessuno, e di questo ne sono più che certo, di quelli che sono scesi in piazza in questi ultimi anni è mai stato disposto a grandi sacrifici per ottenere quello per cui sta lottando e questo fa la differenza. A volte bisogna essere disposti anche a perdere la vita per la causa in cui si crede.

Anche gli scioperi ormai, sono una forma di protesta superata, tranne qualche categoria particolare e privilegiata che ha la possibilità di interrompere servizi fondamentali o di far perdere centinaia di migliaia di euro incrociando le braccia, gli altri non hanno forza sufficiente per mettere in difficoltà un paese. Anche in questo caso le istituzioni sanno che anche il peggior sciopero possibile è destinato a perdere di forza in poco tempo (categorie forti a parte, naturalmente).

Gli unici in Europa che sono ancora portatori sani del gene della rivolta sono i Francesi, ma anche per loro è un gene ormai sopito. Prima con Sarkò che faceva incazzare tutti un giorno sì e uno no, qualcosa si muoveva. Adesso con Hollande, che nonostante i messaggi bufala che sono circolati su Facebook non ha fatto ancora praticamente nulla, sono tutti più indulgenti.

Le manifestazioni e la guerriglia hanno funzionato per la Primavera Araba, ma in quel caso c’è una situazione economico-sociale che corrisponde alla nostra di 80 anni fa. Lì c’è gente che non ha più nulla da perdere, che non ha il pane e neanche le brioches, lì c’è la vera disperazione di chi deve lottare tutti i giorni per vivere, questo fa la differenza e i governi di quei paesi non si erano mai trovati ad affrontare una manifestazione, una rivolta organizzata e compatta e numerosa contro di loro. Di questo ho già parlato.

Le istituzioni in “occidente” stanno bene attente a non andare mai oltre la soglia del “non ho più niente da perdere”. Stanno attente a dare il giusto sfogo al popolo, o a cercare di non farlo pensare ai problemi reali, stanno bene attente ad arginare i “fiumi in piena” che stanno per esondare. La dimostrazione di forza, e violenza, delle forze dell’ordine nelle manifestazioni di ieri, appoggiata unilateralmente dal nostro ministro della giustizia in un modo che credo di non aver mai visto prima, è un chiaro segnale: “State attenti a quello che fate perché non abbiamo vincoli”. Nonostante questo possa aizzare ancora di più le folle, sotto sotto insinua molta paura nei manifestanti giovani e pacifici (il vero motore della rivolta e quelli più disposti a scendere in piazza e a protestare).

Come se non bastasse ogni manifestazione è resa vana dal solito problema da cui non se ne uscirà mai: se non ci sono scontri nessuno ne parla, se ci sono scontri parlano solo di quelli e tutto diventa un gigantesco “porno”, in cui sono tutti a caccia dell’immagine della manganellata, della condotta scorretta, dell’infiltrato.

Così il tutto si trasforma in rabbia contro lo scudo delle istituzioni, invece che contro le istituzioni stesse.

E' come se l'esercito medievale, una volta sfondate le porte del castello, si accanisse sulla porta stessa e si dimenticasse di entrare a conquistarlo.

Così facendo si invalida tutto il movimento di piazza. Per tutti diventa una manifestazione contro le forze dell’ordine, non contro chi ci governa politicamente ed economicamente. Le forze dell’ordine diventano il flusso canalizzatore della protesta, la caccia al colpo scorretto diventa un motivo di distrazione, di gossip, né più né meno dell'ultima dichiarazione della Minetti o della moviola su Juve-Inter che focalizza tutte le discussioni del day-after, in cui tutti discutono dell’episodio isolato, del fotogramma estrapolato, della conseguenza, ma nessuno si domanda i perché, nessuno discute sulla causa di quella manifestazione.

Per questi motivi secondo me è arrivato il momento di ideare nuove forme di protesta, adatte ai nostri tempi e che non forniscano memoria storica alle istituzioni per combatterle.

Forme di protesta che possano essere perpetrate per molto tempo e divenire efficaci sul lungo periodo, che vadano a colpire il cuore della causa scatenante.

Ci vogliono gli elefanti di Annibale e 15 anni di battaglie per penetrare nel nuovo Impero.

Chissà, forse una forma futuristica di protesta sarà una sorta di hackeraggio user-friendly.

Dopo lo sdoganamento della fotografia (tutti sono fotografi), lo sdoganamento del giornalismo (tutti sono giornalisti con un blog), chissà se sarà la volta del “tutti sono hacker”?

Le azioni di Anonymous per esempio hanno avuto grande risalto, e sono stati dei grandi colpi ad effetto perché hanno colto totalmente impreparate le loro vittime . Anche quelli non hanno risolto nulla, ma sono un esempio dell’effetto sorpresa che può avere una (relativamente) nuova forma di protesta (prima era utilizzato solo come sabotaggio, come esercizio per nerd o come ufficio di collocamento per aspiranti Steve Jobs).

Provate a pensare all’impatto che potrebbe avere una manifestazione pacifica e totalmente silenziosa, durante la quale non si bloccano solo le strade, ma tutti i dispositivi e tutti i sistemi nelle vicinanze.

Ma questa è solo una mia visione fantascientifica senza nessuna conoscenza tecnico-tattica. (a proposito di questa tematica di protesta/fantascienza ci sarebbe anche da discutere sull'impatto che ha avuto un film/fumetto come V sui movimenti di protesta, veramente notevole anche solo a livello di immagine).

Come suggerisce il titolo e molte altre citazioni presenti in questo blog, nelle canzoni di Elio c'è sempre una risposta a tutto:



"E Supergiovane da' fuoco a uno spinello col quale affumica il governo, che, all'istante, passa all'uso di eroina e muore pieno di overdose . "

Può sembrare stupido, ma  Supergiovane affronta il governo con qualcosa che il governo non conosce e non si aspetta, e addirittura lo porta all'autodistruzione: questo è il segreto della sua vittoria.



Concluderò dicendo qualcosa di impopolare. L'unica forma di protesta,rivoluzionaria ed efficace,  che mi viene in mente ora, soprattutto nei paesi latini dell’Europa, sarebbe anche la più semplice: RISPETTARE LE REGOLE a tutti i livelli e farle rispettare, e non mi rivolgo ai politici, ma a noi cittadini.

Ma questa è un’altra storia…

5 novembre 2012

In questi giorni Milano e in particolar modo l’Alcatraz ha ospitato due fra i più grandi nomi del nuovo folk americano.

E’ curioso come in pochi giorni lo stesso posto abbia ospitato due realtà accomunate da una base storico-musicale molto simile, ma dagli sviluppi diametralmente opposti.

Bon Iver è un progetto molto particolare. Spacciato come gruppo, forse per incontrare i gusti del popolo indie poco abituato ad appassionarsi ai solisti, in realtà è tutta farina di Justin Vernon. Un uomo con una voce baritonale stupenda, che si è suicidato inventandosi dei falsetti soppalcati. Falsetti che però gli hanno procurato un successo inaspettato, attirando l’attenzione di moltissimi (anche insospettabili, come Kanye West) per le trame musicali molto particolari che riesce a creare con le sue voci sovrapposte.

Le voci sovrapposte sono anche una delle caratteristiche dei Band of Horses, ma nel loro caso si tratta di un rimando alla tradizione folk americana, dove le (almeno) due voci armonizzate sono d’obbligo. L’esercizio di stile ai ragazzi riesce alla grande, difatti la resa è ottima, perché l’incredibile voce di Ben Bridwell è supportata in maniera egregia da Ryan Monroe e quando serve anche dagli altri della band.

Forse Justin Vernon ha voluto prendere questa caratteristica, esasperarla e portarla a un nuovo livello, che lo ha proiettato nel futuro di questo genere, andando a mischiarsi anche con l’elettronica e usanze, come la “macchinetta per la voce”, alias vocoder, che sono diventate marchio di fabbrica di tutt’altro genere, Kanye West per l'appunto ne sa qualcosa.

Dicevamo il futuro, perché se Mr. Vernon ha il merito di aver portato il folk nel futuro, i BOH hanno avuto (qualche anno prima di Giustino) il merito di riportarlo nel presente, dando una nuova spinta a questo genere, soprattutto negli ambienti indie e underground.

Se il merito di Bon è di essere riuscito a mescolare il folk con l’rnb e il pop più commerciale e di essere riuscito a portarlo negli ambienti patinati e snob dove non sapevano neanche cos'era; quello di Ben (e soci) è quello di aver mescolato il genere con il rock e con dinamiche moderne senza renderlo sofisticato, hanno preso la filosofia “grandi spazi-zero scazzi” del folk l’hanno mescolata con un po’ di distorsioni e ritmi serrati e si sono ritrovati in mano un genere fresco e nuovo. Hanno inoltre il merito di aver preso un genere che ormai sapeva solo di bovari, concime e sale da ballo in mezzo al nulla piene di stivaloni e cappelli da cow boy, e di averlo reso appetibile nei piccoli club delle grandi città, nelle sale prova, nelle cantine, in quei luoghi umidi e bui dove fino a qualche tempo fa se non avevi una distorsione che scartavetrava i muri eri uno sfigato.

Queste due realtà appartenenti allo stesso genere, ospitate dallo stesso luogo a distanza di pochi giorni hanno offerto due concerti che dire diversi è dire poco. Chi ha offerto il migliore?

Dal punto di vista scenografico oggettivamente vince a mani basse Bon Iver, ma la semplicità del set dei BOH ha il suo perché e funziona alla perfezione.

Justin si è portato sul palco qualcosa come una decina di musicisti, due batterie, fiati, polistrumentisti, tutti o quasi i componenti della band impegnati come coristi per riprodurre le mille sovrapposizioni di voce che lo contraddistinguono.

Una scenografia studiata nei minimi dettagli, con brandelli di un simil-vecchio sipario a incorniciare il palco, lumini a luce variabile appoggiati a paletti che attraversavano il palco formando una sorta di onda luminosa, proiezioni che andavano a colorare e animare i brandelli di sipario.

La Banda dei Cavalli invece si propone con un set fottutamente rock ‘n roll, luci semplicissime, palco spoglio e poche menate. Unica concessione al lato visivo dello spettacolo un telo dietro il palco sul quale venivano proiettate foto e timelapse, alcune prese dai loro dischi e altre molto suggestive (fra cui il Duomo di Milano e la chiesa di San Fedele) che imprimevano sempre l’atmosfera adeguata al momento senza distogliere l’attenzione dalla musica.





Dal punto di vista musicale, anche qui oggettivamente vince Bon Iver, ma la carica dei 5 di Seattle supera ogni aspettativa e ogni tecnicismo.

Al concerto di Bon Iver ho visto per la prima volta nella mia vita ( dopo aver assistito a numerosi tentativi inutili e finalizzati unicamente a fare scena) due batterie usate con criterio, arrangiate alla perfezione per arricchirsi a vicenda in ogni passaggio. In più il tocco dei fiati, soprattutto del sax basso che riempiva il suono in un modo sublime, e di tutti gli strumenti perfettamente arrangiati ha reso il concerto un vero spettacolo sonoro, che mira a riprodurre fedelmente quello che è stato fatto in studio.

Dall’altra parte però c’è una band che suona di brutto, che si diverte, che ha un pathos e una carica incredibili, che pensa a divertirsi, sciolta, distesa, che si concede anche qualche fuoriprogramma, che vive il palco con naturalezza, senza pose, senza “costumi”, solo loro e la loro musica. In più Ben appartiene a una categoria pericolosamente e tristemente in via d’estinzione, ovvero quella dei cantanti che fumano sul palco, che non c’entra nulla con la musica, ma da l’idea della naturalezza e della tranquillità con cui vive il concerto questa band.

Oltretutto i pezzi sono arricchiti, sono più pieni, acquistano una dimensione diversa dal disco, prendono vita, corpo e anima, diventano enormi e riempiono ogni spazio (purtroppo la pioggia non li ha aiutati a riempirlo) dell’Alcatraz e (concedetemi il sentimentalismo) ogni cuore presente in sala.

Per quanto riguarda la setlist e lo sviluppo del concerto, in questo caso vincono i BOH.

Bon Iver ha lo svantaggio di avere solo due dischi all’attivo, ma onestamente (nonostante sia stato un gran concerto) verso la metà qualche sbadiglio di troppo me l’ha strappato. Poi comunque si è ripreso alla grande sul finale, ma non ha cancellato il ricordo di quel calo, come invece mi accade di solito se il finale è in crescendo.

I BOH sono stati un flusso di emozioni continuo, non hanno mai perso un colpo, nonostante la ventina di pezzi in scaletta, non hanno mai avuto un calo, un pezzo che non rendeva al meglio, un errore, niente di niente. Sempre alla grande, un grande concerto suonato a bomba per tutta la sua durata.

In conclusione il concerto di Bon Iver è stato un grandissimo concerto, spettacolare, un vero piacere per le orecchie e un grande insegnamento per quel che mi riguarda dal punto di vista della produzione e arrangiamento dei pezzi. Lui è un artista gigantesco, con delle idee che sono fra le più originali e belle degli ultimi anni. Però non è riuscito a regalare quelle grandi emozioni che i suoi pezzi sono sicuramente in grado di dare. Finito il concerto non mi ha lasciato l’onda lunga che ti fa venir voglia di parlarne di sentirne ancora, di dire “non vedo l’ora che torni”.

Quello dei Band of Horses, è stato cuore e sincerità allo stato liquido, vedendoli e sentendoli sul palco arrivi a volergli bene per come si danno, per le risate e i sorrisi che si cambiano, per l’assenza assoluta di atteggiamenti artefatti, per come si divertono e per come riescono a trasmettere questo loro piacere di suonare insieme al pubblico. L’onda lunga del loro concerto rimane e anche bella grossa. Nonostante sia la seconda volta che li vedo, tornerò sicuramente anche la prossima volta; perché quello che ti danno è merce sempre più rara  e bisogna fare scorta ogni volta che ce n’è possibilità.

Il loro concerto è tutto racchiuso nelle parole dette da Ben Bridwell prima di iniziare a suonare “We are Band of Horses and this is Music”. Niente di più semplice, niente di più sincero, niente di più bello.

11 ottobre 2012

Trovate le differenze...



 
Lusi

 
Belsito

 
Fiorito

 
Maruccio

27 settembre 2012

Ulteriore breve riflessione sul Post-HC/Sludge.

Oggi salta fuori forse l'anteprima del nuovo disco dei Red Fang o forse solo un pezzo per lanciare il nuovo tour, e vuoi vedere che i Baroness ci avevano visto lungo e giusto?

I Red Fang sono alla prova del fuoco, al loro primo disco "vero", il primo che dovrà uscire sotto gli occhi attenti di tutti gli appassionati. A sentire questo pezzo, sembra che sono ben coscienti delle grandi aspettative e l'impegno è stato altrettanto grande.

Il pezzo è granitico, prodotto alla grande, curato nei minimi particolari, e musicalmente validissimo, ha tutti i connotati della "bomba".

MA?

Ma è arrivato fuori tempo massimo, non dice nulla di nuovo, anzi sembra ricalcare le strade già ampiamente solcate dai Mastodon, e come se non bastasse sembra che abbiano anche perso quell'approccio stoner e scazzato che li distingueva un po' dal mucchio.

Questo non significa che il prossimo disco sarà da buttare, anzi probabilmente sarà un disco da manate in faccia, un'altro grande disco da aggiungere fra i migliori del genere; perché i ragazzi sanno il fatto loro e hanno la giusta dose di "chissenefotte" per fare bene senza ansie da prestazione.

Solo che questo pezzo dimostra che forse veramente questo genere è arrivato alla saturazione, che tutto è stato fatto e non ci sono altre vie percorribili, e la svolta dei Baroness era veramente l'unica soluzione per non morire...

Aspettiamo un disco completo. Ma al momento "Crows in Swine" sembra l'ultimo grido di una bestia musicale affaticata e stanca. Forse, se il disco sarà all'altezza e non sarà troppo "mastodontico"come purtroppo lascia intravedere questo pezzo, i Red Fang saranno gli ultimi cavalieri capaci di farla uscire dal magma sotterraneo un'ultima volta...



Alla prossima puntata...

25 settembre 2012

In questi ultimi tempi ci stiamo tutti meravigliando dell'incredibile scandalo dei rimborsi elettorali spesi per ostriche, baldracche, attici, SUV, viaggi, e chissà cos'altro (cocaina per esempio?).

Lusi, Belsito, Fiorito, sono solo gli agnelli finiti sul ceppo. Con il loro sangue i partiti hanno cosparso le porte delle loro sedi per proteggersi dalla "piaga" che altrimenti si sarebbe abbattuta su tutto il loro mondo.

Lusi, Belsito, Fiorito... sembrano l'inizio di una formazione calcistica:

"Siamo alla terza giornata di campionato, la formazione dell'"A.C. A Delinquere" schiera in difesa Lusi, Belsito, Fiorito, a centrocampo... e in attacco...

Chissà chi completerà la formazione...

E poi sarà mai possibile che tutti i partiti affidino i loro soldi a ciccioni con gli occhi a fessura alla Bud Spencer che sembrano usciti da uno split della Banda Bassotti?







La cosa triste e comica è che come ci ha insegnato il luminare e precursore Scajola,  è sempre meglio passare per coglioni piuttosto che colpevoli. Nessuno nei partiti ha visto niente o si è accorto di nulla, è stato tutto "a loro insaputa" (cit.), anzi, si sono sentiti danneggiati dagli eventuali privilegi di cui hanno beneficiato "a loro insaputa" dalla gestione creativa dei fondi pubblici dati ai loro partiti.

La cosa triste e comica è che anche noi ci stupiamo, facciamo i moralizzatori, ci riempiamo la bocca con frasi colte e intellettuali, tipo "andate a casa", "sono tutti uguali", la casta di qui, la casta di là.

Anche noi abbiamo imparato da tempo che "meglio coglioni che colpevoli".

Veramente credevamo che la pioggia di milioni, miliardi, per la precisione 2,5 miliardi dal 94 a oggi (fonte La Repubblica) che per decenni è scesa sui partiti sotto forma di rimborsi fossero utilizzati per MANIFESTI, GAZEBO E COMIZI??

Manifesti di pergamena fatta a mano? Gazebo con paletti in oro e tenda in alcantara? Comizi con il palco del Popmart Tour degli U2?

Dai, per favore...

La verità è che abbiamo fatto finta di niente per decenni, ce ne siamo fregati altamente, nessuno ha mai chiesto seriamente dove finissero quei soldi, abbiamo fatto finta di non vedere, non sentire. Magari molti di noi nelle piccole sezioni di partito hanno anche usufruito in qualche modo di quei fondi... magari infilando qualche rimborso di spese personali qua e là.  Adesso ci stupiamo, ci indignamo e diamo la colpa alla casta.

Ma per 20 anni dove siamo stati? Possibile che nessuno si sia mai chiesto dove finissero quei soldi?

Si fa un gran parlare di controllo dei politici, di monitoraggio della loro attività, di come spendono i nostri soldi, ma se i cittadini sono i primi a fregarsene di come la classe politica spende i loro soldi, chi li deve controllare?

E non diamo la colpa neanche ai giornalisti, perché oggi tutti nel loro piccolo possono fare una ricerca, scrivere ai giornali, chiedere conto direttamente ai partiti e mettergli pressione anche via twitter/facebook, cercare almeno di mettere  in moto un sistema di controllo, di insinuare un dubbio.

Se non siamo tutti colpevoli, allora siamo coglioni, a voi la scelta...

28 agosto 2012

Come incendi, incuria, mancanza di senso civico e istituzioni inadeguate stanno distruggendo una delle zone più belle e "inesplorate" d'Italia.

Il Sannio per chi non lo sapesse è quella zona del Sud Italia (Campania) confinante con Molise e Puglia, che oggi si identifica generalmente con la provincia di Benevento e i paesi limitrofi.  Da qualche anno mi capita di passarci alcuni giorni (di solito in agosto e durante le feste natalizie) per ragioni sentimentali e ogni volta rimango stupito e amareggiato per quello che vedo intorno a me.

Il territorio collinare è un susseguirsi di campi coltivati, vigne, ulivi, boschi e  borghi, il tutto circondato da una cornice montana quasi incontaminata con boschi che si estendono per chilometri su tutti i versanti e pochissimi insediamenti umani.

Il panorama da Montefusco (AV)

La zona di Torrefusco e Solopaca con le sue colline verdissime e vigneti che si estendono all'infinito fino alle montagne. Il massiccio del Taburno che domina tutta l'area (Parco Regionale) con il suo santuario e la sue rete di sentieri. Le gole di Caccaviola a Cusano Matri, un canyon scavato dal torrente Titerno famoso fra i torrentisti e attrezzato per escurisioni organizzate. Questi sono solo alcuni dei luoghi degni di nota, dal punto di vista naturalistico è un territorio veramente ricco che offre tantissimo.

Un altro esempio del panorama visibile nei pressi di Sant'Agata de' Goti. Senza saperlo ho fotografato la discussa Collina Ariella, ferita dalle tracce di un incendio, che si dice essere una piramide simile alle presunte tali trovate in Bosnia.


In mezzo a questo paesaggio che poco ha da invidiare ad altre zone d'Italia più famose, si trovano dei borghi che sono delle vere e proprie perle, per citarne un paio  fra i tantissimi che si trovano:

Sant'Agata de' Goti, costruita a picco sulle gole create dai torrenti adiacenti è un vero e proprio gioiello, bandiera arancione del Touring Club, è un borgo formato da bellissimi vicoli stretti e tortuosi fra i quali si trovano molte chiese al cui interno vi è un grande patrimonio artistico.


Sant'Agata de' Goti


Montesarchio, con il suo castello che si staglia davanti al Taburno è uno  spettacolo come se ne vedono pochi in giro.

Montesarchio (foto di Francesco Gaddi)


Pietrelcina, famosa per essere il paese di Padre Pio e meta di pellegrinaggio religioso, è un altro borgo bellissimo.

Telese, con le sue terme e il parco.

Anche la stessa Benevento è ricca di storia e di luoghi da vedere e visitare, basti pensare che la città custodisce  uno dei pezzi del patrimonio dell'umanità dell'Unesco, la chiesa di Santa Sofia.

La piazza principale di Benevento, con la chiesa di Santa Sofia e il suo campanile


Tutta la zona è piena di questi gioielli nascosti, tutti da scoprire, borghi che non hanno nulla da invidiare a quelli della Toscana o dell'Umbria o delle Marche. Anzi, sono molto più autentici, senza quella patina disneyana ultraperfetta, ultraristrutturata e ultraturistica che hanno moltissimi borghi di queste regioni. Qui sono paesi che pulsano di vita vera, con la gente per le strade, che chiacchera, che vive profondamente la piazza, il contatto umano.

Una zona così ricca dovrebbe essere piena di turisti, invece di turisti non ce n'è neanche l'ombra o quasi...

C'è un'altra faccia della medaglia, a cui non si può non fare caso.

Incendi, speculazione edilizia,  incuria, maleducazione, mancanza di senso civico, non si può non fare caso a come si faccia di tutto per deturpare questo paesaggio e le sue risorse naturali. Non voglio fare il milanese che insegna ai meridionali come si vive, perché a fronte di alcuni ignoranti e delinquenti che operano questi scempi, ci sono molte brave persone, gentili, calorose e ospitali, che avrebbero molto da insegnare a quei miei vicini di casa cafoni e maleducati che neanche salutano quando ti incontrano per le scale o in cortile e non sono capaci di fare neanche una stupidissima raccolta differenziata, roba da prendere il bidone e svuotarglielo in cucina.

Nella settimana in cui sono stato lì ad agosto, ho visto in media tre o quattro incendi al giorno, intere colline e montagne sventrate dalle fiamme, interi boschi ridotti a pezzi di brace buoni per la griglia. Per un sostenitore della conservazione del territorio come me è stato veramente uno strazio vedere ogni giorno quel disastro. Le cause sono molte, dai contadini che incendiano le sterpaglie, ai bracconieri che col fuoco cercano di spostare la sevaggina, ai pastori che vogliono erba nuova, ai piromani. E' un problema di dimensioni difficili da immaginare se non lo si vede sotto al proprio naso.

Sulla sp81, in mezzo al verde la macchia scura lasciata da un incendio.


Come se non bastasse questo tipo di deturpazione, i bordi delle strade provinciali e le piazzole di sosta sono spesso ridotte a piccole discariche a cielo aperto, con sacchetti di spazzatura di ogni tipo buttati  a bordo strada. Intendiamoci, pochissima roba se paragonato alle immagini di Napoli nei giorni dell'emergenza, anche perché qui si fa una raccolta differenziata capillare, porta a porta). E se anche questo non bastasse, ogni cinquecento metri si vede uno scheletro di palazzina o villa lasciato a metà con i soli pilastri a sorreggere la struttura portante e niente altro, a causa di speculazione edilizia, condoni, concessioni speciali post-terremoto (L'irpinia è a due passi).

Come si può favorire il turismo quando non si ha rispetto dei luoghi che si abitano e che si dovrebbero offrire al visitatore? Se non hai rispetto per il posto in cui vivi, vuol dire che non hai rispetto per te stesso e men che meno per chi lo deve visitare.

In una zona dove c'è pochissimo lavoro e quello che c'è è pagato una miseria, la popolazione potrebbe vivere in gran parte di turismo, riconvertendo abitazioni e casali abbandonati in agriturismi e strutture ricettive, organizzando itinerari, escursioni, si creerebbero moltissimi posti di lavoro e si avrebbero soldi da reinvestire nel territorio.

In questa mancanza anche le istituzioni hanno la loro grossa fetta di responsabilità. Non vi è un minimo di promozione, pubblicità, per far conoscere il territorio. Molti commercianti si sono lamentati perché neanche l'inserimento della chiesa di Santa Sofia nel patrimonio dell'umanità dell'Unesco è riuscito a dare slancio al turismo. Un evento del genere per una piccola cittadina come Benevento dovrebbe essere pubblicizzato in tutti i modi possibili e immaginabili, invece credo che pochissimi siano a conoscenza di questo ennesimo gioiello.

Non basta qualche sito, alcuni inutili, altri esaustivi e completi come quello dell'ente provinciale del turismo di Benevento (www.eptbenevento.it), per promuovere il turismo, ci vuole cura e amore per il proprio territorio, educazione ambientale, forte e deciso contrasto alla deturpazione del paesaggio. Bisogna far capire a tutti (e non solo nella provincia di Benvento) che il territorio è una risorsa, che la natura è una risorsa, e se conservati al meglio e curati, possono portare guadagni a lunghissimo termine, invece dei fugaci e dannosi guadagni a breve termine dati dalla distruzione del paesaggio. I boschi incendiati impiegano decine di anni per crescere e tornare com'erano prima, i sacchetti se non vengono tolti rimangono per sempre a inquinare la vista e  il terreno, i palazzi non finiti in Italia rimangono per sempre. Non sono danni trascurabili, sono danni profondi e irreparabili che non saranno mai sanati. Non so in tutto questo quanto siano profonde in queste zone le infiltrazioni della Camorra, che quando si tratta di speculazione e deturpazione è sempre in prima fila. L'anno scorso il sindaco di Montesarchio era stato arrestato insieme a un assessore per associazione camorristica e reati elettorali e cercando vengono fuori articoli che ne parlano, ma non so quanto le persone avvertano e subiscano la sua presenza e credo non lo saprò mai.

Per questo è necessario iniziare un azione di educazione e contrasto profonda, perché non c'è più tempo da perdere. Nel contempo bisogna favorire il turismo con pubblicità, promozione, iniziative efficaci.

E' un circolo virtuoso, la cura del territorio alimenta il turismo che a sua volta aiuta a sviluppare il senso della ricchezza delle risorse naturali e paesaggistiche. Quando tutti capiranno che un territorio incontaminato porta visitatori che a loro volta portano soldi e benessere per tutti, tutti si impegneranno per la conservazione delle risorse. Questo vale per il Sannio, ma vale anche per tutta Italia, non tralasciando che la cura e la bellezza del luogo in cui si vive aumenta la qualità della vita.

Andate a visitare questa splendida regione, ancora  non toccata dal turismo su larga scala, perché merita veramente e più gente ci andrà più la aiuterà a migliorare, magari anche con qualche piccola critica costruttiva e facendo notare le cose brutte che si vedono.

16 agosto 2012

Torno a parlare di musica (finalmente) per parlare di un disco che dire controverso è dire poco.

Baroness - Yellow and Green


Il post-hc/sludge/chiamatelo come volete è un genere strano, perché è un non-genere che però ha una connotazione precisissima e un identità forte con un equilibrio sottilissimo e molto precario in mezzo fra altri generi. Appena si perde un minimo di questo equilibrio automaticamente si è fuori. Mantenerlo è difficilissimo e solo chi ha trovato una formula precisa e granitica e ha avuto la possibilità di svilupparla in sordina per molto tempo è riuscito a sopravvivere.

Già un intero movimento, quello post-hc quasi strumentale e di derivazione post-rock sì è praticamente estinto, logorato dalla ricerca di questo equilibrio, e autodistruttosi per non essere riuscito a trovare una svolta, cadendo nella ripetitività e nella mancanza di idee. Cult of Luna e  Isis sono le "morti" celebri, i Pelican sono sopravvissuti ma con grosse difficoltà, i Red Sparowes sopravvivono come side project con uscite sia live che discografiche a dir poco sporadiche.

Dopo questa ondata sono esplosi i Mastodon, che attualmente sono l'unica band di "nuova" generazione che è riuscita nell'intento di mantenersi nel genere cercando di portare ogni volta piccole novità e perché no di portare un po' più fuori dalla sua nicchia il post-hc. Il loro obiettivo dichiarato era quello di diventare band di riferimento di tutto il nuovo metal, ma l'obiettivo non è stato centrato in pieno. Sono riusciti ad arrivare a molte più orecchie di un qualsiasi altro gruppo simile, ma sono sempre rimasti un po' in sordina nel mondo metallaro mainstream.

Dopo di loro? Il nulla.

Non ho paura di dire che il posthc/sludge è quasi morto, sì ok ci sono i Red Fang, i Kylesa, ma sono più di stampo Stoner e non li vedo come dei gruppi che han voglia di prendersi sulle spalle tutto un intero movimento musicale e di portarlo in trionfo. Si sa che i generi musicali, senza alfieri e punti di riferimento vanno naturalmente a morire come grandi pachidermi nella savana. A parte casi isolati e molto underground, non si vede all'orizzonte un nuovo vero alfiere di questo genere.

A parte uno.

E questo uno sono proprio i Baroness.

Fin dal primo disco sono stati indicati e spinti a portare lo stendardo, si è gridato al miracolo, giubilo e gaudio a corte "Un altro Mastodon.... si!.. può!.. faaareeee!", col secondo disco la grande conferma, incredibile, sembra quasi un sogno e poi?

E poi arriva Yellow and Green.

Ed è come il padre interista che si ritrova all'improvviso con un figlio milanista, è come Rocky in Rocky V (capolavoro ingiustamente sottovalutato) quando viene mollato dal suo allievo prediletto che lo tradisce per soldi e figa.

Personalmente ho sempre pensato che i Baroness siano un gran gruppo, ma non sono mai riuscito ad ascoltarli veramente con piacere, perché li ho sempre trovati troppo legati, costretti in un sistema troppo stretto per loro, un po' come sentire Omar Rodriguez Lopez costretto a suonare La Canzone del Sole. Beh sì, è facile dirlo adesso dopo aver sentito questo doppio disco, ma giuro che era l'esatta sensazione che mi trasmettevano.

I Baroness oltre ad essere un grande gruppo sono anche dei musicisti intelligenti, e si sono voluti togliere in fretta di dosso tutte le pressioni, e le investiture che gli sono state date.

In ogni caso questo terzo disco sarebbe stato un "flop" o avrebbe avuto comunque critiche spietate. Quando hai addosso tutta quella attenzione e quando ti concedono due "5 stelle" di fila, no c'è capolavoro che tenga, se rimani sulla linea dei due dischi precedenti manchi di idee e sei ripetitivo, se provi a cambiare leggermente direzione sei bravo ma non hai centrato l'obiettivo e avanti il prossimo, se cambi totalmente sei un venduto.

E poi onestamente non so proprio cosa avrebbero potuto tirar fuori dopo due dischi così e altri 5 dei Mastodon prima di loro.

Hanno deciso di fare il colpo grosso, smarcarsi da tutti e portare la competizione un livello più alto, riuscire anche dove i tutti loro illustri predecessori hanno fallito: portare a un livello nuovo il genere e portarlo fuori dalla sua isola per evitarne l'estinzione di massa.

La cosa che mi ha stupido di più del disco, è che pur pucciando i piedi di qua e di là, riesce comunque a mantenere quell'equilibrio di cui parlavo prima e riesce a mantenere la sua matrice nel genere nativo pur non essendolo.

C'è chi ha parlato di tradimento, chi ha parlato di obiettivo poco chiaro, chi ha parlato di disco troppo dispersivo, di pochi tratti a fuoco e molti altri totalmente fuori norma.

Secondo me è un disco come non ne capitavano da almeno 20 anni, un disco che segna indelebilmente la storia, per quando oggi la musica rock incida poco sulla storia, e che sancisce  la nascita (finalmente) di una nuova grande band di stampo metal.

Avete presente "Mellon Collie and the Infinite Sadness"?

Questo è il suo fratello minore (a mio parere per età e non per qualità).

Curiosamente questi due doppi album arrivano da due band all'inizio della loro carriera, dopo due dischi osannati, che si sono smarcate dal genere in cui volevano a tutti i costi incasellarle, consacrandone il successo a livello mondiale. Il grunge negli anni '90 aveva tutt'altra considerazione rispetto allo sludge/posthc/postmetal di oggi, ma con le dovute proporzioni nei dati di vendita si può dire che  il salto è stato lo stesso. E curiosamente agli Smashing Pumpkins sono state mosse le stesse critiche al tempo dai loro fan storici. Curiosamente c'è anche un pezzo sul disco dei Baroness il cui riff e ritmica ricordano molto da vicino un pezzo presente in Mellon Collie...vediamo se lo trovate (la soluzione a fine articolo).

Altro punto della questione: oltre a portare il genere in una nuova dimensione, i Baroness hanno il merito di riuscire nell'impresa di riportare gli assoli nel mondo metal moderno (moderno come concezione, non come età) , dandogli un senso, una nuova connotazione, e un ruolo principale nell'arrangiamento del pezzo. Assoli completamente opposti a quelli che il mondo metal è abituato a sentire, tutta tecnica e niente cuore e cervello, ma un tipo di assolo emozionale a metà fra Pink Floyd e i QOTSA.

Alcune critiche arrivano anche perché secondo i detrattori, hanno fatto il salto ma non l'hanno fatto abbastanza lungo, perché per la paura di scontentare troppo i fans sono rimasti con un piede nel loro vecchio mondo.

Io credo, come dicevo prima, che sia proprio questa la grande forza di questo disco, quello di rimanere all'interno del loro genere ma di contaminarlo con altro, cosa che nessuno aveva mai fatto veramente e con questa qualità ed efficacia.

In questo doppio disco ci sono pezzi clamorosi, come "March into the sea", già solo il gioiello d'arpeggio che c'è in questo pezzo vale il prezzo del disco. "Board up the house" o "Back where I belong", con un assolo a due chitarre (che solitamente non sopporto perché è la classica sboronata ignorante e inutile del classic metal) da lacrime; "Psalms Alive" con un andamento al limite del drum n' bass e un esplosione centrale da indici al cielo. Ci sono dei grandi pezzi molto diversi fra loro, che però hanno tutti la stessa identità e una coerenza di fondo.

L'altra grande rivoluzione sono le linee vocali. Finalmente da un genere che nelle migliori delle ipotesi quando ha voluto fare il melodico ci ha abituati al mononota (anche qui i Mastodon ci avevano provato senza avere il coraggio e la capacità di osare, anche per evidenti limiti tecnici) arriva una nuova (per il genere) concezione di "cantato", che non ha paura dei pregiudizi. I Baroness regalano un lavoro sulle voci ottimo e finalmente dei pezzi che ti spingono a cantare, che volenti o nolenti è sempre stato un grosso limite di questo genere, nelle sue frange più o meno melodiche.

Sì, forse nella parte verde del disco c'è qualche episodio non riuscito, ma anche il sopracitato Mellon Collie aveva alcuni episodi non proprio ottimi eppure è considerato, con i suoi pregi e difetti riconosciuti, universalmente il loro capolavoro e un disco di riferimento per quegli anni e per tutta la musica.

Non voglio fare il controcorrente per forza, non mi interessa, ho approcciato questo disco con grande scetticità e distacco, non sapevo cosa aspettarmi, e mi sono ritrovato con un desiderio di ascoltarlo e riascoltarlo che non mi capitava da moltissimo tempo.

I Baroness si sono trovati davanti a un bivio: o l'estinzione di massa o rischiare e andare alla ricerca della valle incantata. Hanno scelto la seconda, non so se hanno trovato la valle incantata ma sicuramente è un posto fertile dove far crescere la loro musica e il loro "branco".

L'estinzione è scongiurata... per ora.

La soluzione al quesito della Susi è:

March into the sea - Bodies

2 agosto 2012


Non voglio far diventare questo blog un blog di bicicletta (l'ho già detto?) ma l'argomento è caldissimo e non posso esimermi dal dire due parole. Visto che mi sono già preso una buona dose di insulti in un articolo precedente non voglio perdere l'occasione per prenderne altri.

Chiarisco subito che al momento io non sono né a favore né contro l'obbligatorietà del casco, perché prima degli obblighi di legge conto (sbagliando) sull'intelligenza delle persone, e prima di tutto mi interessa la salvaguardia della vita delle persone, a prescindere dalle leggi imposte.

A seguito di un articolo apparso su Quattroruote (che purtroppo non riesco a recuperare da nessuna parte, non è stato riportato online), si è infiammato il dibattito sull'obbligatorietà del casco... o meglio sull'utilità del casco in bicicletta. Prima #Salvaciclisti  (movimento dal quale voglio ufficialmente dissociarmi a causa della risposta ai limiti della follia all'articolo di Quattroruote), e poi FIAB hanno risposto all'articolo portando le loro motivazioni che vorrei analizzare nello specifico, perché personalmente mi sembrano a dir poco assurde. Ok essere contro l'obbligatorietà del casco, ma le argomentazioni portate per sostenere quest'idea a mio avviso fanno più danni che altro. Prima di arrivare all'obbligo o no, bisogna chiarire se a Salvaciclisti e a Fiab interessa più la salute dei ciclisti o LA GRANDE, EPICA ED EROICA GUERRA CONTRO LA FAMIGERATA  LOBBY delle AUTO.

Stendiamo un velo pietoso sui toni complottisti, deliranti e offensivi che ha usato #Salvaciclisti per rispondere a Quattroruote, già ridicolizzati dalla pacata, efficace ed educata risposta del direttore. #Salvaciclisti snocciola i soliti dati copia e incolla senza citare uno straccio di fonte, come è ormai tristemente di moda, per dimostrare l'inutilità del casco obbligatorio.

Fiab all'inizio della sua risposta dice che consiglia caldamente l'uso del casco, salvo poi fare di tutto per dimostrare la sua inutilità.

Ma vediamo...

#Salvaciclisti: "Su 1.000 utenti fragili della strada uccisi in Italia dalle automobili, 750 sono pedoni e 250 sono ciclisti: mettiamo il casco ai pedoni?."

Una bella argomentazione, peccato che non si tenga conto del fatto che i pedoni sono molti di più dei ciclisti, per questo il numero di morti è così alto rispetto a quello di questi ultimi. Occorre portare delle percentuali rispetto al numero totale di soggetti per avere una argomentazione valida. Anche i morti in auto sono maggiori di quelli in moto, togliamo il casco anche ai motociclisti?

#Salvaciclisti: "E non contengono, sia ripetuto, un briciolo di rispondenza a realtà ad impatti superiori a 23 km/h il caschetto è ininfluente per la sicurezza, e a volte provoca lesioni gravi a atlante ed epistrofeo, con conseguente lesione del midollo spinale e relativa paralisi motoria."

FIAB: "Non è invece appropriato il confronto con l'obbligo esteso alle moto, a cui erroneamente ci si riferisce per dimostrare l'utilità di un provvedimento a cui i ciclisti si opporrebbero in modo miope. Infatti i caschi per moto sono omologati per impatti fino a 70 km/h e quindi proteggono da investimenti e cadute fino a questa velocità, mentre i caschi per bici, del tutto diversi in quanto necessariamente aerobici, sono omologati fino a 23 km/h e quindi non proteggono né dagli investimenti né da cadute ad alta velocità (vedi quanto successo lo scorso anno a Weylandt), ma solo da cadute del ciclista da solo, con lo stesso rischio di un pedone che inciampa e cade per terra."

Secondo me qui si arriva al delirio, non solo si dice praticamente che il casco in bici non serve a nulla se non nei casi in cui si cade da soli e da quasi fermi, ma addirittura #Salvaciclisti sostiene che non solo non protegge, ma fa anche danni (sua quali basi, in quali casi, quali studi lo hanno dimostrato? In che precentuali? Non si sa)!

Innanzi tutto se un casco è omologato per impatti fino a 23km/h, vuol dire che è la MINIMA protezione che un casco deve avere. Non esclude che un casco possa proteggere anche per impatti a velocità superiore, cosa molto probabile.  I costruttori si terranno sicuramente un margine di rischio per le prove e quasi sicuramente lavoreranno per alzare sempre di più la soglia di protezione, è nel loro interesse. Cinicamente parlando, un ciclista morto è un cliente in meno. Ci sono anche diverse tipologie di caschi da bici con diverse tipologie e gradi di protezione, non si può generalizzare.

Oltre a questo non vuol dire che in un impatto a 23,1 km/h quando ti togli il casco  ti si apre la testa come ammiocuggino.

Sono d'accordo sul fatto che gli incidenti capitano più spesso per impatti contro le auto che vanno anche a più di 23km/h. Ma non è che quando un'auto va contro a una bici, centra in pieno la testa del ciclista. Più verosimilmente impatterà sul corpo/bicicletta/gambe del ciclista che in un secondo momento andrà a battere la testa sull'asfalto o sull'auto stessa o su qualsiasi ostacolo presente, per cui non è che se una macchina va a 50 all'ora l'impatto sul casco sarà sicuramente a 50 all'ora.

Non sono un esperto di fisica ma mi affido a quelle quattro nozioni che conosco e alla logica: negli impatti vi sono varie cause di dispersione di energia che fanno sì che prima che la testa batta contro qualcosa, la velocità d'impatto sarà molto probabilmente diminuita rispetto all'impatto principale.

Il povero Weylandt, si è letteralmente schiantato mentre scendeva a 80 all'ora, per cui secondo la  tesi di Fiab e salvaciclisti non si sarebbe salvato neanche con un casco da moto,  fra l'altro è morto non solo per i traumi alla testa, ma anche per traumi gravi su tutto il corpo. E' stata una tragedia a dir poco sfortunata e non è opportuno strumentalizzarla per dimostrare l'inefficacia del casco.

Infine, se l'omologazione è stabilita entro i 23 km/h è perché qualcuno avrà studiato le casistiche degli incidenti in bicicletta e avrà verificato che la maggior parte degli impatti avviene entro questa velocità. Altrimenti che senso avrebbe l'omologazione?

FIAB: "Non è invece appropriato il confronto con l'obbligo esteso alle moto, a cui erroneamente ci si riferisce per dimostrare l'utilità di un provvedimento a cui i ciclisti si opporrebbero in modo miope. Infatti i caschi per moto sono omologati per impatti fino a 70 km/h e quindi proteggono da investimenti e cadute fino a questa velocità"

Vale lo stesso discorso dei caschi per bicicletta, protegge "SOLO" fino a 70 km, quando in autostrada si viaggia anche a 130, per cui per impatti superiori è inutile, quindi il casco per le moto non serve a niente?

FIAB: "Le motivazioni tecniche di tale contrarietà sono ben illustrate sui siti FIAB ed ECF (breve sintesi per es. http://fiab-onlus. it/salvaiciclisti/component/content/article/58-casco. html)"

E' incredibile come per rafforzare la loro tesi portino un "documento" scritto di loro pugno, sul loro sito, senza portare le fonti, senza alcuna dimostrazione di questi dati. E' come voler dire:  il casco obbligatorio non serve a niente perché lo diciamo noi, punto.

In conclusione, per combattere la proposta di obbligatorietà del casco, non si possono portare argomentazioni contro l'utilità del casco in sè, è sbagliato, diseducativo, ed è anche da irresponsabili scrivere certe cose.

Visto che non serve a nulla negli impatti oltre i 23 km/h invito gli amici di #Salvaciclisti e FIAB a fare un crash test a 30 all'ora prima col casco e poi senza e vediamo...

Io non mi baso su statistiche prese da non si sa dove, mi baso sull'esperienza, su testimonianze dirette di persone che la bicicletta la usano per davvero, facendo migliaia di chilometri all'anno, non solo per fare la critical mass al giovedì sera. Persone che possono raccontare quanto è utile il casco solo perché ce l'avevano in testa quando sono caduti o quando hanno fatto un incidente. Mi baso su foto di caschi spappolati e rispettive teste intere, di testimonianze di gente in mtb che ha impattato contro alberi e rocce in discesa e lo racconta facendosi una risata solo perché aveva il casco. Mi baso per esempio su di un ragazzo in bmx che ho soccorso una mattina in una pool, che si è aperto la testa cadendo e se avesse avuto il casco non si sarebbe fatto nulla se non qualche abrasione .

Se non avete testimonianze dirette andate su qualche forum o sito di bici e vedrete quante ne trovate.

Spero che in un futuro quasi fantascientifico, quando tutte le strade avranno la loro sede ciclabile, e vorranno introdurre l'obbligo alle bici di circolare sulle piste ciclabili (perché scommetto che ci sarà bisogno di introdurlo), FIAB e #Salvaciclisti per difendersi dalla LOBBY delle AUTO non se ne saltino fuori a dire che le piste non servono a nulla, che disincentivano l'uso della bicicletta, che non salvano la vita e anzi a volte provocano paralisi e altre amenità del genere.

25 luglio 2012

Oggi il sito del Corriere pubblica un articolo in cui si fa luce su una zona d'ombra della legislazione sugli infortuni sul lavoro. L'inail non riconosce l'infortunio in itinere (per chi non lo sapesse, si ha diritto a un indennizzo in caso ci si infortuni mentre ci si reca al lavoro) a chi utilizza la bicicletta se non realmente necessario. Cioè se voi scegliete la bicicletta come mezzo di trasporto in alternativa ai mezzi pubblici o all'auto, e la usate su strade aperte al traffico e non su piste ciclabili o percorsi protetti lo fate a vostro rischio e pericolo... in sostanza, siete degli incoscenti.

Per chi, per esempio, pratica downhill è necessario stipulare una polizza apposita, poiché il più delle volte le normali assicurazioni infortuni o vita non coprono in caso di infortunio, perché può essere considerato "sport estremo".

Se consideriamo L'Inail come una compagnia assicurativa che paghiamo con i nostri contributi, e applichiamo gli stessi parametri, si evince che andare in bicicletta al lavoro è considerato uno SPORT ESTREMO. Pertanto in caso di infortunio l'"assicurazione" non rimborsa le spese e il danno.

Lascio a voi ogni tipo di considerazione perché io, che tutte le mattine prendo la mia bicicletta e casco per andare in ufficio, sono senza parole.

Anzi, visti i rischi a cui vado incontro, forse è il caso di indossare le protezioni e il casco con mentoniera che uso per fare all mountain (una via di mezzo fra il downhill e la mtb classica), anche per andare in ufficio.

Date: 2012-06-28
Trail: A-Line
Riders: Justin Wyper
Description: Camp of Champions Head Coach Justin Wyper crashing with style. Picture by Stewart Medford

6 luglio 2012

Dopo il via libera della Fifa alla tecnologia contro i gol fantasma,

la Juve annuncia l'ingaggio di Anonymous.

21 giugno 2012

I Mars Volta sono come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump, non sai mai quello che ti capita.

Ed è questo il loro bello,  la loro essenza, la loro forza, la loro grandezza.

Per lo stesso motivo però ci sono molti detrattori che pensano sia la loro debolezza. Perché nel mondo degli appassionati di musica sono tanti, troppi, quelli che vorrebbero le band sempre uguali a sé stesse, sempre ferme al primo disco, sempre ferme a rifare le stesse cose per decenni.

E certa gente non vede l'ora di avere nel bersaglio gruppi come loro su cui sparare.

Dall'altra parte i Mars Volta non hanno mai fatto nulla per far cambiare idea ai detrattori, anzi.

La prima volta che li ho visti (al Rainbow), nel tour di De Loused..., fu un concerto violento, diretto e rabbioso. La seconda al Rolling Stone per il tour di Frances the Mute, fu un concerto dilatatissimo, sborone, esagerato, con jam infinite e pezzi che duravano anche più di mezz'ora. La terza all'Alcatraz, per il tour the Bedlam in Goliath, fecero un concerto molto equilibrato, quasi "normale" per i loro canoni, poche jam, scaletta adatta per tutti i gusti.

Tutti i concerti a loro modo furono incredibili,  ma diversissimi fra loro. Se i componenti del gruppo (vecchi e nuovi) non avessero tutti uno stile così unico nel suonare, sarebbero potuti essere benissimo 3 concerti di 3 band diverse.

Ieri sono riusciti ancora a spiazzarmi, per quasi tutto il concerto hanno fatto solo pezzi da Nocturniquet, un disco che è fuori neanche da un mese. Quando si tratta di Mars Volta, in un mese si riesce a malapena ad orientarsi fra le varie parti di un loro disco.

Non sto qui a descrivere pezzo per pezzo, perché questo articolo non vuole, non voleva, neanche essere una vera e propria recensione. I primi pezzi sono stati accompagnati da dilatazioni discretamente lunghe, ma non si può parlare di jam-session, sono vere e proprie suite cantate che sembrano far parte integrante dei pezzi che su disco poi vengono tagliate.  Nella seconda parte del concerto invece sono stati eseguiti i pezzi senza nessuna aggiunta. Per poi concludere con gli unici due pezzi non tratti da Nocturniquet, "The Widow" e una versione da perdere la testa di "Goliath". Più di un'ora e mezza senza interruzioni.

Il concerto è stato come al solito clamoroso. Se si pensa che, tirando le somme, sono un trio chitarra-basso-batteria (con il piccolo Rodriguez a giocare con la Bontempi. Qualcuno gli trovi un lavoro a quel ragazzo, o almeno fategli fare un corso di canto, in modo che non sia costretto Omar a fare i cori...male), è irreale la potenza di fuoco che hanno.

Il luogo in cui si è svolto, se a qualcuno non fosse ancora chiaro è totalmente inadeguato per i concerti. Se da subito fosse stato ai Magazzini (era previsto all'Alcatraz) non so se avrei preso i biglietti, come già ho fatto una volta per  i Mastodon.

A parte il caldo, e l'imbuto che si è costretti ad attraversare per uscire dalle uniche due porte in fondo al locale, il fonico ci ha messo più o meno mezz'ora a uscire dalla trappola. Il concerto è partito con chitarra inesistente, frequenze e strumenti totalmente slegati fra di loro, con la voce di Cedric che sembrava uscire solo lei dall'impianto. Alla fine il fonico è stato anche bravo, perché è riuscito a dare un senso al suono, ma comunque il concerto è stato fortemente penalizzato dall'acustica del locale. Tant'è che anche Cedric prima di iniziare "The Widow", ha chiesto aiuto al pubblico  perché, con una libera traduzione, "il locale suona di merda" (lui ha detto un molto più educato "this room sounds crazy).

Bisognerebbe regolamentare in qualche modo questi cambi di location, perché se io prenoto un albergo 5 stelle e per overbooking mi spostano in un altro, non è che finisco in un ostello allo stesso prezzo del 5 stelle.

Almeno, oltre a dire "i biglietti precedentemente aquistati saranno validi per la nuova location" datemi la possibilità di essere rimborsato se la nuova location "sounds crazy", o meglio dire "suona di merda".