1 settembre 2011

Sono tornato da qualche giorno da NY e tornando a Milano ho avuto la nettissima impressione di essere ritornato in un mondo arretrato, sorpassato, finito, fermo su se stesso, un mondo di provincia fatto di invidie e gelosie, di frustrazioni, di menefreghismo, di furbizia.

Non è la solita esterofilia, è la realtà.

Non lo dico per i servizi, per quello che offre la città, per sua la spettacolarità, per quella grande montatura che è il sogno americano o per quella grande boiata del patriottismoche serve solo ai presidenti quando vogliono prendere in giro il loro popolo in campagna elettorale (vedi l'esito della partita: Obama VS Osama) .

Lo dico per quello che ho visto per le strade , per l'attitudine delle persone, per la mentalità, il modo di interagire.

Si impara di più stando qualche giorno lì, che stando qui a fare mille discorsi sul senso civico, l'onestà, l'ecologia, la correttezza, il vivere bene, la comunità ecc ecc.

E' risaputo che quando un turista si ferma a guardare una cartina c'è sempre pronto un newyorkese a chiedere "Do you need help?". Questo l'ho provato in prima persona, e vale sia per l'uomo in carriera che esce dall'ufficio nei pressi del Rockfeller Center, che per il ragazzo che vive a Long Island e sta scendendo in metropolitana.

Un italiano potrebbe pensare "Sì vabbè lo fanno con i turisti per fare bella figura...", invece la realtà è proprio questa. La realtà, o almeno quello  che si può notare nei piccoli gesti quotidiani, nella vita di strada, è che tutti sono disposti a darsi una mano, sono disposti a fare la loro parte per vivere bene e in armonia con gli altri 8 milioni che vivono in città, bande di delinquenti escluse naturalmente.

Per strada si può vedere un lavoratore uscire dall'ufficio in giacca e cravatta per la pausa pranzo e tuffarsi a raccogliere una cartaccia per terra; si può vedere un giovane rampante del financial district sedersi a giocare a scacchi in un parchetto con un pensionato o con un operaio o con un homeless; si può vedere un afro che sta mettendo il grasso alla catena della sua bicicletta chiedere a un asiatico di passaggio se per caso anche lui ha bisogno, per poi metterglielo. Si può vedere un ragazzo con cappello da baseball a ore 11, in metropolitana con figlio piccolo al seguito, rovesciare un paio di gocce di latte sulla maglia di una signora e chiedere mille volte scusa offrendo anche dei soldi per la lavanderia, con un umiltà che raramente ho visto. Si può vedere un ragazzo che ti dice di alzarti per far sedere un bambino sconosciuto (probabilmente appena uscito dall'ospedale con tanto di mascherina da dottore), di fianco alla sorellina. Si può vedere una ragazza che sta tornando a casa dal lavoro, che ti regala dei gadjet della swatch solo perché ha visto che lo indossi e ha piacere a scambiare due parole con te.

Queste sono solo alcune delle cose che possono dare l'idea della mentalità dei newyorkesi, ma non è il mondo incantato, c'è anche un'altra faccia della questione.

Non sono assolutamente tollerati errori o mancanza di rispetto. Chi sbaglia paga, non c'è va be, ma sì, la prossima volta. Se qualcuno sbaglia viene mandato candidamente a quel paese, in faccia, senza nessun tipo di problema. Non c'è tolleranza da questo punto di vista.

Si dice sempre: se vuoi bene a qualcuno digli quando sbaglia, beh... a New York pare che si vogliano molto bene.

Tutti i pedoni passano col rosso quando la strada è libera, ma se si è distratti o si sbagliano i calcoli e arriva una macchina o un ciclista, stai sicuro che non sarà lui a rallentare, ma tu a dover correre. Se un automobilista rimasto bloccato in coda si muove mentre qualcuno attraversa sulle strisce, stai sicuro che ci sarà qualcuno che gli picchierà una manata sulla carrozzeria. Se una signora anziana entra in metropolitana e il ragazzo davanti a lei si siede per primo, stai sicuro che non rimarrà in piedi senza dire niente. Così come quando un ciclista entra in metropolitana urtando leggermente con la ruota la gamba di una signora, stai certo che glielo farà notare.

Non hanno paura di dire le cose in faccia, non hanno paura di parlare con gli sconosciuti, non hanno paura di chi è diverso, sono sereni, ci tengono a vivere bene, sono pronti a difendere il loro spazio ma anche quello degli altri, non hanno paura di mostrare il loro disappunto, non hanno paura di dire "hai sbagliato". Poi avranno altri mille difetti, altri mille problemi, ma questo è un gran pregio.

Qui invece si tende sempre a far finta di niente, a lasciar correre, a fregarsene. Abbiamo in testa un concetto di tolleranza che è inconcepibile per un popolo civile. Siamo abituati a lasciar andare tutto allo sfascio senza proferire parola. Da ragazzino quando mettevo i piedi sul sedile del treno, arrivava sistematicamente "l'anziano" a dirmi "maleducato, non si mettono i piedi sul sedile", ora non c'è più nessuno che ha il coraggio di farlo, io per primo, e credo che questa sia la vera chiave del nostro declino, del nostro tracollo verticale. Diciamo sempre cose del tipo "eh si ma quello è raccomandato", "ma quello ruba", "ma quello non fa neanche uno scontrino", ma poi quando ce lo fanno sotto il naso quasi nessuno ha  il coraggio di dire niente, si accetta la scorrettezza, si tende a far finta di niente e a pensare "non è affar mio".

Sarebbe tutto molto più semplice e molto più trasparente se avessimo il coraggio di dire "hai sbagliato".

Per ultimo, essendo mountain biker dell'ultim'ora della domenica, la prima cosa che ho notato è stata  la quantità di biciclette che circolano per le strade (e che biciclette!). Mi son chiesto, ma non era la città delle macchine questa? Pensare che questi fino a qualche anno fa non sapevano quasi com'era fatta una bici e adesso moltissimi la usano come principale mezzo di trasporto con ogni condizione atmosferica in una delle città più grandi del mondo, è incredibile. A Milano? Va be, scherzavo.

Prima di andarci non avevo mai capito veramente il senso di quel ritornello, ma hanno ragione gli Interpol, New York Cares.


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