25 marzo 2013

Pensare che fino a qualche anno fa lo apprezzavo, perché come dicono sempre tutti, è un giornalista indipendente, non ha paura di nessuno, li stende tutti, le cose che dice lui non le dice nessuno e via così.
Perché la formula che usa nei suoi editoriali televisivi è intrigante ed efficace, non si può rimanere indifferenti. Un mix di fatti argutamente messi in relazione fra di loro e battute pungenti... praticamente lo stesso metodo che usa Berlusconi per i suoi comizi...




Ma sono 20 anni che Travaglio fa la sua solita recita a mezzobusto in televisione e forse è arrivato alla fine del suo ciclo. La stanchezza si fa sentire, il reiterare sempre il solito ruolo adolescenziale del "contro tutti a tutti i costi" forse alla lunga ha logorato anche lui.

Travaglio da anni va avanti e a dare del mafioso/ladro/delinquente a chiunque senza alcun tipo di contraddittorio. Approfittando anche del fatto che usa sempre lo stesso contenitore per i suoi "pezzi" e forte del suo zoccolo duro di "fan" è ben consapevole che quello che dice a Servizio Pubblico (e in tutte le reincarnazioni passate del programma si Santoro) è ascoltato da un pubblico fedele, che nella maggior parte dei casi crede a tutto quello che dice indistintamente.
Non voglio entrare nel merito di quello che dice che può essere giusto, sbagliato, preciso o fazioso, perché purtroppo non ho né il tempo né i mezzi per fare delle verifiche accurate sulla maggior parte delle cose che dice Travaglio.
Voglio solo parlare del metodo che usa, che a volte può anche legittimamente far incazzare qualcuno, come nel caso di Grasso, se quel qualcuno non è presente in studio per ribattere alle accuse. Grasso che fra l'altro è stato quasi deriso in diretta da Santoro per la sua più che legittima richiesta, e durante la telefonata è stato accusato di avere tutte le televisioni e i media a favore, come se fosse un Berlusconi qualsiasi.





Il presidente del Senato non si è limitato ad incazzarsi, ma ha chiesto (giustamente) un confronto. Evidentemente non è uno stupido, sa che chiedere un confronto a Travaglio vuol dire metterlo nella condizione a lui più scomoda.




Probabilmente vede spesso Servizio Pubblico e nota, come me, che Travaglio fa spesso scena muta per tutta la puntata, fatta eccezione per il suo spazio privato, anche se chiamato in causa in prima persona difficilmente risponde. Ogni volta che c'è un contraddittorio o una discussione non proferisce parola e i commenti di Luca Telese al divorzio dal Fatto sono state una descrizione acuta e precisa dell'atteggiamento del suo vicedirettore: 

"... Ma con Marco non si parla. In una discussione ha due reazioni: se è arrabbiato gira il collo a 37 gradi da un lato, tace e gli si gonfia una vena. Se non è d'accordo sorride. Non è interessato al dibattito democratico". 

Grasso probabilmente ha anche visto, come me, l'imbarazzante passività di fronte al suo nemico di sempre, mentre faceva a fette lui, Santoro e il loro programma, facendo fare il record assoluto di ascolti di sempre al conduttore e a LA7 e contemporaneaemente portando a casa 4 o 5 punti percentuali per le elezioni.
Altrettanto giustamente e intelligentemente, Grasso vuole portare il "gladiatore" fuori dalla sua arena, per combattere in campo neutro, per non dare il tempo a lui e al suo imperatore di preparare una strategia d'attacco che chiuda ogni possibilità di dibattito alla pari. Ma anche per non lasciare che le parole di Travaglio rimangano incontestate per una settimana intera.
Da questa richiesta è scaturita la scintilla che ha fatto scoppiare la guerra fra "il traditore" Formigli e Marco Travaglio. Lo scambio di battute è possibile leggerlo sulla pagina Facebook di Formigli  e sulle pagine del Fatto.
Ho fatto una bozza di questo articolo venerdì, dopo il caso Grasso a Servizio Pubblico senza minimamente aspettarmi il polverone che poi si è alzato fra Formigli e Travaglio.




E' imbarazzante come Travaglio si sia scagliato a testa bassa contro Formigli e l'arroganza con cui l'ha fatto. Poco importa che lavorino per la stessa rete e che scrivano per lo stesso giornale. Mi pare strano che Travaglio accetti un giornalista servile e accomodante, come lo ha "velatamente" definito nel carteggio sull'affare Grasso, sui blog del suo integerrimo Fatto Quotidiano.



Poco importa che il traditore Formigli abbia fatto quello che chiunque altro avrebbe fatto di fronte all'offerta di un programma in prima serata da conduttore. O forse è meglio fare la Innocenzi per tutta la vita?
Io guardo spesso LA7 ed è una rete caratterizzata da una forte e solida collaborazione fra conduttori, giornalisti e i vari programmi di approfondimento. L'affermazione di questo canale è passata anche e forse soprattutto da questo senso di "comunità" che ha sempre mostrato all'esterno.
Quindi le parole pronunciate dopo l'invito di Formigli a Piazza Pulita, sono secondo me decisamente fuori luogo e fanno un danno di immagine alla rete che li ospita (contemporaneamente però se ne parla, e la cosa di certo non dispiacerà). Oltre a a questo Travaglio fa una figura veramente imbarazzante giocando col righello a chi ce l'ha più lungo con gli ascolti delle due trasmissioni: esattamente allo stesso livello di un Gasparri che dice "Zitto tu che hai solo 48 followers".

Oltrettutto dopo aver attaccato Formigli in tutti i modi, dopo avergli dato del traditore e aver denigrato la sua trasmissione, si appella all'esclusiva con Santoro per non andare a Piazza Pulita per poi proporsi per andare dalla Gruber a Otto e Mezzo (luogo dove Marco viene solitamente accolto con un tappeto rosso e uno studio sgombro da altri ospiti) o da Mentana (nel cui TG non ci sarebbe il tempo materiale per un contraddittorio approfondito) mi pare alquanto incoerente.

Non so come andrà a finire, al momento pare che non ci sia soluzione e che la diatriba prosegua, ma come ultimamente capita spesso quando ad essere messo alla corda è lui, a mio avviso il vicedirettore del Fatto Quotidiano non ne esce molto bene.
A prescindere da chi abbia ragione e chi no, sullo stile, la dialettica, l'educazione, e il comportamento, Corrado Formigli ne esce decisamente meglio del suo antagonista.
Sembra quasi che quello che c'è sotto al personaggio televisivo Travaglio stia esplodendo.
Il "vero" Travaglio, che per anni è stato nascosto dietro i suoi sorrisetti e agli ammiccamenti da primo della classe, fatica sempre di più a rimanere celato sotto lo scudo del buon giornalismo che non scende a patti con nessuno.







20 marzo 2013

E' curioso pensare che fino a un paio di anni fa l'sms era il baluardo della comunicazione. Il futuro. Una grande rivoluzione nel modo di comunicare. Si susseguivano i record di invii, il cambiamento del linguaggio e gli allarmi dei linguisti, degli analisti che li indicavano come il futuro della comunicazione, come la risorsa fondamentale per la comunicazione dei giovani.
Neanche il tempo di dire "rivoluzione" che subito è saltato il banco.

Perché, quando si tratta di tecnologia e comunicazione, basta una piccolissima idea ben piazzata e realizzata che tutte le certezze che abbiamo fino a quel momento saltano in un attimo.
In questo caso la "piccolissima idea ben piazzata e realizzata" è stata WhatsApp.
"Grazie, l'hai scoperto adesso?" direte voi, ma lo scopo di questo articolo non è farla conoscere, anche perché ormai è in giro da 5 anni, ma analizzarne alcuni aspetti.



WhatsApp prende un'idea tanto semplice quanto efficace introdotta da app come Viber: ovvero mettere in comunicazione i contatti della rubrica che hanno la stessa app. Ma lo applica alla messaggistica istantanea. Un servizio che a differenza delle chiamate Voip, che ancora faticano ad avere un qualità accettabile sui dispositivi mobili, nella messaggistica diventa imbattibile.
Come se non bastasse si ha anche la possibilità di condividere e mandare file quasi di ogni tipo, e creare gruppi con cui chattare con più persone istantaneamente e contemporaneamente.


Un piccolo colpo assestato nel punto giusto che ha abbattuto la roccaforte degli sms e affossato definitivamente le ultime funzioni utili della mail, già resa obsoleta da Facebook e Twitter.
WhatsApp unisce tutti i pregi di questi due modi di comunicare e ne annulla i difetti.
Con WhatsApp si può mandare lo stesso messaggio contemporaneamente a più persone con un solo invio, e tutti possono vedere le risposte in tempo reale.

Sembra banale ma con gli sms era impossibile farlo, se non con qualcuno che raccogliesse tutte le singole risposte e aggiornasse tutti sull'esito. Con la mail non si aveva mai la certezza che i destinatari fossero connessi, quindi non si aveva mai la certezza di avere risposta in tempi brevi.

Così è tutto istantaneo: invio messaggio a tutti > tutti vedono le risposte di tutti > tutti sono aggiornati in tempo reale.
Ripeto, sembra banale, ma l'organizzazione di serate, cene, uscite, o (come nel mio caso) prove musicali o di altro tipo è una delle cose più complicate nella comunicazione di tutti i giorni, soprattutto quando le persone coinvolte sono tante.
Ora è totalmente rivoluzionata con WhatsApp, è incredibilmente più semplice e diretta che in passato. Quando prima serviva una settimana per organizzarsi, fra chi non vedeva le mail, chi non poteva stare connesso, chi non rispondeva, ecc.., ora in pochi minuti si riesce a chiudere la pratica.

Oltre al fatto di essere quasi gratuita, la sua più grande forza e se vogliamo il vero tocco di genio (e di coraggio) degli sviluppatori, è il fatto di non potersi mai sconnettere. Da molti è considerato un difetto, anche io all'inizio ero scettico per questo motivo, ma in realtà questa è la chiave di volta del suo successo. Sapere che gli utenti non si possono sconnettere dal "sistema" ti da la garanzia che il tuo messaggio arriverà a destinazione, verrà visto e riceverai risposta (a discrezione dell'utente naturalmente).

Le e-mail e gli sms oggi sono diventati ormai come la posta cartacea.



L'unica cosa per cui vengono utilizzati sono pubblicità, avvisi della banca, avvisi di pagamento, fatture e bollette. Il declassamento di un metodo di comunicazione passa soprattutto dal tipo di informazioni che vengono veicolate. Mezzi di comunicazione che prima veicolavano belle notizie, parole, messagi d'amore, inviti per feste e serate, ora passano solo spam, junk, pubblcità, "brutte" notizie, informazioni inutili o di servizio, come alert di utilizzo per carta di credito, fatture, bollette. Quando un canale comunicativo viene utilizzato solo per questo tipo di informazioni unilaterali, quando non c'è scambio, non c'è interazione, diventa un canale morto. 
Siamo passati dall'era degli sms all'era di Whatsapp senza neanche rendercene conto, e chissà quanto durerà.

Sarà un mezzo destinato a durare nel tempo, come al momento sembra essere Facebook, oppure è destinato come molti altri ad essere sorpassato dalla prossima "killer app"?









13 marzo 2013





Da quasi dieci anni a Milano esiste uno spazio unico nel suo genere interamente dedicato all'arte contemporanea.
La città industriale della Ansaldo Breda si è fatta da parte da decenni ormai, lasciandoci in eredità i suoi capannoni che oggi sono quasi scomparsi. Nonostante la violenta riqualificazione che ha subito l'area della Bicocca però, gli edifici che ospitano la Fondazione Hangar Bicocca sono stati risparmiati per fare da ponte con il passato, e per regalarci (nel vero senso della parola) un futuro dedicato all'arte e alla cultura.

Visitare l'Hangar Bicocca è un'esperienza unica, se paragonata alle solite mostre e musei.

Entrando nel cortile si viene già in contatto con la fortissima vocazione artistica del luogo.
La scultura "La Sequenza" di Fausto Melotti è la porta ideale dalla quale bisogna passare: rappresenta alla perfezione il passaggio dal passato industriale al presente e futuro artistico.
La scultura è formata da gigantesche lastre in ferro alte 7 metri poste su tre piani sfalsati che formano una successione di vuoti e pieni. Guardandola si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un monolite uscito da ambientazioni alla 2001 Odissea nello Spazio. Inoltre il giardino che la circonda, con la sua vegetazione particolare, rende il tutto ancora più scenografico.



Superato il cortile si entra nella "hall" dell'Hangar, al  primo impatto sembra un normalissimo spazio espositivo, molto luminoso, con annesso bistrot e area bimbi. Ma in realtà quello che ci aspetta al di là del "sipario" nero che delimita lo spazio espositivo è ben diverso.

Una volta superato il "sipario" si entra nel primo ambiente denominato "Shed", un classico capannone industriale a tetti spioventi, un ambiente molto grande che da un impatto forte. 
Si passa da un ambiente molto luminoso con soffitto basso, molto moderno a  uno buio, silenzioso alto e ampio e dal sapore "antico".Quando si scosta la tenda e non si vede quasi nulla al di là, se non questo spazio enorme (e le istallazioni se ci sono) si ha sempre un attimo di esitazione. 

Sembra di entrare in un'altra dimensione, c'è poca luce e un silenzio ovattato che sembra impossibile in un ambiente così grande. Il leggero sibilo dell'impianto di areazione/riscaldamento rende ancora più misteriosa l'ambientazione.
La dimensione del luogo, la penombra, il silenzio, la sensazione di spazio libero intorno, hanno quasi un potere rilassante. Il cervello è come se si adattasse a quel grande spazio e i pensieri, abituati a muoversi velocemente in poco spazio, iniziano a galleggiare fluidi, lenti, calmi. Sì è naturalmente portati a parlare sottovoce anche se non ce n'è effettivamente bisogno.
Inoltre anche nei giorni di maggiore affluenza si ha sempre la sensazione di essere "soli".
Per assurdo la grandezza del luogo lo rende molto intimo.

Giunti alla fine dello "Shed" si entra in un ambiente ancora più suggestivo: Le Navate.
Qui lo spazio è incredibile, alto trenta metri per 9500 mq, Nonostante lo Shed sia già uno spazio che mette soggezione, le Navate sono un luogo che da la sensazione di essere veramente piccoli e le sensazioni che si provano entrando nello Shed qui vengono amplificate.

A contribuire alla soggezione che mette questo luogo, ci sono i Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer.
I Sette Palazzi Celesti sono un'istallazione permanente che lascia letteralmente senza fiato, sembra di essere di fronte ai resti di una civiltà lontana e oscura... salvo poi scoprire che la civiltà lontana e oscura è la nostra.



L'istallazione ha significati molto precisi, che vale la pena scoprire mentre si è al cospetto di questa opera incredibile, leggendo i libretti esplicativi che si trovano nelle vicinanze.
Si sviluppa quasi per tutta la lunghezza della struttura, le torri sono alte fino a 18 metri e occupano un'intera navata (l'unica illuminata).
Bisognerebbe andare all'Hangar una volta al mese a prescindere dall'esposizione che ospita solo per ammirare questo spettacolo avvolto dal silenzio.

Infine "il Cubo", altro edificio dall'altezza imponente, teatro delle istallazioni più importanti e particolari.

Uno spazio del genere potrebbe essere sfruttato in modo massivo, per fare numeri e profitto. Invece per una volta la logica del profitto e dello sfruttamento viene lasciata da parte.
Per una volta la qualità viene preferita alla quantità.

Questo spazio enorme viene sfruttato in un modo unico ed intelligente. Rispettando la natura stessa della parola "spazio" (non a caso più volte ripetuta in questo articolo).

Tranne alcune eccezioni, di solito si svolge una singola "esposizione" o al massimo due contemporaneamente in luoghi diversi dell'Hangar o addirittura una singola istallazione di un singolo artista. Pochi "pezzi" (anche uno solo) per ogni artista, istallazioni di grandi dimensioni "site specific" che occupano interi ambienti, allestimenti e interventi studiati per rispettare una logica di fondo molto forte e una personalità del luogo ben delineata, rispettata ed esaltata dai curatori.
Uno spazio che dia spazio. Agli artisti, alle persone, alle idee, ai visitatori. 

Ma soprattutto a ingresso gratuito e con orari intelligenti che permettono anche di passare una serata all'Hangar, dopo cena (magari dopo aver cenato nel bistrot dell'Hangar) fino alle 23.00, dal giovedì al sabato.

In questi mesi l'Hangar è stato molto chiacchierato per l'istallazione di Thomas Saraceno "One Space Time Foam (come vedete la parola "spazio" torna ancora), ma in passato è stato teatro di molte altre istallazione di caratura internazionale, come "Personnes" di Christian Boltanski:



o "From here to ear" di Céleste Boursier-Mougenot.



Ogni istallazione comunque, anche se non ha il richiamo che ha avuto la "bolla" di Saraceno, vale la pena di essere vista. Innanzi tutto perché, come ho detto prima, è gratis e non capita tutti i giorni di avere la possibilità di poter vedere istallazioni e opere di questo tipo senza pagare.
Inoltre la natura del luogo che le ospita, la possibilità di andarci anche di sera, il fatto che, date le dimensioni, non sia mai affollato, le descrizioni e spiegazioni sempre disponibili e chiare; danno la possibilità di apprezzare e capire opere che normalmente una classica mostra con molti pezzi esposti e con spazi ridotti, non ci permette di apprezzare.

Oltre alle istallazioni e alle opere poi, c'è anche il cinema. Ogni artista che viene ospitato sceglie alcuni film che poi vengono proiettati al'interno della "Rassegna d'Autore" ogni giovedì sera. Ci sono conferenze, incontri con gli artisti, concerti (ieri Bollani, qualche settimana fa Carsten Nicolai/Alva Noto). Ogni forma d'arte e di cultura trova spazio all'interno dell'Hangar.

Penso che Milano debba andare molto fiera di questo luogo. Un luogo che non credo abbia eguali in Europa, dove per una volta la qualità e la cura e la passione per l'arte, vincono sulla quantità e sul profitto a tutti i costi. Un luogo che va conservato, visitato, apprezzato,  pubblicizzato, raccontato. Un luogo che a mio parere deve essere uno dei manifesti di Milano all'estero.
Un luogo che può essere considerato  la nuova Cattedrale (dell'arte) di Milano.


E' stata inaugurata da poco "Primitive" di Apichatpong Weerasethakul artista e regista fra gli altri di "lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti", per l'occasione il 22 marzo ci sarà una maratona notturna con tutti i suoi film.







5 marzo 2013



Non sono un grande ascoltatore di hip hop.
Per cui mi scuso subito con chi mangia pane e hip-hop perché probabilmente dirò cose non tecnicamente perfette. Ma nel mio piccolo, mi ritengo una persona aggiornata sull'argomento.
Perché, che lo vogliate o no, oggi nessun altro genere in Italia riesce a fotografare così bene la realtà che ci circonda e nessun altro genere riesce a catturare l'attenzione in questo modo.

Nonostante non sia un esperto, Fibra lo seguo dai tempi di Mr. Simpatia (i moralisti che si scandalizzano per quello che dice oggi dovrebbero sentire bene quel disco...), per cui ho assistito alla sua evoluzione da artista "di quartiere" a capo assoluto della scena italiana e campione di vendite.

Guerra e Pace si sapeva già in anticipo che sarebbe stato qualcosa di "grosso", a partire dal titolo annunciato con largo anticipo, dalle indiscrezioni e dal livello di partenza che ha segnato "Controcultura".
Ora si può dire e ve lo dico subito, così risparmiate tempo e andate a comprarlo: 
"Guerra e Pace" è un capolavoro. E' il My Beautiful Dark Twisted Fantasy italiano. 

E' un capolavoro perché non è un disco hip-hop come avete sempre concepito l'hip hop italiano, e non è solo un disco Hip-hop.
Questo disco porta ad uno step successivo il genere.
Fino ad oggi, nella maggior parte dei casi, eravamo abituati a sentire dischi formati da beat + voce. Due cose distinte, separate. Il dj-produttore preparava le tracce e poi il rapper ci rappava su, qualche effetto qualche piccola variazione e mixaggio/post produzione a  parte, il pezzo era finito. Uno, massimo due beat che si ripetono per tutto il pezzo, base + voce, questo è sempre stato, a parte qualche eccezione. Due oggetti separati, che vanno via dritti senza grosse variazioni.



In Guerra e Pace questo concetto viene definitivamente superato, il beat sempre uguale a sé stesso è roba vecchia, il pezzo viene costruito nel suo complesso, come si fa con un pezzo di musica "suonata", la musica segue la voce, la voce segue la musica, il tutto è un insieme organico.

La concezione cazzara, antisbatti, "tutti lo possono fare", "dai butta la base che ci rappo su", che sta alla base della diffusione del rap in Italia con questo disco non vale più.
In Guerra e Pace c'è una costruzione matura dei pezzi, studiata, le basi sono strutturate, c'è intro, bridge, ritornello, special.

Nello stesso pezzo si possono sentire quattro, cinque, beat diversi, e non sono beat basati solo sulla scansione ritmica con un paio di accordi che si susseguono all'infinito. Sono beat anche molto lunghi, con una costruzione melodico-armonica anche molto intensa, ci sono strumenti che entrano ed escono in vari momenti della canzone, variazioni di metrica, diversi tipi di interpretazione.
Anche dal punto di vista del suono, la voce è molto più inserita nel tessuto sonoro rispetto alle produzioni a cui ci hanno abituato lui e i suoi colleghi.



A livello di testi porta anche in questo caso il genere un "po' più in là".
In passato ci ha abituato già a testi maturi, ma qui siamo a un livello superiore.
E' sempre un po' autoreferenziale, come tradizione vuole, ma a differenza di molti altri  riesce ad essere sempre molto introspettivo e serio. Anche nei momenti più "cazzari" c'è sempre una velata amarezza, c'è sempre profondità, rabbia.
Va a cogliere particolari e piccole cose della vita di tutti i giorni che non è da tutti notare e riuscire a raccontare in maniera così limpida, riuscendo allo stesso tempo a sputarti in faccia istantanee sul mondo di una lucidità disarmante, condendo il tutto con battute acute che ti stendono.

"Qualcuno un giorno mi ha detto ‘Ovunque tu vada ci sei già’ Io ho risposto ‘Cambio solo città’ Lui mi ha detto ‘Qui nessuno lo fa’ Ti vedranno come un caso umano Un miracolo italiano al contrario Tu scappa via lontano da qui come Saviano Da qui non ci salviamo Che più nemmeno come camerieri serviamo Io ti ringrazio e ringrazio Roberto a nome di tutti, penso Quando ho letto ‘Gomorra’ avevo il sesto senso Questa cosa la vivo, la respiro Questa cosa è uscita dal libro..." (Guerra e Pace)


"Tutti inculano tutti in Italia, praticamente qui da noi già si nasce con un cazzo nel culo..." (Che Tempi)

"Tutto in un giorno non si può lo sapeva anche Van Gogh che piangeva la notte dopo che dipingeva, da ragazzo non vendeva i quadri che oggi sono i più cari al mondo ora dall'alto dei cieli direbbe grazie al cazzo, la stessa cosa è successa a Nicola Tesla con l'idea fissa in testa e zero soldi in tasca, mentre io chiamo col cellulare lui direbbe bella questa..." (Tutto in un giorno)

"Servono soldi per vivere, ma farli qua è come Tom Cruise: missione impossibile! Questa nazione sembra sempre a una passo dalla fine Come dopo la perfezione Come un'azienda prestigiosa fallita Nessun cazzo è duro come la vita..." (Raggi Laser)


Questi sono solo alcuni esempi, forse neanche i più rappresentativi, perché ci sono una quantità tale di parole e di temi affrontati che è veramente difficile estrapolare qualcosa di significativo.

Inoltre la vera forza delle parole del Dr. Tarducci, è che  sono "site specific" per il rap, prendono vita solo quando le ascolti. 
Scritte non hanno neanche un decimo della forza che hanno quando vengono pronunciate. E' come se avesse inventato un nuovo genere di scrittura.

Sentendole una dietro l'altra, con la metrica che ne scandisce le parti, in testa formano un disegno che va al di là del singolo verso, della singola rima.
Leggendole invece il senso globale sfugge, diventa meno chiaro, è come leggere una poesia senza dividere i versi, o leggere un libro senza spazi e senza punteggiatura.
Mi capita spesso di ascoltare e apprezzare molto una parte, poi andando a trovare il testo e leggendola l'impressione non è più la stessa. Riascoltandola però, la prima impressione viene riconfermata e il verso ti colpisce ancora come un pugno.
E' una cosa che solo con lui mi capita e che ogni volta mi lascia basito.

Il rap di Fibra è la punteggiatura dei suoi testi, è il navigatore che ti mostra dove ti vuole portare con le sue parole, senza la strada tracciata, le parole si perdono, si sfaldano, sono come un film in 3d visto senza occhiali.



Nel disco ci sono poche collaborazioni, non c'è spazio per i suoi colleghi, ma per pochi ospiti selezionati e incredibilmente funzionali al pezzo per cui sono stati chiamati.
Neffa in Panico è veramente perfetto, il suo cantato strascicato si integra totalmente con il mood del testo e della base.
Al Castellana meno conosciuto al grande pubblico ma presenza fissa nel panorama hip hop italiano, mette il sigillo di qualità su uno dei pezzi migliori e musicalmente più validi di tutto il disco, con un ritornello killer su "Che Tempi".
Infine il feat. più inatteso, quello di Elisa, che si traveste da cantante rnb e cesella un altro fantastico ritornello in "Dagli Sbagli si Impara", il pezzo più delicato e meno rabbioso di tutto il disco e forse l'unico con un velo di speranza.
Fibra in questo disco non concede favori, ma cerca solo di accaparrarsi il meglio dove è indispensabile. 

Se il rap in Italia ha messo radici, lo si deve a lui. 
Se tutti gli artisti che si sono affermati in questi ultimi anni avranno un futuro lo dovranno ancora a lui e a questo disco.
Perché  lui prima di tutti ha strappato l'etichettta di "genere per ragazzi" dall'hip-hop. 
Con Controcultura ha gettato le basi per far crescere letteralmente la scena, Guerra e Pace sdogana definitivamente l'hip hop come genere per adulti e lo eleva ufficialmente a "nuovo cantautorato italiano". 
I puristi di ogni genere si mettano l'anima in pace.