Per fortuna c'è il circuito Spaziocinema che, insieme a pochi altri, riesce a offrire sempre qualcosa di diverso. Fra i vari film, un titolo dell'Apollo non programmato in nessun'altra sala ha catturato la mia attenzione: Confessions.
Sono andato subito a cercare su Filmscoop.it e ho scoperto che il film in questione poteva essere una bella sorpresa. Così è stato.
In Italia è fuori dal 9 maggio 2013, ma in realtà si tratta di un film del 2010 che nel 2011 è arrivato vicino alla candidatura per l'oscar come miglior film straniero e ha vinto il Black Dragon Audience Award al Far East Film Festival.
Il film si apre con un'insegnante delle scuole medie che parla a una classe disattenta e indisciplinata che non le presta minimamente attenzione.
La situazione cambia repentinamente però quando Yuko Morimuchi, questo il nome dell'insegnante, annuncia di voler lasciare il mestiere. Questo non è che il pretesto per annunciare qualcosa di molto più importante e grave. Inizia così un racconto, un monologo che trascinerà la classe in uno scenario inaspettato, insieme alla classe il pubblico viene accompagnato direttamente nel cuore della trama dalla voce dell'insegnante: sua figlia Manami di 4 anni è stata uccisa, e gli assassini si trovano proprio all'interno di quell'aula.
Ma non si tratta di un giallo, il regista e sceneggiatore Tetsuya Nakashima è molto bravo a portare subito il suo film fuori dagli equivoci.
Infatti quelli che vengono chiamati dall'insegnante "Soggetto A" e "Soggetto B"non tardano molto ad avere un'identità, portando immediatamente il film a uno stadio successivo: lo scopo del gioco non è scoprire l'assassino, ma è scoprire fino a che punto una persona può spingersi se è perseguitata dal rimorso, dal desiderio di essere accettata e amata, e dal desiderio di vendetta. Come persone, ragazzi ingenui e privi di una personalità forte, apparentemente innocenti e puri, possano diventare veicolo di atti di una violenza estrema e possano scivolare facilmente in un oblio di nichilismo autodistruttivo e distruttivo per le persone che li circondano.
L'insegnante dopo aver confessato alla sua classe (intenta a bere del latte) di sapere chi sono i due assassini, annuncia che il latte dei due è stato contaminato con del sangue infetto da HIV, scatenando il panico.
Yuko Morimuchi, fino a quel momento identificabile come "buona" e come vittima, passa improvvisamente dalla parte del carnefice e da quel momento tutti i personaggi coinvolti saranno in bilico fra i due ruoli, e quel confine verrà continuamente sorpassato.
La confessione dell'insegnante è la prima di cinque, le quali mostreranno diversi punti di vista della storia: la capoclasse, il soggetto A, il soggetto B, la madre del soggetto B.
Tutti hanno colpe, tutti sono vittima di qualcuno.
Persino il professore che arriverà a sostituire l'insegnante, ignaro di tutto quello che è successo prima del suo arrivo, si presenta carico di buona volontà, di voglia di fare al meglio il suo mestiere, di aiutare i suoi alunni. Ma anche la sua bontà ostentata sarà causa di avvenimenti tragici, a sua insaputa.
La madre di Shuya, il soggetto A, è causa della personalità disturbata del figlio, abbandonato per inseguire le sue ambizioni, ma sarà vittima dello stesso. La madre del soggetto B, Naoki, con il suo amore ai limiti della follia che le nasconde la vera natura di suo figlio sarà sua vittima. La capoclasse Mizuki, dietro una facciata da alunna modello, nasconde un'anima torbida, e una passione malsana per la morte e per il suicidio. Sarà l'unico appiglio a cui si aggrapperà Shuya, ma la sua natura la tradirà nel momento sbagliato.
Queste relazioni disturbate culminano in un'esplosione finale, reale e metaforica, in cui la fotografia diventa veicolo di un flusso di sentimenti contrastanti e nella quale la resa dei conti non è così chiara e definitiva come ci si potrebbe aspettare e come si vorrebbe.
La fotografia è una parte fondamentale di questo film, le sequenze rallentante, le inquadrature inusuali, la tendenza a creare veri e propri quadri, con uno stile che richiama alcune tecniche usate spesso in videoclip musicali, sono una caratteristica che salta subito all'occhio.
Ma quello che stupisce è il fortissimo equilibrio e la forza dei vari elementi che si fondono insieme. Una grande fotografia è unita a una bellissima colonna sonora, usata in maniera impeccabile, con pezzi (fra i quali spiccano Radiohead e XX) che non sono un semplice sottofondo, ma vanno a disegnare la scena e a dargli un'atmosfera e una caratterizzazione palpabili, che avvolgono totalmente lo spettatore. Tutto questo è unito a una sceneggiatura curata e originale senza essere sopra le righe. Riesce a rimanere sempre funzionale al racconto e a dare un ritmo continuo, pur essendo destrutturata in 5 parti diverse. Tutto questo in aggiunta a un cast veramente azzeccato, a partire da Tokako Matsu, perfetta nel rendere al massimo il volto pieno di inquietudine, sottile odio e astuzia di Yuko Morimuchi.
Molti l'hanno definito un revenge movie, ma è molto di più, è un film drammatico, psicologico, la vendetta è solo un pretesto per analizzare nel profondo l'animo umano, nel quale ognuno è lo yin e lo yang di sè stesso.
Da tempo non mi capitava di vedere un film così sorprendente e stimolante, pieno di spunti, di immagini spettacolari, di frasi e scene che fanno riflettere: uno di quei film con una "coda lunga", che rimane impresso per molti giorni e ti costringe a ripercorrere le sue diverse fasi cercando di trovare particolari che non si erano notati.
E' curioso notare come la locandina e il trailer italiani siano profondamente diversi da quelli internazionali. Nella versione italiana il film è presentato quasi come un manga:
Questo invece è il trailer originale:
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