Quest'anno, contro ogni previsione, ho messo in fila dieci dischi per Rumore.
Non è stato semplice, ma neanche così difficile come pensavo. Come saprete se avete letto in passato le mie cose, non credo che le classifiche di chi come me non scrive per mestiere, siano molto valide. La quantità di dischi che ascolto in un anno non danno neanche lontanamente una visione veritiera di quello che possono essere le migliori uscite. Ma volendo dare il mio contributo al classificone di fine anno, ne ho stilata una personale.
Dato che fare un elenco senza spiegare il perché questi dischi sono finiti in classifica (come invece era stato fatto per il classificone di fine anno), rimane un esercizio simpatico ma un po' limitante per ovvie ragioni di mancanza di spazio, ho pensato di fare come gli altri anni. Su queste pagine eleggevo uno o due dischi dell'anno e ne entravo in profondità, farlo per dieci non mi permetterà di spiegarli così bene, ma almeno spiegherò il motivo per il quale li ho scelti.
Purtroppo, nonostante le più rosee aspettative, questo pezzo ha dormito qui per un mese con solo le prime 4 posizioni spiegate, cercando di trovare il tempo di proseguire nella descrizione dei restanti album. Arrivati però al 27 febbraio: ora o mai più.
1. THE NATIONAL - SLEEP WILL BEAST
Non è un mistero che la band in questione sia una di quelle che più ho apprezzato in questi ultimi anni, ma questo disco va al di là del gusto personale. Sleep Will Beast è un disco enorme, per produzione, songwriting, arrangiamenti, testi. Inoltre rappresenta un svolta importante per la band, che finalmente e definitivamente buca quel muro che li voleva relegare per sempre a band di nicchia, per diventare uno delle band più importanti dell'indie statunitense e mondiale; al pari di Vampire Weekend, Strokes, Interpol, pur mantenendo un profilo molto più basso.
In Sleep Will Beast la band abbandona le strutture e l'impianto compositivo che da sempre l'ha caratterizzata. Abbandona l'impalcatura delle chitarre, per costruire molti pezzi al piano o su trame di sinth e batteria elettronica. Allo stesso tempo però da molta più importanza alle chitarre stesse, ritagliando spazi per assoli, interventi di noise e feedback, quasi riportando lo strumento alle sue radici punk, inserendola tuttavia in un contesto che punta più verso il cantautorato. Se vogliamo fare un paragone, è un po' quello che fa Warren Ellis con le trame colte e austere di Nick Cave.
Oltre a questo smonta anche tutto l'impianto ritmico, rinunciando ai pattern complessi e contorti, che fino a ieri davano un'impronta inconfondibile ai loro pezzi.
Spogliandosi di tutto ciò che ha caratterizzato le loro composizioni fino a qualche anno fa, sono riusciti a ripartire da zero, non perdendo però nulla del loro stile. Hanno usato la stessa materia primordiale per costruire in modo diverso: così facendo sono riusciti a dare sfogo a quel nervosismo, quella carica repressa e latente che caratterizzava tutti i loro pezzi. Quella carica che rimane compressa durante i loro live, per poi crescere e investire il pubblico con un onda che si propaga anche per i giorni successivi. Sono riusciti a convogliare questa energia, questa rabbia, che si avverte da sempre nei loro dischi, dargli un senso, uno scopo: scomporla in disperazione e rassegnazione, ma anche romanticismo, amore e speranza, nonostante la negatività dei testi di Matt Berninger.
Un pezzo su tutti che testimonia questa trasformazione è Guilty Party, un capolavoro assoluto e un classico che rimarrà negli anni.
2. ALGIERS - THE UNDERSIDE OF POWER
Erano già il mio disco dell'anno nel 2015, perché al giorno d'oggi vedere nascere un nuovo genere rappresentato da una sola band capace di esprimerlo non capita spesso. Gli Algiers questo hanno fatto. Hanno inventato il loro genere musicale, mettendo insieme il gospel, il blues e lo spiritual con l'elettronica, l'industrial e il post-punk.
Quando però ti muovi in bilico fra diversi generi è un attimo cadere, perdere la propria peculiarità o perdere in forza espressiva. Gli Algiers sono invece riusciti a mantenere l'equilibrio e, non contenti, hanno marcato confini ancora più netti rispetto al precedente capitolo. Spesso però nel secondo disco le band perdono la capacità di scrivere pezzi efficaci e i singoli che hanno accompagnato il successo più o meno grande del primo diventano solo un lontano ricordo. Gli Algiers, invece, anche in questo caso sono stati capaci di mantenere alto il tiro, piazzando un paio di pezzi che sono già diventati capisaldi della loro produzione, come la title track e Mme Rieux, una ballata dove Franklin James Fisher ha totale libertà di movimento e viene fuori con tutta la sua voce: una voce importante del nostro tempo, che si porta dentro la storia di un popolo e di un genere nato per alleviare la sofferenza degli oppressi.
Gli Algiers hanno anticipato i tempi, portando la musica di rivolta nuovamente al centro dell'attenzione, ora quella rivolta la guidano con fermezza e autorità.
3. GAYTHEIST - LET'S JAM AGAIN SOON
Dischi così ne escono pochi ultimamente. Quella botta, quella violenza, quel viaggiare sempre sul punto di rottura, il modo in cui le chitarre irrompono fuori dalle casse. Solo altre due volte negli ultimi anni mi è capitato di sentire un disco con l'urgenza di Let's Jam Again Soon: nel 2011 con Ruiner degli Whores e nel 2012 con l'esordio dei Metz.
I Gaytheist hanno messo insieme un disco che è un susseguirsi di rasoiate, veloci, letali. Non c'è respiro, sembra che non riescano a contenere la violenza che sfogano sugli strumenti e sul microfono. Continui stop and go, tempi dispari, cambi di tempo, la batteria che riempie ogni buco sotto le chitarre e sembra non volersi fermare mai, la voce che è continuamente sul punto di strapparsi e basso e chitarra che tritano qualsiasi cosa, come un compattatore di rifiuti.
4. SORORITY NOISE - YOU'RE NOT AS____AS YOU THINK
L'uno-due con cui parte questo disco basterebbe da solo per finire in questa classifica. Il riff iniziale di No Halo, con il suo ritornello che sembra fatto apposta da gridare in macchina; il ritornello strumentale di A Protrait Of, che ci vuole poco per ritrovarsi con una lacrima sulla guancia. Ma non è tutto qui. You're Not As... è un disco che sfonda i confini dell'emo, per portare il genere in una fase più matura, accostarlo al cantautorato e all'art rock.
Non è un caso se dopo il già citato uno-due iniziale, si tira subito il freno con una "lettera" pacata e sussurrata, che fa coppia con la traccia n.8, rispettivamente First Letter From St. Sean e Second Letter From St. Julien. Il tema della morte, sul quale si basa tutto il disco, viene fuori nudo e crudo sulla prima, con un ritornello che recita: "When your best friend dies and your next friend dies, and your best friend's friend takes his life". La seconda invece è un crescendo che esplode sul finale con un coro che è forse il punto più alto di tutto il disco: "And if there's a god, do I make him proud? Put a smile on her face? And if you're with god, am I making you proud, by waking up each day?".
Ma anche qui nonostante i testi pesino come un macigno, c'è sempre un velo di speranza e di redenzione nelle note dei Sorority Noise. Le frasi sussurrate, quasi recitate, miste a cori urlati e disperati, creano un saliscendi che fa scoppiare il cuore e viene voglia di urlare insieme a loro.
In fondo, se i The National facessero emo, sarebbero i Sorority Noise.
La classifica completa:
28 febbraio 2018
By Luca Doldi on mercoledì, febbraio 28, 2018
Posted in 2017, algiers, classifica, gaytheist, musica, rumore, sorority noise, the national | No comments
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