14 maggio 2013



L'altro ieri a Milano si è svolta la sempre discussa e vituperata Domenicaspasso. Una domenica che divide Milano più del derby della Madonnina. La città si divide in due tifoserie distinte con tanto di cori e striscioni pronti a sostenere la propria squadra.

Con lei è andato in scena il solito balletto dei "non serve a niente", "in un momento così è un danno per i commercianti e i cittadini", solo per citare alcuni fra i commenti più in voga.

Troppo facile ridurre tutto a due "sparate" per tirare l'acqua ognuno al proprio mulino.
Invece che lanciare slogan e frasi buttate lì per il gusto di dichiarare qualcosa, vorrei analizzare alcuni aspetti un po' più "reali" e alcune implicazioni di queste giornate indette dal Comune.

Partiamo dagli aspetti più discussi: serve, non serve, è dannosa, è positiva.
Certamente servirebbe molto di più se fosse al centro di un intervento organico su tutta la città e sul lungo periodo (non basta solo annunciare decine di km di nuove piste ciclabili...) ma da lì a dire che non serve a niente ce ne passa.

Se anche solo un milanese che normalmente si sposta in auto, grazie alla Domenicaspasso dovesse scoprire che non è poi così male muoversi in bicicletta, (o anche con i mezzi pubblici) e decidesse di andare al lavoro tutti i giorni lasciando l'auto a casa, sarebbe un vero successo. 

Forse però non basta fare le domeniche a piedi per lavarsi la coscienza. Prima di stanziare finanziamentii per ampliare il bike sharing, sarebbe meglio stanziarli per fare percorsi e piste ciclabili dove è possibile utilizzare le biciclette affittate e anche quelle non affittate. Dato che da quando si è insediata questa giunta, non si è visto ancora nessun provvedimento strutturale che favorisca la nascita di una vera rete ciclabile.



Ma torniamo al tema principale dell'articolo.
Dove sono durante l'anno e durante la settimana, tutti quei cancelli a pedali o quelle biciclette da esposizione lucide come Rolls Royce appena uscita dalla fabbrica, che si vedono solo durante queste giornate?
Dove sono tutti quei ciclisti durante la settimana e durante tutti gli altri giorni dell'anno?

E' la Domenicaspasso che spinge i più pigri a inforcare la bicicletta, oppure sono i ciclisti che al di fuori dell'iniziativa del Comune non si sentono sicuri e preferiscono muoversi in altri modi?

Su questa ultima domanda si sviluppa tutta la questione, ed è su questi due aspetti che si gioca la partita.

C'è una folta schiera di "comodi", di pigri, di "se non ti presenti con una macchina decente non sei nessuno", di "vado a prendere le sigarette sotto casa, in macchina", di "porto il bambino a scuola a un isolato da casa con il SUV". A tutta questa categoria di persone, la Domenicaspasso può essere un grosso incentivo per scollarsi dal sedile e provare il brivido di una sella o del palo della metropolitana.

Oltre alla pigrizia c'è anche la percezione dell'"andare in bicicletta a Milano" che troppo spesso è percepita come attività pericolosa a prescindere, senza aver mai provato e senza una vera conoscenza della viabilità milanese "bike friendly" e anche delle sue, seppur poche, piste ciclabili.

Danny Macaskill e un piccolo esempio di "pericolo"


Spesso l'immagine della pericolosità dell'andare in bicicletta è il ciclista in Circonvallazione o in Corso Buenos Aires, ma Milano è anche piena di vie secondarie dove il traffico motorizzato è limitato, e dove andare in bicicletta non è così pericoloso come spesso si crede.
La strada per andare al lavoro di solito è sempre la stessa, e come si studiano percorsi alternativi per evitare il traffico in macchina, lo si può fare anche per evitare il traffico in bicicletta.

Con questo non voglio dire che non sia pericoloso e che in questa città i ciclisti siano agevolati e protetti, sia chiaro. Ma forse nell'immaginario collettivo la percezione della pericolosità è molto più alta di quello che poi è in realtà, e questo scoraggia molto l'uso della bicicletta.

Anche la percezione della distanza da percorrere in bicicletta spesso è distorta. Di solito quando parlo con qualcuno riguardo al muoversi in bicicletta, le distanze diventano siderali. "Devo andare fino là" "dall'altra parte di Milano" "è una vasca in bici". Quando poi, se si va a guardare, la maggior parte delle volte sono 6-7 km che con una gamba non allenata e una pedalata da scampagnata, esagerando ci vogliono quaranta minuti. Con una gamba più abituata, venti minuti, mezz'ora al massimo. Spesso molto meno che con i mezzi pubblici o in auto.

Anche in questo caso la Domenicaspasso può aiutare a prendere confidenza con la strada e con la bicicletta. Può aiutare a scoprire percorsi che non si conoscono, può aiutare a scoprire che Milano non è poi così grande come sembra e può dare lo stimolo a iniziare a muoversi in maniera differente dal solito.
Il Cyclopride di questa domenica è stata un'ottima iniziativa per esempio.



Dall'altro lato però, come dicevo prima, non si può limitare gli interventi a favore della mobilità alternativa a sole quattro giornate all'anno di blocco del traffico, perché la mobilità è un tema che riguarda i meccanismi e la routine quotidiana di tutti i cittadini. Ed essendo routine, è molto difficile scardinarla con un intervento isolato. Ci vogliono interventi continui, mirati, studiati, efficaci e a lungo termine.
L'Ecopass purtroppo, è percepito come una tassa e nonostante sia utile nel pratico a ridurre le auto in centro, non educa e non fa capire i vantaggi reali che si hanno lasciando l'auto parcheggiata. Non servono neanche altre due linee metropolitane se comunque chi usa sempre la macchina non si sogna neanche di mettere piede sui mezzi pubblici.

Ma anche all'interno della Domenicaspasso si può fare di più. 
Si potrebbe, per esempio, approfittarne per chiudere completamente al traffico intere vie e permettere alle varie associazioni culturali di Milano di fare attività, concerti, spettacoli, invece di relegare i vari eventi in parchi e spazi chiusi. Se la cittadinanza si deve riappropriare degli spazi della città, chiudere un'intera via (come Buenos Aires per esempio) per dedicarla alla cultura e ad altre attività sarebbe un segnale forte.

Nonostante ci fosse il blocco del traffico, c'erano più macchine in giro di una domenica d'agosto. Troppi permessi o troppi pochi controlli? Da Lambrate a Piazza Duomo ho incontrato un solo posto di blocco da un lato di Piazzale Loreto, mi sembra un po' poco per salvaguardare la giornata senz'auto.
Inoltre i  tassisti potrebbero evitare di approfittare delle strade libere per viaggiare come su un circuito di formula uno, strombazzando ad ogni ciclista all'orizzonte.

Infine i commercianti che tanto si lamentano dei danni al loro fatturato causati dalle domeniche a piedi, e che tanto combattono a spada tratta contro qualsiasi provvedimento per ridurre il traffico automobilistico, per quale motivo poi stanno comunque aperti durante queste giornate? Non converrebbe rimanere chiusi se, come sostengono, la Domenica di blocco del traffico incide fortemente sul loro fatturato?

Bisognerebbe istituire un bollo adesivo in collaborazione con il Comune, da attaccare all'entrata dei negozi per segnalare i commercianti che sono d'accordo con questa iniziativa e la sostengono (sempre che ne esistano).
Dare qualche piccola agevolazione per poter fare degli sconti a chi si presenta in negozio con un biglietto dell'Atm o in bicicletta, per fare un esempio. Inoltre si potrebbe fare un elenco sul sito del Comune e sui siti specializzati, dei negozi aderenti e spingere le persone a preferirli rispetto a quelli che non la sostengono. Inoltre, perché no, organizzare qualche iniziativa insieme a questi commercianti che li aiuti a farsi conoscere.

Oltre a questi piccoli accorgimenti nelle giornate dedicate, si potrebbe fare molto (con poco) anche durante il resto dell'anno per aiutare, incentivare e proteggere i ciclisti.

Come ad esempio prendere provvedimenti seri contro le auto in seconda fila, che sono una delle cose più pericolose per i ciclisti, per non parlare poi di quando vengono aperte le portiere di suddette auto senza guardare gli specchietti, praticamente un tentato omicidio.
Le auto in seconda fila costringono i ciclisti a pericolosi zig zag, costringendoli ad uscire dalla zona "sicura" della carreggiata (sicura è un paradosso) andando a incrociare spesso rotaie del tram, che se prese con l'angolazione sbagliata, sono molto pericolose e rischiano di bloccare le ruote che si infilano nel binario, causando bruttissime cadute.
Nel tragitto che faccio da casa al lavoro e viceversa, soprattutto di sera  in via Pordenone, e nel tratto finale di Via Casoretto, non certo delle vie glamour, è una pioggia di auto in seconda fila, parcheggiate anche a un metro di distanza dalle auto vicino al marciapiede. Così come in Via Teodosio e come in molte altre vie di Milano.
Come se non bastasse molte volte mi è capitato di vedere vigili ignorare completamente il problema. Da moltissimo tempo non vedo una multa a un'auto in seconda fila o un vigile intento a metterne una.



Il problema della sosta selvaggia impunita non è limitato alle macchine in seconda fila, si allarga alla sosta sulle piste ciclabili e in prossimità dei parcheggi delle biciclette e delle stazioni del bike sharing o sulla sede dei percorsi di filobus e tram o davanti alle fermate.

Un esempio emblematico di sosta "molto" selvaggia.


La questione della sosta selvaggia è stata analizzata e discussa moltissime volte e  ci sono stati (i soliti) ripetuti proclami di tolleranza zero, purtroppo il tema è sempre tristemente attuale.
Si dice non ci siano abbastanza "forze in campo", ma quello che vedo tutti i giorni sotto i miei occhi è che le forze in campo ci sarebbero anche. Magari non sono sufficienti a coprire tutte le attività necessarie, ma potrebbero essere sfruttate meglio secondo me.
Nella mia zona (zona 3 per essere chiari) non vedo una multa sotto il tergicristallo di una macchina da non so quanto tempo. Con questo non voglio dire che gli automobilisti devono essere penalizzati, anche io ho una macchina e anche io mi sposto in auto quando è necessario, ma semplicemente bisogna far rispettare le regole. 

C'è moltissimo da fare al di fuori delle domeniche a piedi. 
Guardando la mappa delle piste ciclabili a Milano, sembra che qualcuno intento a giocare a "unisci i puntini" sulla settimana enigmistica sia stato interrotto all'improvviso.
Iniziano a e finiscono nel nulla, spesso non sono protette dalla sede stradale, e molte non sono a norma.

Celebre esempio di pista ciclabile milanese (Viale Mugello), che  spero sia stata sistemata. 


Anche queste cose si sanno da tempo, e anche in questo caso però l'argomento è, purtroppo, sempre attuale.
Come dicevo all'inizio non serve annunciare decine di chilometri di nuove piste ciclabili se poi sono piazzate a caso sulla mappa di Milano, senza essere collegate l'una con l'altra.
Bisognerebbe partire prima con piccoli interventi per rendere più sicure e percorribili quelle che ci sono e  collegare con piccoli tratti di congiungimento quelle più vicine l'una all'altra, come ad ad esempio quella in Corso Venezia, che finisce all'improvviso a metà strada, e "abbandona" i ciclisti proprio prima di due incroci pericolosi. Basterebbero solo 700 metri di pista ciclabile in più (e un cordone protettivo per proteggerla dalla sede stradale) per completarla e portare i ciclisti in San Babila senza rischiare la vita.

C'è veramente tanto da fare e la Domenicaspasso deve essere un punto di partenza per un intervento massiccio nel tempo e nello spazio non un fatto isolato e di facciata, perché altrimenti la si priva di significato, finendo per dare ragione ai tanti detrattori. Questo, per tornare al paragone calcistico usato all'inizio di questo articolo, sarebbe un tremendo autogol.











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