14 febbraio 2013




Intervista via mail.

Ho inviato ad Alex Brown Church qualche domanda per capire qualcosa di più sul suo disco e conoscerlo meglio, quello che vedete qui sotto è il risultato: il ragazzo non è uno che risparmia le parole e ci tiene molto dare una chiara immagine di sé e della sua musica.


Ciao Alex, partiamo dal tuo nuovo album, pubblicato in Italia un po’ in ritardo rispetto all’uscita ufficiale. Sarò onesto, ti ho scoperto con questo disco e mi è piaciuto molto, ma ascoltando i tuoi vecchi dischi mi sembra che “Old World Romance” sia un pochino diverso, più vicino all’indie che al folk, cosa ne pensi?

Penso che le persone abbiamo differenti modi interpretare il significato di “indie”, e vorrei dire che i vecchi dischi non siano meno indie del nuovo. Ma capisco cosa intendi, perché il nuovo album ha sicuramente sonorità meno folk del precedente, e quindi si può dire che sia un po’ meno “indie-folk” e un po’ più “indie-rock”.

La tua intenzione di partenza era di cambiare un po’ il tuo sound o è stata un evoluzione che si è palesata man mano che scrivevi?

In realtà tutte e due le cose. Volevo che le nuove canzoni suonassero meno folk perché volevo fare qualcosa di nuovo e più contemporaneo, credo che partendo da questo presupposto sia stata poi una naturale evoluzione. Non ho mai stabilito a priori che dovessi fare indie-folk comunque, quel tipo di suono è venuto fuori in maniera naturale quando ho registrato il primo disco, Leaves in the River.
Mi piaceva l’idea di fare canzoni tranquille, con un interessante tessuto sonoro e testi descrittivi, piuttosto che pezzi rock urlati. Penso che scrivere canzoni partendo da una chitarra acustica le spinga inevitabilmente in territori più folk, inoltre amando il suono del violoncello, del marxofono e dell’organo ho voluto inserirli spesso per dare colore alle canzoni.
Il nuovo disco è fatto sempre partendo da una chitarra acustica, ma sentivo di aver fatto tutto quello che volevo con quei determinati suoni e quindi volevo provare qualcosa d’altro, qualche suono nuovo. Ho usato quello che mi piaceva sul momento, poi chissà in che direzione andrà Sea Wolf in futuro.

Andiamo Avanti a parlare del suono del tuo nuovo disco, Old World Romance sembra un vero disco “home-made” (con un suono e una produzione professionali naturalmente). Ascoltando le canzoni ho un’immagine di te, solo nella tua stanza con i tuoi strumenti e le tue attrezzature per registrare mentre suoni e registri tutto da solo. E’ vicina alla realtà quest’immagine?

Sì, è stato sicuramente così durante il processo di scrittura. Ho scritto tutte le canzoni da solo, nel mio studio, solitamente con la compagnia di una tazza di caffè. Una volta pronte le canzoni, le ho registrate, ma solo le parti di cui avevo un’idea precisa di come dovessero essere, per esempio voce e chitarre. Successivamente però  ho voluto altre persone con me per aggiungere basso, tastiere, batteria o qualsiasi altra cosa. Dopo questa fase  tornavo nel mio studio a lavorarci per un po’ e quando arrivavo al punto in cui mi sembravano complete o quasi complete, richiamavo ancora alcuni musicisti per finirle o per fare qualsiasi cosa ci fosse bisogno.

Oggi molti produttori tendono a fare produzioni ultrapulite, senza nessun tipo di imperfezione e personalità, molto cristalline e con suoni molto pompati. In Old World Romans invece credo che il mixaggio e la produzione artistica siano stati molto attenti a non contaminare la delicatezza, l’intimità e l’idea di “fatto in casa” che traspare fin dalla prima nota. Ho apprezzato molto quest’aspetto.

Ho deciso di produrre il disco da solo perché volevo ritornare alle origini, a “Leaves in the River”, sia come metodo di scrittura che come registrazione. Registrai quel disco principalmente da solo nell’arco di un anno circa, con amici che sono venuti a suonare i loro strumenti qua e là, e poi lo portai a Seattle per ultimarlo con il produttore Phil Ek. Il secondo disco “White Water, White Bloom” l’ho realizzato con un band al completo chiusi in studio per 5 settimane, in Omaha, con la co-produzione di Mike Mogis. Sono felice del modo in cui è venuto “White Water”, ma nello stesso tempo ho sentito la mancanza di tutto il tempo che ho avuto per stare da solo con le mie canzoni, come è avvenuto per “Leaves”.
E visto che ho fatto questi dischi con dei produttori leggendari, ho imparato da loro cosa significa produrre un disco.

Avevi un’idea molto chiara di come avrebbe dovuto suonare il tuo disco e quindi hai deciso di produrlo da te, senza che passasse nelle mani di qualcun altro? O è stata più una sfida, o una tua evoluzione, o cosa?

Per quel che riguarda il sound, non avevo un’idea precisa di come avrebbe dovuto suonare “Old World”. Non ho voluto sprecare tempo per stabilire a priori che ogni elemento dovessero suonare in una certa maniera.  E’ la cosa di cui mi sono sempre preoccupato di più in passato, ma alla fine il risultato non è mai stato quello che avevo in mente all’inizio, e per questa volta ho deciso di affrontare la cosa con più tranquillità.
La cosa più importante per me in questo disco è stata catturare la sensazione del momento, la performance. Questo non vuol dire che non abbia prestato attenzione alla qualità del suono, ma ho evitato di stabilire il suono che volevo prima di sentire cosa sarebbe venuto fuori.

Com’è stato lavorare con Kennie Takahashi (Broken Bells, The Black Keys, Jessica Lea Mayfield)?

E’ stato fantastico lavorare con lui. E’ tipo tranquillo  e molto sveglio. Penso che abbia ripulito abbastanza le registrazioni che suonavano molto più sporche prima, ma è stato molto attento a non ripulirle troppo. Il suono del disco deve molto al suo mixaggio.

Mi pare che il suono sia vicino alle produzioni indie dei primi anni 2000 ed è un gran bel suono. I pezzi più rock come “Changing Seasons” “Miracle Cure” or “In Nothing” mi ricordano qualcosa dei Pinback, li conosci? Hanno avuto qualche influenza su di te o è solo una coincidenza?

E’ interessante, non mi avevano mai accostato ai Pinback. Non sono sicuramente un’influenza perché non ho molta familiarità con la loro musica. E’ più una coincidenza, visto che ho cercato solo di  avere qualcosa che suonasse bene alle mie orecchie e questo poi è stato il risultato.

Per te Sea Wolf è più un progetto solista, o un progetto aperto, o una band?

Per quanto riguarda la realizzazione dei dischi è più un progetto solista, in cui ci sono le mie canzoni suonate alla mia maniera. La mia musica si presta anche ad essere suonata con una band al completo però, dal vivo diventa più una band che un progetto solista, con anche un grande impatto sonoro e molta energia. Qualche volta faccio anche esibizioni più intime, o da solo con la chitarra acustica, ma raramente.

Sei sui palchi dalla seconda metà degli anni ’90, ma non si sa molto di te. La tua pagina su wikipedia è molto breve per esempio. Ci tieni alla tua privacy?

Certo, ci tengo alla privacy, ma in fondo credo ce ne siano di informazioni su di me in giro. Anche se ho suonato in varie bands dal ’98, Sea Wolf è attivo solo dal 2000, e probabilmente è per questo che si trovano solo informazioni sul progetto Sea Wolf in giro.

Cerchiamo di scoprire qualcosa su di te allora, ti consideri più un solitario o ti piace stare in mezzo alla gente?

Mi piace la socialità, e ho bisogno di avere una cerchia di amici molto stretti intorno a me.  Ma mi piace anche prendermi il mio tempo per stare da solo. Forse perché sono cresciuto come figlio unico, senza televisione e molto tempo libero da passare da solo a pensare a cosa fare e a fare qualsiasi cosa volevo. Direi che mi piace vedere amici ogni giorno, ma allo stesso modo ho bisogno ogni giorno del mio tempo con me stesso.

Vivi ancora a Los Angeles?

Sono originario della Californi dal Nord, e mi sono spostato a Los Angeles negli anni ‘90 e sono più o meno sempre stato qui. Ho recentemente vissuto 3 anni a Montreal però, e sono tornato stabilmente a Los Angeles nel 2010. “Old World Romance” ha molte canzoni che parlano delle sensazioni al mio ritorno a casa dopo essere stato a Montreal.

E’ Curioso mettere a confront la tua musica così intimista con una città gigantesca come Los Angeles. In passato L.A. era la città dei Guns n’ Roses, dei Motley Crue, RATM, Metallica, Slayer, Tool, RHCP…
In questo “casino” come è cresciuta la tua passione per la musica folk e indie?

In effetti, le cose però nel frattempo sono molto cambiate. Se Los Angeles ha dato una determinata immagine di sé all’esterno è difficile immaginare cosa possa essere, ed immagino che sia dura immaginare cosa ci faccio qui. Ma a meno di essere stati qui e di essere stati in tutte le sue differenti zone, è difficile capire cosa sia L.A.
Io vivo nella parte nord, un’area piena di artisti indie.  Silverlake, Echo Park, Highland Park. La zona in cui sto, è una delle zona a più alta concentrazione hippie d’America . E’ molto tranquillo, immerso nelle colline, con molti parchi e verde e le montagne a fare da sfondo. Lontano da Hollywood e Sunset Strip. 
Come vicini di casa ho i Local Native, i Best Coast e Ariel Pink. E’ un posto che si sposa bene con la mia musica.
Non è una cosa così strana qui essere appassionati di folk e indie e vivere una grossa città. Infatti se poi vai a vedere molti fan di questo tipo di musica vivono in grandi città e la musica di cui hai parlato prima è più roba da gente di periferia o che vive nelle zone rurali.
Penso che la musica indie sia apprezzata da gente con una mente più creativa e questo tipo di persone tende a gravitare nei grandi centri urbani.
Per la natura intimista della mia musica penso che in alcuni casi sia certamente quella la sensazione che esprimono, specialmente nel primo disco, ma credo che poi ci siano anche altre atmosfere nei miei pezzi.  E non è detto che una musica intimista sia per forza legata a un luogo che la rispecchi.

Verrai in Italia a suonare le tue canzoni?

E’ nei piani! Ma non so se riuscirò a portare tutta la band. Molto probabilmente sarà una situazione più spoglia, con me e un altro paio di musicisti, forse in estate o in autunno.

Grazie, a presto allora!

Grazie a te!

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