28 giugno 2013

Il mio primo esperimento di live twitting è stato una sfida contro gli "elementi". Sapevo già del buco nero che c'è sopra il Magnolia, perché ci vado spesso, ma non mi ero mai trovato ad aver bisogno in modo così continuo del collegamento 3g o edge o 4g che sia. I radar di Linate e la 3 evidentemente non vanno d'accordo perché un posto così civilizzato senza campo non credo esista in nessun altra parte del globo.

Avrei voluto scrivere qualcosa di più, commenti a singoli aspetti del festival, delle persone presenti, sulle caratteristiche delle band e su quello che succedeva sui palchi, ma l'unica cosa che potevo fare era aspettare quei due secondi in cui appariva una tacca e scrivere velocemente chi c'era sul palco per far capire cosa succedeva. Ma in ogni caso adesso potrete leggere il report...






Il day after il Solo Macello Fest è sempre strano, anche se sei andato a letto tardi sei carico e felice, c'è la soddisfazione di aver assistito a un evento che è quasi un miracolo dell'anticristo, ma sei anche dispiaciuto perché dovrai aspettare un altro anno prima di riviverlo.

Ma passiamo al racconto della serata. Nonostante gli sforzi, purtroppo non riesco a vedere l'esibizione dei Veracrash, all'entrata fanno gli onori di casa i Black Moth, che mi accolgono con un stoner suonato come Satana comanda, valore aggiunto il fatto che siano giovanissimi...



In più hanno una voce femminile a guidare il gruppo che calza a pennello sulla loro musica, una voce sabbiosa, molto rock, ma allo stesso tempo sinuosa e con un timbro dark che rimanda ad altre sue colleghe ormai appartenenti alla categoria delle cougar. Il gruppo tiene bene il palco, si diverte (e ci mancherebbe a poco più di 20 anni), pestano come si deve e sembrano alquanto rilassati e a loro agio. Un ottimo inizio, ascoltatevi (e comprate) il loro disco perché merita attenzione. 




Subito dopo i Black Moth, ci si sposta velocemente verso il secondo palco Messicano, perché sono già pronti ad attaccare gli Zolle. Sono già stati recensiti su queste pagine, quindi sapete già di cosa stiamo parlando.
Dal vivo sono molto più acidi, il suono di chitarra è molto particolare, con un'octaver (pare) che sostiene sempre l'impianto dei riff, l'effetto da l'idea di un trattore che sta arando per intenderci. Quindi anche dal vivo riescono a portare questa loro vocazione agricola. 
L'unica differenza fra la campagna e il Solo Macello Fest è che invece di arare la terra, arano i nostri timpani. Il loro live set è tirato, un pezzo dietro l'altro senza respiro, e alla fine della loro mezz'ora di botte in testa, c'è bisogno di una birra per riprendersi.

E' il turno di Nero di Marte e Gordo. 


Essendo i primi a portata di orecchie (sul palco principale) si opta per fare pochi passi e andare subito da loro.

Nero di Marte


L'inizio non è dei migliori, alcune beghe tecniche rendono la loro esibizione difficoltosa, i suoni non sono subito centrati (capita spesso anche nei più blasonati festival europei, non è una tragedia)e c'è un cavo che come si dice in gergo "scorreggia", al quale dedico questa canzone:


Infine un piatto che cade dalla pedana della batteria. Ci sono tutti gli elementi perché la loro esibizione si trasformi in un incubo. Ma sopra a questi numerosi problemi si sente che la band vale. Sono a metà fra il post-hc e il post-death, fra i Burst e i Deafheaven. Dopo i primi pezzi per carburare rimango ben impressionato, ma decidiamo di dare una possibilità anche ai Gordo.


Gordo


La bellezza di questo festival è anche abbandonare una band sul più bello senza sentirsi in colpa.
E se non vi sentite mai in colpa quando vi allontanate dal palco mentre una band sta suonando (a meno che non se lo meriti per manifesta incapacità) è perché non avete provato cosa significa essere su un palco a suonare e vedere la gente che si disperde davanti ai vostri occhi senza neanche avervi dato una possibilità.
Al Solo Macello (come in ogni altro festival serio) invece è naturale saltare da un palco a un altro per sentire cosa sta succcedendo.

Il palco che accoglie i Gordo è la "Gabbia", un minipalchetto a livello strada, una situazione particolare e con il suo fascino, più da buskers che da festival, incastrato in un angolo del tendone che accoglie i banchetti all'entrata del Magnolia.
Davanti alla Gabbia si forma il naturale "muro" di persone in cerchio attorno alla band. Tutto condito da un'amplificazione basica, che rende il tutto ancora più precario e particolare.

In questo scenario troviamo i Gordo: basso, batteria, tastiere e voce, che sparano il loro drone-gothic-stoner-gordo-metal letteralmente in faccia ai presenti. Il muro di persone è bello spesso e si fatica a farsi strada.

Ma il richiamo della foresta è forte e dopo qualche minuto si torna verso il palco principale, non me ne vogliano i Gordo, con l'idea di sentire come se la stanno cavando i Nero di Marte e magari di tornare alla gabbia per il finale.




Beh, dal palco principale non mi sono più mosso, perché i Nero di Marte sono stati la rivelazione del festival.  Un'altra band in quelle condizioni, quando hai solo mezz'ora e non puoi cambiare nulla di quello che hai, si sarebbe demoralizzata, innervosita, deconcentrata e probabilmente avrebbe mandato all'aria una gran bella occasione.

Loro invece non hanno fatto una piega, hanno mantenuto la concentrazione e anzi, hanno dato una prova incredibile. Una batteria suonata con ritmi e tempi complessi (tutto a clic), con tutta la naturalezza di questo mondo, dei giri di basso ben costruiti e mai banali, due chitarre con dei suoni perfetti, bei riff, arpeggi e belle armonizzazioni anche nei momenti più dissonanti, e infine una gran voce, con una bella estensione sia pulita che e in growl molto espressivo.

La cosa che li contraddistingue e che gli da un altro valore aggiunto è la totale assenza di pose, vestiario studiato, espressioni o atteggiamenti. Quattro ragazzi "normali" oserei dire quattro "bravi ragazzi" che semplicemente fanno la musica che gli piace e la fanno bene, senza aver bisogno di scimmiottare nessuno o di voler sembrare più "fighi" di quello che sono giù dal palco.

Dopo i Nero di Marte sono appagato nello spirito, ma lo stomaco reclama. Quindi mentre sul Messicano attaccano i Fuzz Orchestra, io attacco la zona ristoro per accaparrarmi una pizza. La situazione sembra drammatica, il mio biglietto recita "n.62" e il tabellone dice "n.19". Ma è tutto un bluff per farti prendere una birra in più nell'attesa, perché nel giro di neanche mezz'oretta, il tempo di scambiare quattro chiacchere con degli amici trovati in loco e la pizza arriva: buona, tonda, sottile e cotta sulle fiamme dell'inferno.
Non le pizzette da tostapane fredde e gommose degli altri grandi finti festival italiani.

Nell'attesa si riescono a seguire un po' anche i Fuzz Orchestra che vestiti bene, pettinati e impomatati, tentano (e ci riescono) di fare la piega anche a tutto il pubblico.

Mentre sto addentando la pizza, i Wrust addentano la giugulare del pubblico.

Wrust


Il loro è un metal classico, magari un po' datato e tecnicamente non sono il top del top, ma si difendono bene. Se per sbaglio non lo sapeste ancora, i Wrust sono stati il primo gruppo metal della storia del Botswana e dell'Italia, a esibirsi in Italia. Si sono fatti quel milione di chilometri per esibirsi al Solo Macello Fest. Sono arrivati qui per concludere le riprese di un documentario sulla vivissima scena metal Botswanese, e sono stati aiutati con una raccolta fondi per pagare le ingenti spese di viaggio che hanno dovuto affrontare. Solo per questo meritano il massimo del rispetto, e inoltre si sono rivelati dei veri intrattenitori e hanno saputo tenere il pubblico come nessuno ha saputo fare in tutta la serata.
Wurst eroi assoluti e incontrastati del Metal. 

Nella Gabbia imperversano i Graad, o meglio Il Graad, una death man band, chitarra-voce e computer, molto particolare.

E poi è il turno degli In Zaire sul palco Messicano. Basso batteria sinth, rumore acido e cervello in pappa. Se ancora non si fosse capito il messicano è il palco dedicato al lavaggio del cervello e gli In Zaire non vogliono sfigurare. Se nell'ascensore per l'inferno volessero mettere una musica di sottofondo, sicuramente sceglierebbero gli In Zaire. Ascoltate il loro disco e provate a darmi torto.




Vincono il Premio Peyote assegnato dalla giuria de Il Dolditoriale (che poi sono io me medesimo), come la band che ha mandato più a male di tutto il festival.



Per far prendere aria al cervello, nella Gabbia c'è Diego Dead Man Potron. Non si capisce come un uomo della Brianza possa avere così tanto whisky blues nel sangue. Quando suona lui, il Lambro si trasforma in Mississipi  e le colline della Brianza si trasformano in campi di cotone. Al Solo Macello è una vera e propria one man band, con un sound sporco e cattivo, batteria suonata con i piedi (in senso letterale si intende) e chitarra elettrica.
Ci voleva proprio prima del gran finale.

E' l'ora dei fuochi d'artificio, ma il primo sembra aver dimenticato un raudo in tasca, perché quando appaiono i Karma to Burn sul palco, sono solo in due.

Karma to Burn


Un attimo di sgomento, ma poi gli schiaffazzi che tirano con chitarra e batteria ci fanno rinsavire e la testa inizia ad ondeggiare e i gomiti iniziano a roteare.
Le botte che tirano in due sono indescrivibili, con un tiro che neanche il treno di ritorno al futuro parte terza. In due trascinano il Magnolia in un pogo che non vedevo dai '90, sono in due e non ci si fa neanche caso che manca il basso, anzi tutto quello che può essere un di più sembra inutile. I Karma 2 Burn  fanno sembrare inutile ogni altra band con più di due elementi. Se fossero stati in tre non so se sarei qui a raccontarlo. Esibizione EPICA.

Neanche il tempo di risistemarsi le ossa mischiate, che sul messicano va in onda l'ultimo stadio del brainwash con gli Zeus!. E mentre sei lì che stai mettendo posto l'ultimo ossicino, loro ti tirano un calcio che per ritrovarle, devi organizzare una caccia al tesoro.
Ne è passato di tempo da quando nella prima edizione del Miodi, apparivano da qualche parte per suonare dove capitava. Si sono evoluti e migliorati e ora sono pronti per diventare i nostri nuovi alfieri internazionali dell'estremo, sulle orme degli ZU. Nonostante il genere non sia proprio lo stesso, hanno la stessa stoffa e la stessa identità forte, ma soprattutto, come loro suonano da paura. Come ultimo gruppo italiano a rappresentarci al festival possiamo essere molto fieri.

Siamo alle ultime battute, e arrivano i tanto desiderati Red Fang. Quanto è bello seguire una band dagli inizi, vedere la sua crescita e vedere che il pubblico intorno a te cresce con loro. Sono sbarcati in Italia Nel 2011 la prima volta (se non erro) sempre al Magnolia, e allora erano solo un gruppo attorno al quale c'era molta curiosità, e nel 2013 sono come headliner, dopo un istituzione come i Karma to Burn.

Seguire un gruppo da quando muove i suoi primi passi è come fare un adozione a distanza.
Li vedi, decidi di dargli fiducia e anche dei soldi magari, comprando il loro disco, loro con quei soldi crescono, con i dischi venduti acquistano fiducia, diventano grandi, ogni tanto ti mandano delle foto per farti vedere fin dove sono arrivati, e tu sei contento per loro. Una volta ogni tanto poi vengono da te e con un grande concerto ti ringraziano per quello che hai fatto, e ti danno tutto quello che hanno per farti divertire e per regalarti una serata di grande musica. Tu intanto ne hai parlato agli amici e te li sei portati con te al concerto per condividere con loro l'evento e per fargli sentire che "questi ragazzi" ci sanno fare. Esiste qualcosa di più bello?

I Red Fang ormai sono di casa qui in Italia, e anche loro sembrano sentirsi un po' a casa. Ci regalano un'ora di grande live, con una scaletta perfetta. La stanchezza dopo una serata così si fa sentire, ma loro riescono comunque a esaltare il pubblico. Non so bene cos'abbiano di speciale questi ragazzi, sicuramente sono dei simpatici cazzoni giù dal palco, e dei gran professionisti quando imbracciano gli strumenti, ma hanno la capacità di risultare subito simpatici, anche senza fare nulla. Credo che siano la band metal più ben voluta di sempre.




Ogni volta che li vedo dal vivo sono sempre più incredibili, con dei suoni sempre più omogenei e amalgamati, si migliorano sempre, questa volta però uno di loro mi ha stupito più di tutti. Aaron Beam (voce e basso) deve aver fatto un lavoro sulla voce non indifferente. Preciso, pulito, con una voce piena e ben impostata anche sui registri più alti, non ha mai cantato così bene.
Forse il "brutto" esempio (averne di brutti esempi così) dei Mastodon con anni di grandi pezzi senza mai una voce vera che facesse da padrona e la svolta dei Baroness, che con Yellow&Green hanno dato molta importanza alla voce e sono riusciti a uscire dal vicolo cieco del post-hc, allargando di molto il loro pubblico, anche i Red Fang e Aaron hanno deciso di lavorare un po' di più su questo aspetto e i risultati sono ottimi.
Il finale del festival si trasforma in una vera e propria festa per  i Red Fang e per tutte le grandi band che hanno suonato prima di loro.

Dopo aver assistito quest'anno a un suicidio di massa di festival medi e grandi, forse bisogna fermarsi un po' a riflettere e magari prendere questo festival come esempio.
E' iniziato piano, con piccoli gruppi tutti italiani, ma con un'impostazione di fondo già da grande festival europeo, magari con qualche difetto, che però con l'esperienza è stato raddrizzato o è diventato poi un punto di forza.
Più palchi, un "villaggio" che fa vivere il festival a prescindere dai nomi che ci sono, un'attitudine rilassata che spinge il pubblico a venire per stare in quell'atmosfera, per vivere il festival e non per vederlo. Dove puoi comprare dischi, magliette, dove puoi mangiarti una pizza seduto come satana comanda e non spendere 5 euro per un panino di tre giorni prima in piedi sotto il sole a picco. Dove la coda per prendere da bere dura al massimo un minuto e non devi fare i turni di mezz'ora per arrivare alla cassa.

Un festival deve essere un parco giochi, un parco divertimenti, un villaggio turistico dedicato anima e cuore alla musica. Non servono per forza palchi enormi, servono più palchi (condizione fondamentale secondo me per essere un vero festival) non servono grandi nomi, servono grandi idee. Non bastano due big, o i due soliti nomi in giro da 30 anni, e non basta mettere in fila quattro, cinque, sei date, con un gruppo principale e due di spalla per chiamarlo festival.

Perché fare 20 festival mediocri e finti, dove c'è un grosso headliner e 5 riempitivi messi insieme a caso, organizzati male, con punti ristoro non adeguati, in aree orribili, con l'aspettativa di vita più bassa di quella di un governo Italiano?
Forse è meglio partire dal basso, con piccole realtà da far crescere piano.
In cinque anni il pubblico del Solo Macello Fest è quintuplicato, mercoledì sera (di MERCOLEDI!!) per band semisconosciute ai più e di non facile ascolto, il Magnolia era praticamente pieno. Quello che si vedeva al suo interno era una vera e propria via crucis (rovesciata) del Metal, di gente col sorriso che si spostava da un palco all'altro per sentire, valutare, vedere cchi c'era, prendere una birra, prenderne un'altra e prenderne un'altra ancora, incrontrare amici, chiaccherare. Questo deve essere un Festival con la F maiuscola e il Solo Macello Fest lo è.
Applausi a Solo Macello, Hard Staff e tutti quelli che hanno lavorato per renderlo possibile.














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