Visualizzazione post con etichetta metal. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta metal. Mostra tutti i post

28 giugno 2013

Il mio primo esperimento di live twitting è stato una sfida contro gli "elementi". Sapevo già del buco nero che c'è sopra il Magnolia, perché ci vado spesso, ma non mi ero mai trovato ad aver bisogno in modo così continuo del collegamento 3g o edge o 4g che sia. I radar di Linate e la 3 evidentemente non vanno d'accordo perché un posto così civilizzato senza campo non credo esista in nessun altra parte del globo.

Avrei voluto scrivere qualcosa di più, commenti a singoli aspetti del festival, delle persone presenti, sulle caratteristiche delle band e su quello che succedeva sui palchi, ma l'unica cosa che potevo fare era aspettare quei due secondi in cui appariva una tacca e scrivere velocemente chi c'era sul palco per far capire cosa succedeva. Ma in ogni caso adesso potrete leggere il report...






Il day after il Solo Macello Fest è sempre strano, anche se sei andato a letto tardi sei carico e felice, c'è la soddisfazione di aver assistito a un evento che è quasi un miracolo dell'anticristo, ma sei anche dispiaciuto perché dovrai aspettare un altro anno prima di riviverlo.

Ma passiamo al racconto della serata. Nonostante gli sforzi, purtroppo non riesco a vedere l'esibizione dei Veracrash, all'entrata fanno gli onori di casa i Black Moth, che mi accolgono con un stoner suonato come Satana comanda, valore aggiunto il fatto che siano giovanissimi...



In più hanno una voce femminile a guidare il gruppo che calza a pennello sulla loro musica, una voce sabbiosa, molto rock, ma allo stesso tempo sinuosa e con un timbro dark che rimanda ad altre sue colleghe ormai appartenenti alla categoria delle cougar. Il gruppo tiene bene il palco, si diverte (e ci mancherebbe a poco più di 20 anni), pestano come si deve e sembrano alquanto rilassati e a loro agio. Un ottimo inizio, ascoltatevi (e comprate) il loro disco perché merita attenzione. 




Subito dopo i Black Moth, ci si sposta velocemente verso il secondo palco Messicano, perché sono già pronti ad attaccare gli Zolle. Sono già stati recensiti su queste pagine, quindi sapete già di cosa stiamo parlando.
Dal vivo sono molto più acidi, il suono di chitarra è molto particolare, con un'octaver (pare) che sostiene sempre l'impianto dei riff, l'effetto da l'idea di un trattore che sta arando per intenderci. Quindi anche dal vivo riescono a portare questa loro vocazione agricola. 
L'unica differenza fra la campagna e il Solo Macello Fest è che invece di arare la terra, arano i nostri timpani. Il loro live set è tirato, un pezzo dietro l'altro senza respiro, e alla fine della loro mezz'ora di botte in testa, c'è bisogno di una birra per riprendersi.

E' il turno di Nero di Marte e Gordo. 


Essendo i primi a portata di orecchie (sul palco principale) si opta per fare pochi passi e andare subito da loro.

Nero di Marte


L'inizio non è dei migliori, alcune beghe tecniche rendono la loro esibizione difficoltosa, i suoni non sono subito centrati (capita spesso anche nei più blasonati festival europei, non è una tragedia)e c'è un cavo che come si dice in gergo "scorreggia", al quale dedico questa canzone:


Infine un piatto che cade dalla pedana della batteria. Ci sono tutti gli elementi perché la loro esibizione si trasformi in un incubo. Ma sopra a questi numerosi problemi si sente che la band vale. Sono a metà fra il post-hc e il post-death, fra i Burst e i Deafheaven. Dopo i primi pezzi per carburare rimango ben impressionato, ma decidiamo di dare una possibilità anche ai Gordo.


Gordo


La bellezza di questo festival è anche abbandonare una band sul più bello senza sentirsi in colpa.
E se non vi sentite mai in colpa quando vi allontanate dal palco mentre una band sta suonando (a meno che non se lo meriti per manifesta incapacità) è perché non avete provato cosa significa essere su un palco a suonare e vedere la gente che si disperde davanti ai vostri occhi senza neanche avervi dato una possibilità.
Al Solo Macello (come in ogni altro festival serio) invece è naturale saltare da un palco a un altro per sentire cosa sta succcedendo.

Il palco che accoglie i Gordo è la "Gabbia", un minipalchetto a livello strada, una situazione particolare e con il suo fascino, più da buskers che da festival, incastrato in un angolo del tendone che accoglie i banchetti all'entrata del Magnolia.
Davanti alla Gabbia si forma il naturale "muro" di persone in cerchio attorno alla band. Tutto condito da un'amplificazione basica, che rende il tutto ancora più precario e particolare.

In questo scenario troviamo i Gordo: basso, batteria, tastiere e voce, che sparano il loro drone-gothic-stoner-gordo-metal letteralmente in faccia ai presenti. Il muro di persone è bello spesso e si fatica a farsi strada.

Ma il richiamo della foresta è forte e dopo qualche minuto si torna verso il palco principale, non me ne vogliano i Gordo, con l'idea di sentire come se la stanno cavando i Nero di Marte e magari di tornare alla gabbia per il finale.




Beh, dal palco principale non mi sono più mosso, perché i Nero di Marte sono stati la rivelazione del festival.  Un'altra band in quelle condizioni, quando hai solo mezz'ora e non puoi cambiare nulla di quello che hai, si sarebbe demoralizzata, innervosita, deconcentrata e probabilmente avrebbe mandato all'aria una gran bella occasione.

Loro invece non hanno fatto una piega, hanno mantenuto la concentrazione e anzi, hanno dato una prova incredibile. Una batteria suonata con ritmi e tempi complessi (tutto a clic), con tutta la naturalezza di questo mondo, dei giri di basso ben costruiti e mai banali, due chitarre con dei suoni perfetti, bei riff, arpeggi e belle armonizzazioni anche nei momenti più dissonanti, e infine una gran voce, con una bella estensione sia pulita che e in growl molto espressivo.

La cosa che li contraddistingue e che gli da un altro valore aggiunto è la totale assenza di pose, vestiario studiato, espressioni o atteggiamenti. Quattro ragazzi "normali" oserei dire quattro "bravi ragazzi" che semplicemente fanno la musica che gli piace e la fanno bene, senza aver bisogno di scimmiottare nessuno o di voler sembrare più "fighi" di quello che sono giù dal palco.

Dopo i Nero di Marte sono appagato nello spirito, ma lo stomaco reclama. Quindi mentre sul Messicano attaccano i Fuzz Orchestra, io attacco la zona ristoro per accaparrarmi una pizza. La situazione sembra drammatica, il mio biglietto recita "n.62" e il tabellone dice "n.19". Ma è tutto un bluff per farti prendere una birra in più nell'attesa, perché nel giro di neanche mezz'oretta, il tempo di scambiare quattro chiacchere con degli amici trovati in loco e la pizza arriva: buona, tonda, sottile e cotta sulle fiamme dell'inferno.
Non le pizzette da tostapane fredde e gommose degli altri grandi finti festival italiani.

Nell'attesa si riescono a seguire un po' anche i Fuzz Orchestra che vestiti bene, pettinati e impomatati, tentano (e ci riescono) di fare la piega anche a tutto il pubblico.

Mentre sto addentando la pizza, i Wrust addentano la giugulare del pubblico.

Wrust


Il loro è un metal classico, magari un po' datato e tecnicamente non sono il top del top, ma si difendono bene. Se per sbaglio non lo sapeste ancora, i Wrust sono stati il primo gruppo metal della storia del Botswana e dell'Italia, a esibirsi in Italia. Si sono fatti quel milione di chilometri per esibirsi al Solo Macello Fest. Sono arrivati qui per concludere le riprese di un documentario sulla vivissima scena metal Botswanese, e sono stati aiutati con una raccolta fondi per pagare le ingenti spese di viaggio che hanno dovuto affrontare. Solo per questo meritano il massimo del rispetto, e inoltre si sono rivelati dei veri intrattenitori e hanno saputo tenere il pubblico come nessuno ha saputo fare in tutta la serata.
Wurst eroi assoluti e incontrastati del Metal. 

Nella Gabbia imperversano i Graad, o meglio Il Graad, una death man band, chitarra-voce e computer, molto particolare.

E poi è il turno degli In Zaire sul palco Messicano. Basso batteria sinth, rumore acido e cervello in pappa. Se ancora non si fosse capito il messicano è il palco dedicato al lavaggio del cervello e gli In Zaire non vogliono sfigurare. Se nell'ascensore per l'inferno volessero mettere una musica di sottofondo, sicuramente sceglierebbero gli In Zaire. Ascoltate il loro disco e provate a darmi torto.




Vincono il Premio Peyote assegnato dalla giuria de Il Dolditoriale (che poi sono io me medesimo), come la band che ha mandato più a male di tutto il festival.



Per far prendere aria al cervello, nella Gabbia c'è Diego Dead Man Potron. Non si capisce come un uomo della Brianza possa avere così tanto whisky blues nel sangue. Quando suona lui, il Lambro si trasforma in Mississipi  e le colline della Brianza si trasformano in campi di cotone. Al Solo Macello è una vera e propria one man band, con un sound sporco e cattivo, batteria suonata con i piedi (in senso letterale si intende) e chitarra elettrica.
Ci voleva proprio prima del gran finale.

E' l'ora dei fuochi d'artificio, ma il primo sembra aver dimenticato un raudo in tasca, perché quando appaiono i Karma to Burn sul palco, sono solo in due.

Karma to Burn


Un attimo di sgomento, ma poi gli schiaffazzi che tirano con chitarra e batteria ci fanno rinsavire e la testa inizia ad ondeggiare e i gomiti iniziano a roteare.
Le botte che tirano in due sono indescrivibili, con un tiro che neanche il treno di ritorno al futuro parte terza. In due trascinano il Magnolia in un pogo che non vedevo dai '90, sono in due e non ci si fa neanche caso che manca il basso, anzi tutto quello che può essere un di più sembra inutile. I Karma 2 Burn  fanno sembrare inutile ogni altra band con più di due elementi. Se fossero stati in tre non so se sarei qui a raccontarlo. Esibizione EPICA.

Neanche il tempo di risistemarsi le ossa mischiate, che sul messicano va in onda l'ultimo stadio del brainwash con gli Zeus!. E mentre sei lì che stai mettendo posto l'ultimo ossicino, loro ti tirano un calcio che per ritrovarle, devi organizzare una caccia al tesoro.
Ne è passato di tempo da quando nella prima edizione del Miodi, apparivano da qualche parte per suonare dove capitava. Si sono evoluti e migliorati e ora sono pronti per diventare i nostri nuovi alfieri internazionali dell'estremo, sulle orme degli ZU. Nonostante il genere non sia proprio lo stesso, hanno la stessa stoffa e la stessa identità forte, ma soprattutto, come loro suonano da paura. Come ultimo gruppo italiano a rappresentarci al festival possiamo essere molto fieri.

Siamo alle ultime battute, e arrivano i tanto desiderati Red Fang. Quanto è bello seguire una band dagli inizi, vedere la sua crescita e vedere che il pubblico intorno a te cresce con loro. Sono sbarcati in Italia Nel 2011 la prima volta (se non erro) sempre al Magnolia, e allora erano solo un gruppo attorno al quale c'era molta curiosità, e nel 2013 sono come headliner, dopo un istituzione come i Karma to Burn.

Seguire un gruppo da quando muove i suoi primi passi è come fare un adozione a distanza.
Li vedi, decidi di dargli fiducia e anche dei soldi magari, comprando il loro disco, loro con quei soldi crescono, con i dischi venduti acquistano fiducia, diventano grandi, ogni tanto ti mandano delle foto per farti vedere fin dove sono arrivati, e tu sei contento per loro. Una volta ogni tanto poi vengono da te e con un grande concerto ti ringraziano per quello che hai fatto, e ti danno tutto quello che hanno per farti divertire e per regalarti una serata di grande musica. Tu intanto ne hai parlato agli amici e te li sei portati con te al concerto per condividere con loro l'evento e per fargli sentire che "questi ragazzi" ci sanno fare. Esiste qualcosa di più bello?

I Red Fang ormai sono di casa qui in Italia, e anche loro sembrano sentirsi un po' a casa. Ci regalano un'ora di grande live, con una scaletta perfetta. La stanchezza dopo una serata così si fa sentire, ma loro riescono comunque a esaltare il pubblico. Non so bene cos'abbiano di speciale questi ragazzi, sicuramente sono dei simpatici cazzoni giù dal palco, e dei gran professionisti quando imbracciano gli strumenti, ma hanno la capacità di risultare subito simpatici, anche senza fare nulla. Credo che siano la band metal più ben voluta di sempre.




Ogni volta che li vedo dal vivo sono sempre più incredibili, con dei suoni sempre più omogenei e amalgamati, si migliorano sempre, questa volta però uno di loro mi ha stupito più di tutti. Aaron Beam (voce e basso) deve aver fatto un lavoro sulla voce non indifferente. Preciso, pulito, con una voce piena e ben impostata anche sui registri più alti, non ha mai cantato così bene.
Forse il "brutto" esempio (averne di brutti esempi così) dei Mastodon con anni di grandi pezzi senza mai una voce vera che facesse da padrona e la svolta dei Baroness, che con Yellow&Green hanno dato molta importanza alla voce e sono riusciti a uscire dal vicolo cieco del post-hc, allargando di molto il loro pubblico, anche i Red Fang e Aaron hanno deciso di lavorare un po' di più su questo aspetto e i risultati sono ottimi.
Il finale del festival si trasforma in una vera e propria festa per  i Red Fang e per tutte le grandi band che hanno suonato prima di loro.

Dopo aver assistito quest'anno a un suicidio di massa di festival medi e grandi, forse bisogna fermarsi un po' a riflettere e magari prendere questo festival come esempio.
E' iniziato piano, con piccoli gruppi tutti italiani, ma con un'impostazione di fondo già da grande festival europeo, magari con qualche difetto, che però con l'esperienza è stato raddrizzato o è diventato poi un punto di forza.
Più palchi, un "villaggio" che fa vivere il festival a prescindere dai nomi che ci sono, un'attitudine rilassata che spinge il pubblico a venire per stare in quell'atmosfera, per vivere il festival e non per vederlo. Dove puoi comprare dischi, magliette, dove puoi mangiarti una pizza seduto come satana comanda e non spendere 5 euro per un panino di tre giorni prima in piedi sotto il sole a picco. Dove la coda per prendere da bere dura al massimo un minuto e non devi fare i turni di mezz'ora per arrivare alla cassa.

Un festival deve essere un parco giochi, un parco divertimenti, un villaggio turistico dedicato anima e cuore alla musica. Non servono per forza palchi enormi, servono più palchi (condizione fondamentale secondo me per essere un vero festival) non servono grandi nomi, servono grandi idee. Non bastano due big, o i due soliti nomi in giro da 30 anni, e non basta mettere in fila quattro, cinque, sei date, con un gruppo principale e due di spalla per chiamarlo festival.

Perché fare 20 festival mediocri e finti, dove c'è un grosso headliner e 5 riempitivi messi insieme a caso, organizzati male, con punti ristoro non adeguati, in aree orribili, con l'aspettativa di vita più bassa di quella di un governo Italiano?
Forse è meglio partire dal basso, con piccole realtà da far crescere piano.
In cinque anni il pubblico del Solo Macello Fest è quintuplicato, mercoledì sera (di MERCOLEDI!!) per band semisconosciute ai più e di non facile ascolto, il Magnolia era praticamente pieno. Quello che si vedeva al suo interno era una vera e propria via crucis (rovesciata) del Metal, di gente col sorriso che si spostava da un palco all'altro per sentire, valutare, vedere cchi c'era, prendere una birra, prenderne un'altra e prenderne un'altra ancora, incrontrare amici, chiaccherare. Questo deve essere un Festival con la F maiuscola e il Solo Macello Fest lo è.
Applausi a Solo Macello, Hard Staff e tutti quelli che hanno lavorato per renderlo possibile.














10 maggio 2013



"Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande", diceva il saggio.
E per fare un grande disco Metal?
Che domande, ci vogliono dei grandi riff Metal.
... e cosa troverete in questo disco?
Dei grandi riff Metal.
La recensione potrebbe finire qui, perché questo è tutto quello che avete bisogno di sapere su questo disco.

ZOLLE è il nuovo progetto "agricolo" targato Supernatural Cat (Ufomammut, Ovo, Morkobot...), e si sa che la loro fattoria produce solo cose genuine, frutti grezzi e saporiti che la terra ci offre, con una punturina di lsd per dagli quel tocco in più che male non fa.
ZOLLE sono Marcello (MorKobot) e Stefano, pastore e contadino, di quelli "come una volta", che fanno tutto a mano, senza additivi, conservanti e pesticidi.
Non c'è voce, perché quando si lavora nella solitudine dei campi o insieme agli animali non si parla con nessuno, al massimo si grugnisce o si  fanno dei sonori peti per spezzare il silenzio della campagna.
Basterebbero anche solo i titoli per recensire questo disco:

01 - Trakthor
02 - LeeQuame
03 - Forko
04 - Mayale
05 - Ma Ja To Ya!
06 - Melicow
07 - Heavy Letam
08 - Weetellah
09 - Trynchatowak
10 - Moongitruce




E cosa ci trovate dentro?
Dentro ci trovate riff e ritmiche che scavano nella terra. Avete predente quei terreni appena arati e rimestati, dalla superficie irregolare e di un marrone vivo che spiccano in mezzo ai campi coltivati?
Ecco questa è l'immagine che rappresenta alla perfezione Zolle.
Registrato usando una batteria in rame, come il paiolo della polenta, e un vecchio amplificatore degli anni '50.
Un lavoro grezzo, con un'identità forte, che riporta alla luce le radici del genere e le usa come unico strumento per disegnare pezzi brevi e intensi. 
Unica concessione, alcune spruzzate molto discrete di sinth e xilofono, per il resto un monolite di chitarre e batterie, divise equamente fra ritmiche lente e ipnotiche e sferzate di riff spaccaossa e batteria pestata come se non ci fosse domani. Si va dallo stoner tirato di "Weetellah", al quasi doom di "Leequame",  allo sludge di "Forko" o al classic metal di  "Heavy Letam"" sulla quale viene quasi voglia di lanciare uno "yeEEaaAAH" Hetfildiano. I confini fra i generi, con un'impalcatura così ridotta all'osso, sono sottilissimi, ed è probabile che ognuno senta qualcosa di diverso a seconda dei suoi ascolti.
Ma non ci si può soffermare troppo sul genere in un disco così.

Pochi fronzoli, solo badilate in testa. 

Stasera non perdetevi il release party all'Arci Lo-Fi di Milano.




16 agosto 2012

Torno a parlare di musica (finalmente) per parlare di un disco che dire controverso è dire poco.

Baroness - Yellow and Green


Il post-hc/sludge/chiamatelo come volete è un genere strano, perché è un non-genere che però ha una connotazione precisissima e un identità forte con un equilibrio sottilissimo e molto precario in mezzo fra altri generi. Appena si perde un minimo di questo equilibrio automaticamente si è fuori. Mantenerlo è difficilissimo e solo chi ha trovato una formula precisa e granitica e ha avuto la possibilità di svilupparla in sordina per molto tempo è riuscito a sopravvivere.

Già un intero movimento, quello post-hc quasi strumentale e di derivazione post-rock sì è praticamente estinto, logorato dalla ricerca di questo equilibrio, e autodistruttosi per non essere riuscito a trovare una svolta, cadendo nella ripetitività e nella mancanza di idee. Cult of Luna e  Isis sono le "morti" celebri, i Pelican sono sopravvissuti ma con grosse difficoltà, i Red Sparowes sopravvivono come side project con uscite sia live che discografiche a dir poco sporadiche.

Dopo questa ondata sono esplosi i Mastodon, che attualmente sono l'unica band di "nuova" generazione che è riuscita nell'intento di mantenersi nel genere cercando di portare ogni volta piccole novità e perché no di portare un po' più fuori dalla sua nicchia il post-hc. Il loro obiettivo dichiarato era quello di diventare band di riferimento di tutto il nuovo metal, ma l'obiettivo non è stato centrato in pieno. Sono riusciti ad arrivare a molte più orecchie di un qualsiasi altro gruppo simile, ma sono sempre rimasti un po' in sordina nel mondo metallaro mainstream.

Dopo di loro? Il nulla.

Non ho paura di dire che il posthc/sludge è quasi morto, sì ok ci sono i Red Fang, i Kylesa, ma sono più di stampo Stoner e non li vedo come dei gruppi che han voglia di prendersi sulle spalle tutto un intero movimento musicale e di portarlo in trionfo. Si sa che i generi musicali, senza alfieri e punti di riferimento vanno naturalmente a morire come grandi pachidermi nella savana. A parte casi isolati e molto underground, non si vede all'orizzonte un nuovo vero alfiere di questo genere.

A parte uno.

E questo uno sono proprio i Baroness.

Fin dal primo disco sono stati indicati e spinti a portare lo stendardo, si è gridato al miracolo, giubilo e gaudio a corte "Un altro Mastodon.... si!.. può!.. faaareeee!", col secondo disco la grande conferma, incredibile, sembra quasi un sogno e poi?

E poi arriva Yellow and Green.

Ed è come il padre interista che si ritrova all'improvviso con un figlio milanista, è come Rocky in Rocky V (capolavoro ingiustamente sottovalutato) quando viene mollato dal suo allievo prediletto che lo tradisce per soldi e figa.

Personalmente ho sempre pensato che i Baroness siano un gran gruppo, ma non sono mai riuscito ad ascoltarli veramente con piacere, perché li ho sempre trovati troppo legati, costretti in un sistema troppo stretto per loro, un po' come sentire Omar Rodriguez Lopez costretto a suonare La Canzone del Sole. Beh sì, è facile dirlo adesso dopo aver sentito questo doppio disco, ma giuro che era l'esatta sensazione che mi trasmettevano.

I Baroness oltre ad essere un grande gruppo sono anche dei musicisti intelligenti, e si sono voluti togliere in fretta di dosso tutte le pressioni, e le investiture che gli sono state date.

In ogni caso questo terzo disco sarebbe stato un "flop" o avrebbe avuto comunque critiche spietate. Quando hai addosso tutta quella attenzione e quando ti concedono due "5 stelle" di fila, no c'è capolavoro che tenga, se rimani sulla linea dei due dischi precedenti manchi di idee e sei ripetitivo, se provi a cambiare leggermente direzione sei bravo ma non hai centrato l'obiettivo e avanti il prossimo, se cambi totalmente sei un venduto.

E poi onestamente non so proprio cosa avrebbero potuto tirar fuori dopo due dischi così e altri 5 dei Mastodon prima di loro.

Hanno deciso di fare il colpo grosso, smarcarsi da tutti e portare la competizione un livello più alto, riuscire anche dove i tutti loro illustri predecessori hanno fallito: portare a un livello nuovo il genere e portarlo fuori dalla sua isola per evitarne l'estinzione di massa.

La cosa che mi ha stupido di più del disco, è che pur pucciando i piedi di qua e di là, riesce comunque a mantenere quell'equilibrio di cui parlavo prima e riesce a mantenere la sua matrice nel genere nativo pur non essendolo.

C'è chi ha parlato di tradimento, chi ha parlato di obiettivo poco chiaro, chi ha parlato di disco troppo dispersivo, di pochi tratti a fuoco e molti altri totalmente fuori norma.

Secondo me è un disco come non ne capitavano da almeno 20 anni, un disco che segna indelebilmente la storia, per quando oggi la musica rock incida poco sulla storia, e che sancisce  la nascita (finalmente) di una nuova grande band di stampo metal.

Avete presente "Mellon Collie and the Infinite Sadness"?

Questo è il suo fratello minore (a mio parere per età e non per qualità).

Curiosamente questi due doppi album arrivano da due band all'inizio della loro carriera, dopo due dischi osannati, che si sono smarcate dal genere in cui volevano a tutti i costi incasellarle, consacrandone il successo a livello mondiale. Il grunge negli anni '90 aveva tutt'altra considerazione rispetto allo sludge/posthc/postmetal di oggi, ma con le dovute proporzioni nei dati di vendita si può dire che  il salto è stato lo stesso. E curiosamente agli Smashing Pumpkins sono state mosse le stesse critiche al tempo dai loro fan storici. Curiosamente c'è anche un pezzo sul disco dei Baroness il cui riff e ritmica ricordano molto da vicino un pezzo presente in Mellon Collie...vediamo se lo trovate (la soluzione a fine articolo).

Altro punto della questione: oltre a portare il genere in una nuova dimensione, i Baroness hanno il merito di riuscire nell'impresa di riportare gli assoli nel mondo metal moderno (moderno come concezione, non come età) , dandogli un senso, una nuova connotazione, e un ruolo principale nell'arrangiamento del pezzo. Assoli completamente opposti a quelli che il mondo metal è abituato a sentire, tutta tecnica e niente cuore e cervello, ma un tipo di assolo emozionale a metà fra Pink Floyd e i QOTSA.

Alcune critiche arrivano anche perché secondo i detrattori, hanno fatto il salto ma non l'hanno fatto abbastanza lungo, perché per la paura di scontentare troppo i fans sono rimasti con un piede nel loro vecchio mondo.

Io credo, come dicevo prima, che sia proprio questa la grande forza di questo disco, quello di rimanere all'interno del loro genere ma di contaminarlo con altro, cosa che nessuno aveva mai fatto veramente e con questa qualità ed efficacia.

In questo doppio disco ci sono pezzi clamorosi, come "March into the sea", già solo il gioiello d'arpeggio che c'è in questo pezzo vale il prezzo del disco. "Board up the house" o "Back where I belong", con un assolo a due chitarre (che solitamente non sopporto perché è la classica sboronata ignorante e inutile del classic metal) da lacrime; "Psalms Alive" con un andamento al limite del drum n' bass e un esplosione centrale da indici al cielo. Ci sono dei grandi pezzi molto diversi fra loro, che però hanno tutti la stessa identità e una coerenza di fondo.

L'altra grande rivoluzione sono le linee vocali. Finalmente da un genere che nelle migliori delle ipotesi quando ha voluto fare il melodico ci ha abituati al mononota (anche qui i Mastodon ci avevano provato senza avere il coraggio e la capacità di osare, anche per evidenti limiti tecnici) arriva una nuova (per il genere) concezione di "cantato", che non ha paura dei pregiudizi. I Baroness regalano un lavoro sulle voci ottimo e finalmente dei pezzi che ti spingono a cantare, che volenti o nolenti è sempre stato un grosso limite di questo genere, nelle sue frange più o meno melodiche.

Sì, forse nella parte verde del disco c'è qualche episodio non riuscito, ma anche il sopracitato Mellon Collie aveva alcuni episodi non proprio ottimi eppure è considerato, con i suoi pregi e difetti riconosciuti, universalmente il loro capolavoro e un disco di riferimento per quegli anni e per tutta la musica.

Non voglio fare il controcorrente per forza, non mi interessa, ho approcciato questo disco con grande scetticità e distacco, non sapevo cosa aspettarmi, e mi sono ritrovato con un desiderio di ascoltarlo e riascoltarlo che non mi capitava da moltissimo tempo.

I Baroness si sono trovati davanti a un bivio: o l'estinzione di massa o rischiare e andare alla ricerca della valle incantata. Hanno scelto la seconda, non so se hanno trovato la valle incantata ma sicuramente è un posto fertile dove far crescere la loro musica e il loro "branco".

L'estinzione è scongiurata... per ora.

La soluzione al quesito della Susi è:

March into the sea - Bodies