14 ottobre 2013

Chi, come me, non si è perso neanche un passaggio degli Editors a Milano, sapeva perfettamente cosa aspettarsi da un loro concerto. Non hanno mai deluso, e giovedì all'Alcatraz hanno dato un'ulteriore conferma del loro valore.

Le premesse per il concerto non sono il massimo, su Milano c'è aria di tempesta e tentare di avvicinarsi all'Alcatraz è impresa non da poco, con l'acqua che arriva a secchiate orizzontali e il vento che sembra voler portare via tutto. Per fortuna il concerto è già soldout, altrimenti con quelle condizioni atmosferiche sarebbe stato molto difficile riempirlo.



La prima cosa che si impara quando si è visto gli Editors molte volte è che bisogna andare presto. Perché i ragazzi (o chi per loro) non tralasciano mai la qualità dei gruppi spalla.
Qualche anno fa nel defunto Palavobis/Mazdapalas/Palatucker/Palasharp... a proposito, visto che ormai sembra caduto definitivamente nelll'oblio, il tanto sbandierato nuovo palazzetto polifunzionale, che doveva prendere il suo posto in previsione dell'EXPO 2015 che fine ha fatto?
... Dicevamo, qualche anno fa al Palasharp prima degli Editors c'era un gruppo che qualche hanno dopo ha firmato il disco dell'anno per l'NME e per il Dolditoriale, il nome "The Maccabees" vi dice nulla?

Quest'anno invece l'onore di aprire le danze ai loro concerti è stato concesso ai belgi Balthazar, in forze alla PIAS (la stessa casa discografica degli Editors). Visti i precedenti, l'aspettativa anche nei loro confronti era alta e non hanno deluso, anzi sono stati ben al di sopra delle aspettative.

Quello che propongono è un indie-pop/rock con spiccate venature folk. Atmosfere invernali, con una voce strascicata e impianti sonori minimalisti, con uno splendido basso stoppato come spina dorsale dei loro pezzi. una lor caratteristica peculiare sono suggestive parti a quattro voci all'unisono, con le quali chiuderanno anche  il loro live in modo a dir poco efficace.
Già dalle prime note si capisce che i ragazzi valgono. Convincono subito, catturano l'attenzione del pubblico. Lo conquistano e lo coinvolgono fin dalle prime battute, arrivando verso la fine a provocarne un hand-clapping spontaneo, al quale credo di non aver mai assistito per un gruppo spalla semisconosciuto.
Segnateveli, perché ne sentirete parlare molto in futuro.




Arriviamo al motivo per cui l'Alcatraz è soldout.
Come da tradizione il primo pezzo del concerto è il pezzo di apertura del nuovo disco... Invece no. Perché "The Weight" è solo un accenno strumentale che fa da contorno all'ingresso della band. Il primo pezzo del concerto in realtà è il secondo dell'ultimo disco: "Sugar".

L'interruttore però lo accende "Smokers Outside.." dopo "Someone Says", il locale esplode letteralmente sulle prime note, e subito dopo "Bones" suona la carica.
Il concerto sembra decollare e invece "Eat Raw Meat = Blood Droll" è un po' come un tirare il freno.
Nonostante tutte le critiche ricevute, io considero "In This Light and On This Evening" un grandissimo disco, ma non ho mai capito e apprezzato "Eat Raw Meat...". Non ho mai capito perché l'abbiano scelta come singolo, e non ho capito perché lo abbiano riproposto dal vivo, soprattutto in quella posizione fondamentale della scaletta.

Dopo la frenata, tocca a "Two Hearted Spiders" il compito di far ripartire il concerto, ma nonostante sia un pezzo splendido, purtroppo fa fatica a trascinare il pubblico. L'acceleratore sul concerto incredibilmente lo schiaccerà "Formaldeyde", accolta come un grande classico durante il quale il pubblico sostiene la band per tutta la durata del pezzo. Anche Tom Smith è visibilmente stupito della reazione.



Da lì in poi sarà tutta in discesa, "A Ton of Love" scatena il delirio, ma così come all'inizio subito dopo piazzano "Like Treasure" che raffredda leggermente gli animi, ma è veramente un piacere ascoltarla. Uno dei pezzi "minori" di "In this light..." ma che dal vivo rinasce e acquista un'intensità unica.

Sembra quasi vogliano tenere alta l'attenzione del pubblico, che non vogliano fargli perdere il controllo, mantenendo sempre dei momenti in cui si ascolta veramente la loro musica, senza distrarsi cantando, saltando o facendo foto e video (argomento sul quale tornerò alla fine).

Arriva il momento più bello della prima prima parte del concerto, dopo una possente "In This Light and on this Evening", che secondo me rimane IL pezzo di apertura per un concerto, è il momento di "Phone Book". Suonata chitarra acustica e voce con il solo Justin Lockey, il nuovo entrato chitarrista, a fargli da supporto.
E' incredibile come uno dei pezzi che su disco convince meno, dal vivo diventi forse il momento più intenso di tutto il concerto. Sul ritornello Tom addirittura riesce a zittire tutto il pubblico (cosa che ho visto fare solo ai Sigur Ros), solo con l'intensità della sua voce, regalandoci un momento veramente emozionante.
Accortosi di quello che è riuscito a fare, sull'applauso spontaneo che è scaturito subito dopo, anche lui è visibilmente emozionato e deve smettere di cantare per un attimo prima di riprendere.



Tocca a "Honestly" chiudere la prima parte del concerto. Al rientro gli Editors lasciano le redini con una tripletta incredibile che fa letteralmente scoperchiare l'Alcatraz, la tempesta fuori è niente al confronto: "Bricks and Mortar" è da lacrime; "Nothing" in una versione appositamente studiata per il live, è una delle cose più trascinanti che abbiano mai suonato; infine "Papillon" suonata come se non ci fosse un domani trasforma l'Alcatraz in una dancehall.

La lente di ingrandimento in questo live era puntata sul nuovo chitarrista, che secondo me è un tesoro per questo nuovo corso della band. Poche cose, al momento giusto, suoni meno invasivi ma più curati, lascia il giusto spazio alla voce che infatti viene valorizzata e trova più libertà di espressione. Coadiuvato da Elliot Williams ai sinth e alla seconda/terza chitarra formano un tessuto sonoro di grande eleganza sopra ai due membri storici che sono l'indiscussa spina dorsale del suono degli Editors. In Particolar modo il bassista Russel Leetch è la colonna portante della band, che rispetto al passato si concede anche molto più spazio sul palco, andando da una parte all'altra a tirare in mezzo il pubblico.

Chi pensava che "In This Light and On This Evening" fosse solo un passo falso della band si è sbagliato di grosso. Molti loro colleghi quando fanno un disco diverso dal solito, lanciano il sasso e nascondono la mano. Appena vedono che la reazione del pubblico non è quella che si aspettavano, cancellano il disco "sperimentale" da tutte le scalette dei concerti, facendo finta che non sia mai esistito. Gli Editors invece sono perfettamente convinti, consapevoli e fieri di quello che hanno fatto, e in scaletta hanno riservato molto più spazio a questo disco che ai due precedenti.



E' chiaro che non sono più quelli dei loro primi due dischi e non lo saranno mai più. Quei ritmi in levare ormai gli vanno stretti, la voce di Tom Smith è palesemente imbrigliata in linee vocali che ormai gli stanno come il vestito della comunione. Ascoltandoli dal vivo, se ci si estraniava un attimo dal delirio del pubblico e si ascoltava attentamente, si sentiva che non avevano la stessa resa e la stessa intensità di quelli degli ultimi due dischi (ed è anche per questo che non sono molto citati in questo report), tranne qualche eccezione che però era già una finestra sugli Editors di oggi (ad esempio "Munich" o "Smokers Outside...").

C'è un anche aspetto particolare della loro musica che salta all'occhio dopo averli sentiti dal vivo: o non hanno mai trovato un produttore che fosse capace di fargli imprimere su disco la stessa intensità che esprimono dal vivo, o sono loro che in studio proprio non riescono ad esprimersi come sul palco. Anche per di arrangiamenti, possibile che trovino idee sempre migliori per il live piuttosto che in studio? Per esempio, perché decidere di registrare "Nothing" con un discutibile arrangiamento d'archi, quando invece sia fatta semplicemente in acustico che con l'arrangiamento esplosivo dei live elettrici, è comunque oggettivamente migliore la resa del pezzo? Lo stesso discorso vale per "Phone Book" naturalmente, che su disco è molto più serrata e non lascia il giusto spazio alla voce come invece accade dal vivo.
In ogni caso questo, nonostante sia un punto debole, conferma la grandezza della band. Perché ormai sono veramente pochi quelli che hanno il coraggio di stravolgere i loro pezzi dal vivo. 




Quello degli Editors a Milano è stato un concerto forse non trascinante come può esserlo uno dei The National, ma con il giusto equilibrio di elementi e una qualità di esecuzione altissima che lo rende quasi perfetto. 

Perfetto se non fosse per tutti gli imbecilli che passano il concerto a fare video e foto con i telefoni... che poi adesso i telefoni te li ritrovi davanti quando va bene, perché quando va male sono ipad e tablet vari quelli sollevati sopra le teste. Ormai gli inizi dei concerti e i momenti più significativi si riescono solo a guardare attraverso il display del telefono di quello davanti che a sua volta riprende i display dei telefoni davanti, è una situazione demenziale. Passi fare una foto per ricordo o da mettere su Instagram o Facebook ma poi basta, è anche una questione di rispetto per chi sta dietro di te, è una situazione insostenibile.
















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