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18 aprile 2013



So che il titolo fa ridere e farà inorridire i fan del Reverendo, ma in Italia purtroppo siamo a questi livelli.
Mi riferisco a questo.


C'è ancora qualcuno che ha paura di Fabri Fibra?
C'è ancora qualcuno che vede Fabrizio Tarducci come simbolo di trasgressione?
C'è ancora qualcuno che pensa che sia un violento, uno scorretto?
Evidentemente ed incredibilmente sì. 
Quando ho scritto la recensione pensavo seriamente e ottimisticamente che fosse finalmente sdoganato (insieme al genere che rappresenta), che fosse passato nell'immaginario collettivo dalla "controcultura" alla cultura.
Che ormai l'Italia avesse fatto un passo avanti, si fosse emancipata dalla percezione trasgressiva dell'hip hop, e che non si facesse più spaventare da versi buttati lì tanto per far rima e per fare effetto.
Rime che nessuno, con un minimo di senso dell'ironia prenderebbe in considerazione.
Evidentemente no.

Non voglio sembrare l'avvocato difensore di Fibra o del rap, poteva essere chiunque e di qualunque genere musicale.
Ma evidentemente c'è ancora qualcuno che non ha capito nulla, che vive in un mondo parallelo, nonostante l'hip hop sia costantemente nei primi dieci posti delle classifiche, nonostante il 90% delle radio spenda buona parte della loro programmazione per questo genere.

C'è chi si attacca al testo di una canzone hip hop di dieci anni fa per accusare un "cantante" di scrivere testi contro le donne e di creare un "humus da cui si genera violenza". 

Sì, siamo nel 2013 e avete letto bene: "hu-mus-da-cui-si-ge-ne-ra-vio-len-za".

Oltre a lanciare un'accusa inesistente, ottiene anche due effetti collaterali, mettendo la lente di ingrandimento su due canzoni che non si era mai filato nessuno e che sicuramente non avrebbe mai fatto al concerto del primo maggio. Inoltre da ancora lustro alla figura di Fibra nel panorama più underground dell'hip hop dove ormai è considerato troppo mainstream e, per dirla alla Malesani, "mollo".

Si strumentalizza la partecipazione di un artista a una manifestazione musicale, compromettendolo e censurandolo preventivamente, per far parlare di un argomento che nulla ha a che spartire con il cantante in questione. Lo si utilizza come capro espiatorio, come causa o concausa, di una questione che ha radici piantate in tutt'altro terreno.

Fibra in Italia viene trattato come Marilyn Manson negli USA, il quale ogni volta che negli Stati Uniti succede una disgrazia in cui c'è di mezzo un'arma da fuoco e dei ragazzi, viene sempre tirato in mezzo insieme alle solite accuse sulle sue canzoni che fomenterebbero l'odio, la violenza e l'autodistruzione. Quando invece tutti sanno che la causa è ben diversa e sotto gli occhi di tutti.



Ormai Brian Hugh Warner è un "rispettabile" signore di 45 anni che non fa paura neanche a un gattino, ma è comunque sempre visto come l'"anticristo"  (ogni volta che sento questa parola accostata a MM non so se ridere o piangere) dai cristiani integralisti, dai "matusa" per dirla alla Elio, dai bigotti e ignoranti in generale.




Allo stesso modo, ma rapportato alla nostra penisola molto più provinciale e bigotta, Fibra, ormai rispettabile "adulto" che va per i 40, non fa più paura neanche al Papa, ma nell'immaginario collettivo rimane il  "cattivo". Così come è stato dipinto dai media in quelle due o tre occasioni in cui si è parlato di lui a livello nazionale e viene usato alla stregua di un Manson nostrano, come capro espiatorio per vicende in cui non c'entra nulla.

Questo succede perché alle persone non interessa di sapere come è "il reale", gli basta la proiezione che viene data da televisioni e giornali in quelle due o tre occasioni in cui questi nomi vengono accostati a fatti con i quali non hanno nulla a che vedere.
Certi simboli di cattiveria e odio fanno sempre un gran comodo all'immaginario collettivo, sono le nuove streghe da mettere al rogo, per nascondere sotto i carboni ardenti e la cenere i veri problemi.

In una intervista di qualche tempo fa Tarducci disse che, nonostante fosse stato invitato più volte, non ha mai voluto andare a Sanremo perché consapevole del fatto che la sua figura verrebbe strumentalizzata, e sarebbe invitato solo per fare "scandalo" e non per quello che fa in musica.

Probabilmente non immaginava che il concerto del primo maggio,un carrozzone tale e quale al Festival di Sanremo, potesse essere anche peggio. Una manifestazione dove l'ipocrisia regna sovrana e l'immagine di facciata conta di più di qualsiasi altra cosa, dove la musica sta all'ultimo posto nella scala delle priorità.
Dove non esiste libertà di espressione.
Dove si pratica la censura preventiva con effetto immediato senza ascoltare la controparte e senza dare possibilità di difendersi.
Non dimentichiamo negli anni passati la differita con beneficio di censura del 2004, e la liberatoria anti referendum del 2011.
Visto così il concerto del primo maggio sembra un concerto organizzato dalla Stasi.


Questa vicenda getta ancora di più nel mondo dell'assurdo un evento che negli anni ha fatto di tutto per diventare il festival mondiale del grottesco, oltretutto dopo la pubblica derisione ad opera di Elio con il suo pezzo dedicato al "concertone" dove ha messo nero su bianco tutte le assurdità e gli stereotipi che da anni infestano questa manifestazione.








15 febbraio 2013

Diciamoci subito la verità, se quest'anno a Sanremo non ci fosse stato Elio, sarebbe un Sanremo qualunque.


Anzi peggio, un Sanremo senza neanche una vera bella canzone che svettasse sulle altre, senza una "Bellezza" di Renga, o un "Chiamami Ancora Amore" di Vecchioni. Un Sanremo piuttosto piatto se non fosse per l'episodio di Crozza, attaccato palesemente da un claque organizzata, con tanto di intervista al contestatore guardacaso in forze al Pdl, rilanciata su quasi tutte le testate giornalistiche. Ma forse dopo la sparata di Kazzenger Giacobbo non c'era neanche bisogno di andare a Sanremo.



Anche la Littizzetto da un grosso contributo a rendere un po' più vivo questo Festival, nonostante le critiche è l'unica "comica" che è riuscita a mantenere la sua naturalezza su quel palco e non si è fatta intimidire dall'istituzionalità del ruolo e dalla responsabilità di unica donna del Festival, riuscendo anche a fare interventi seri e intelligenti con una semplicità disarmante. Provate a fare un confronto con l'imbarazzante mediocrità di Papaleo o gli impacciati Luca e Paolo o le varie "farfalline" che si sono avvicendate a fianco dei presentatori... non c'è confronto.

Ma dicevamo, se non ci fosse stato Elio...
Nonostante la popolarità, nonostante la visibilità data con la vecchia partecipazione a Sanremo e quella a X Factor, il popolo italiano è molto diviso nel giudizio sul simpatico gruppettino, diviso non tanto fra chi li ama o li odia, ma fra chi li capisce e chi no. Perché la grande differenza, e in alcune cose la grande difficoltà, è capire veramente chi sono, e molto spesso, sia chi li ama che chi li odia in verità non ha capito bene "chi sono", soprattutto chi sono oggi.

Perché gli Elio e le Storie tese di oggi sono profondamente diversi da quelli di una volta.
Una volta potevano essere incasellati nella definizione semplicistica di rock demenziale, oggi invece sono a tutti gli effetti un gruppo di art-rock/pop nella inclinazione più ampia del termine. Non sono più gli esplosivi ragazzi di "Servi della Gleba", oggi sono sottilmente geniali, guardano le sfumature, non puntano più a stupire per forza, ma puntano al particolare sottile e di disturbo. Le testone di Sanremo sono una perfetta rappresentazione di quello che sono gli Elii oggi.



Purtroppo da molti sono considerati solo un gruppo di "cazzoni", quando invece i "cazzoni" sono fra i più grandi professionisti dello spettacolo che abbiamo mai avuto in Italia. E non è solo il classico "Sì, ma come suonano bene però", sono artisti illuminati ,curiosi, sempre pronti ad affrontare una nuova scommessa, a mettersi in gioco, a sperimentare.

Dietro quei "cazzoni" per esempio si cela un grande autore comico e televisivo (Rocco Tanica), dei grandi musicisti fusion e jazz e di qualsiasi altro genere suonabile  (Faso, Meyer, Cesareo), un attore di teatro e cantante lirico (Elio), dei maestri (diplomati in conservatorio) nei rispettivi strumenti, impegnati in mille progetti alternativi: prendetevi del tempo per leggere tutto quello che hanno fatto nella loro carriera (mi piacerebbe sapere cosa direbbe Sea Wolf sulle loro pagine Wikipedia...).

Ma puntiamo la lente su questo Sanremo.
La Canzone Mononota ha spaccato in due il pubblico, chi li ha già eletti vincitori morali e chi li ha disprezzati per una canzone apparentemente inutile e banale. Ma anche qui, non so bene fino a che punto sia stata capita da tutte e due le parti.

Sanremo è il Santuario Mondiale della Melodia, è il luogo in cui la ricerca della melodia perfetta è allo spasmo, dove la musica orecchiabile (parola che dovrebbe essere vietata per legge, il "Tutti insieme, è orecchiabile" detto da Elio su Dannati Forever è stato un momento epocale del Festival) trova la sua ragione di esistere, dove i virtuosismi vocali sono l'unica ragione di esistere, dove la ricerca del ritornello canticchiabile è dogma, dove da 60 anni la grande tradizione italiana del Bel Canto regna sovrana. In quel contesto riuscire ad entrare portando una canzone cantata con una nota sola, senza alcuna traccia di melodia, è come entrare in San Pietro nudi con una croce come perizoma, è come telefonare a Bill Gates con un IPhone, come fare la sagra della porchetta in una moschea, come andare a visitare la casa Bianca travestiti da Ahmadinejad.
E' andare a Sanremo negando l'essenza stessa di Sanremo, è blasfemia pura.

Molti hanno detto: "Eh, ma che ci vuole a fare una canzone con una nota sola?". 
Visto che ormai siamo tutti esperti di cucina, immaginate una prova di Masterchef:  "Dovetti preparari il pranzo di Natale: lasagne, pesci, arosto, un pranzo complettto e elaboratto. Avettte a disposizioni ogni strumento e utensile immaginable, però... dovete prepparre tutto utilissando solo un appribottillie e una cafetierra."
Difficile? Ecco questo è quello che sono riusciti a fare Elio e le Storie tese con la Canzone Mononota.
Perché in fondo è vero, tutti sarebbero capaci di fare una canzone così, ma quanti sarebbero capaci di fare una canzone sensata, completa, varia, strutturata, con tutte le variazioni e sfumature che hanno utilizzato loro?



Dimenticatevi per un attimo della voce di Elio, ascoltate la musica, sentite quanti generi vengono toccati in una canzone sola, ascoltate la trama ritmica quanto è elaborata, quante variazioni. Sembra banale ma ogni battuta c'è una variazione, uno stop, un rilancio. Ad un ascolto distratto sembra tutta in 4/4, ma ascoltando bene di battute in 4/4 puro ce ne sono poche. E' piena di tempi dispari, anticipi, ritardi, tutto senza però spezzare l'andamento della canzone. E' un'opera fusion travestita da canzonetta, con all'interno anche citazioni, omaggi ad altri artisti e canzoni. Ascoltate gli arrangiamenti dell'orchestra come sono ricchi, in particolar modo prestate attenzione all'arrangiamento superbo che ha quando rimane da sola, roba da opera classica. Nessuno ha saputo sfruttarla al massimo come loro. Ascoltate quanti accordi, quante note ci sono dietro alla "mononota", ascoltate quando fanno la parte di samba (!!!).
Siete ancora convinti che chiunque sarebbe riuscito a fare una cosa del genere?
Oltre a questo, non è poi così semplice rimanere intonati sempre sulla stessa nota, con tutte quelle variazioni alle spalle, variando l'iterpretazione, il volume e l'intensità.
E alla fine il testo: riuscire a fare una canzone con una nota sola che parla solo della canzone stessa, vuol dire aggiungere difficoltà su difficoltà. Anche qui non è fatto in modo banale, analizza tutti gli aspetti della canzone, in modo sensato, spiegando la canzone stessa, dando anche dei piccoli aneddoti di storia della musica. E alla fine la parte più geniale di tutto il pezzo:

"Democratica, osteggiata dalle dittature, fateci caso: l'inno cubano è pieno di note".






Questo Sanremo, per quanto mi riguarda, è la consacrazione definitiva degli Elio e le Storie Tese come ARTISTI totali, veri e unici. 






15 novembre 2012


Ieri c’è stata la prima (credo) grande protesta organizzata a livello europeo, con annesso sciopero europeo.


Oggi i commenti sui giornali e sui blog si sprecano, chi analizza e contesta l’azione delle forze dell’ordine chi analizza il lato sociale della protesta, chi accusa i cosiddetti “centri sociali” o “black bloc”, ecc.

Io però voglio analizzare un aspetto delle proteste che non viene quasi mai preso in considerazione:

Il giorno dopo questa grande mobilitazione, questa sommossa popolare, questa “rivoluzione” cos’è cambiato, cosa si è ottenuto?

NULLA.

I Greci cosa hanno ottenuto in questi anni di manifestazioni e guerriglia?

NULLA.

Gli spagnoli con il movimento degli Indignados cosa hanno ottenuto dopo le innumerevoli manifestazioni, e dopo la grande mobilitazione contro il parlamento di qualche settimana fa?

NULLA.

Il movimento Occupy Wall Street cos’ha ottenuto?

NULLA.

Queste immagini sono la perfetta rappresentazione dell'efficacia delle manifestazioni in questi anni:



Si sente spesso parlare di rinnovamento, nella politica, nelle istituzioni, nel sistema finanziario, ma come si può chiedere un rinnovamento con forme di protesta di un secolo fa, come si può fare una rivoluzione con metodi che di rivoluzionario non hanno più nulla ormai, con slogan e schemi che hanno inventato proprio le persone a cui sono indirizzati?

Le manifestazioni, la guerriglia, lo sciopero sono forme di protesta senza più segreti per le istituzioni.

Sanno benissimo come combatterle, soprattutto sanno benissimo che non possono durare in eterno.

Sanno che la peggiore delle manifestazioni, dopo una giornata passata a prendersi lacrimogeni, manganellate, dopo arresti, fermi, scontri corpo a corpo, sarà destinata a diminuire di intensità e a disperdersi.

Anche la gigantesca manifestazione contro il parlamento spagnolo del 25 settembre che sembrava destinata a durare in eterno, si è spenta dopo poco più di una giornata.

Ormai il gene della rivolta nel mondo occidentale è morto, non siamo più abituati a combattere per prenderci quello che vogliamo, sono più di 50 anni che viviamo nell’illusione del benessere, che abbiamo tutto senza lottare neanche un secondo. Nessuno, e di questo ne sono più che certo, di quelli che sono scesi in piazza in questi ultimi anni è mai stato disposto a grandi sacrifici per ottenere quello per cui sta lottando e questo fa la differenza. A volte bisogna essere disposti anche a perdere la vita per la causa in cui si crede.

Anche gli scioperi ormai, sono una forma di protesta superata, tranne qualche categoria particolare e privilegiata che ha la possibilità di interrompere servizi fondamentali o di far perdere centinaia di migliaia di euro incrociando le braccia, gli altri non hanno forza sufficiente per mettere in difficoltà un paese. Anche in questo caso le istituzioni sanno che anche il peggior sciopero possibile è destinato a perdere di forza in poco tempo (categorie forti a parte, naturalmente).

Gli unici in Europa che sono ancora portatori sani del gene della rivolta sono i Francesi, ma anche per loro è un gene ormai sopito. Prima con Sarkò che faceva incazzare tutti un giorno sì e uno no, qualcosa si muoveva. Adesso con Hollande, che nonostante i messaggi bufala che sono circolati su Facebook non ha fatto ancora praticamente nulla, sono tutti più indulgenti.

Le manifestazioni e la guerriglia hanno funzionato per la Primavera Araba, ma in quel caso c’è una situazione economico-sociale che corrisponde alla nostra di 80 anni fa. Lì c’è gente che non ha più nulla da perdere, che non ha il pane e neanche le brioches, lì c’è la vera disperazione di chi deve lottare tutti i giorni per vivere, questo fa la differenza e i governi di quei paesi non si erano mai trovati ad affrontare una manifestazione, una rivolta organizzata e compatta e numerosa contro di loro. Di questo ho già parlato.

Le istituzioni in “occidente” stanno bene attente a non andare mai oltre la soglia del “non ho più niente da perdere”. Stanno attente a dare il giusto sfogo al popolo, o a cercare di non farlo pensare ai problemi reali, stanno bene attente ad arginare i “fiumi in piena” che stanno per esondare. La dimostrazione di forza, e violenza, delle forze dell’ordine nelle manifestazioni di ieri, appoggiata unilateralmente dal nostro ministro della giustizia in un modo che credo di non aver mai visto prima, è un chiaro segnale: “State attenti a quello che fate perché non abbiamo vincoli”. Nonostante questo possa aizzare ancora di più le folle, sotto sotto insinua molta paura nei manifestanti giovani e pacifici (il vero motore della rivolta e quelli più disposti a scendere in piazza e a protestare).

Come se non bastasse ogni manifestazione è resa vana dal solito problema da cui non se ne uscirà mai: se non ci sono scontri nessuno ne parla, se ci sono scontri parlano solo di quelli e tutto diventa un gigantesco “porno”, in cui sono tutti a caccia dell’immagine della manganellata, della condotta scorretta, dell’infiltrato.

Così il tutto si trasforma in rabbia contro lo scudo delle istituzioni, invece che contro le istituzioni stesse.

E' come se l'esercito medievale, una volta sfondate le porte del castello, si accanisse sulla porta stessa e si dimenticasse di entrare a conquistarlo.

Così facendo si invalida tutto il movimento di piazza. Per tutti diventa una manifestazione contro le forze dell’ordine, non contro chi ci governa politicamente ed economicamente. Le forze dell’ordine diventano il flusso canalizzatore della protesta, la caccia al colpo scorretto diventa un motivo di distrazione, di gossip, né più né meno dell'ultima dichiarazione della Minetti o della moviola su Juve-Inter che focalizza tutte le discussioni del day-after, in cui tutti discutono dell’episodio isolato, del fotogramma estrapolato, della conseguenza, ma nessuno si domanda i perché, nessuno discute sulla causa di quella manifestazione.

Per questi motivi secondo me è arrivato il momento di ideare nuove forme di protesta, adatte ai nostri tempi e che non forniscano memoria storica alle istituzioni per combatterle.

Forme di protesta che possano essere perpetrate per molto tempo e divenire efficaci sul lungo periodo, che vadano a colpire il cuore della causa scatenante.

Ci vogliono gli elefanti di Annibale e 15 anni di battaglie per penetrare nel nuovo Impero.

Chissà, forse una forma futuristica di protesta sarà una sorta di hackeraggio user-friendly.

Dopo lo sdoganamento della fotografia (tutti sono fotografi), lo sdoganamento del giornalismo (tutti sono giornalisti con un blog), chissà se sarà la volta del “tutti sono hacker”?

Le azioni di Anonymous per esempio hanno avuto grande risalto, e sono stati dei grandi colpi ad effetto perché hanno colto totalmente impreparate le loro vittime . Anche quelli non hanno risolto nulla, ma sono un esempio dell’effetto sorpresa che può avere una (relativamente) nuova forma di protesta (prima era utilizzato solo come sabotaggio, come esercizio per nerd o come ufficio di collocamento per aspiranti Steve Jobs).

Provate a pensare all’impatto che potrebbe avere una manifestazione pacifica e totalmente silenziosa, durante la quale non si bloccano solo le strade, ma tutti i dispositivi e tutti i sistemi nelle vicinanze.

Ma questa è solo una mia visione fantascientifica senza nessuna conoscenza tecnico-tattica. (a proposito di questa tematica di protesta/fantascienza ci sarebbe anche da discutere sull'impatto che ha avuto un film/fumetto come V sui movimenti di protesta, veramente notevole anche solo a livello di immagine).

Come suggerisce il titolo e molte altre citazioni presenti in questo blog, nelle canzoni di Elio c'è sempre una risposta a tutto:



"E Supergiovane da' fuoco a uno spinello col quale affumica il governo, che, all'istante, passa all'uso di eroina e muore pieno di overdose . "

Può sembrare stupido, ma  Supergiovane affronta il governo con qualcosa che il governo non conosce e non si aspetta, e addirittura lo porta all'autodistruzione: questo è il segreto della sua vittoria.



Concluderò dicendo qualcosa di impopolare. L'unica forma di protesta,rivoluzionaria ed efficace,  che mi viene in mente ora, soprattutto nei paesi latini dell’Europa, sarebbe anche la più semplice: RISPETTARE LE REGOLE a tutti i livelli e farle rispettare, e non mi rivolgo ai politici, ma a noi cittadini.

Ma questa è un’altra storia…