2 febbraio 2024

 In un momento storico in cui le nostre TV e i nostri device sono invasi dall’intrattenimento, in una lotta spasmodica a chi offre di più (dal punto di vista quantitativo più che qualitativo) il cinema torna ad essere arte e ad attirare appassionati nelle sale. 


Il merito diretto e indiretto di questa rinascita, va detto subito, è soprattutto dei piccoli cinema che con fatica in questi anni hanno puntato sulla qualità, cercando con tutte le forze di non cedere alla tentazione di accontentare il grande pubblico e di mantenere intatta una proposta coerente e costante. Passato il periodo più duro mai vissuto, chi è sopravvissuto ha iniziato a raccogliere i frutti di tanta tenacia nel 2023, dimostrando inoltre che un altro modo di vivere il cinema è possibile e anzi è necessario per farlo sopravvivere.

A riportare la qualità al cinema e a riportare le persone a cercarla sul grande schermo sono state per assurdo però anche le piattaforme di streaming che negli ultimi anni hanno cambiato radicalmente la loro strategia. 

Come in tutte le start-up, quando la luna di miele con gli investitori finisce, questi ultimi chiedono risultati e i risultati che chiedono i grandi investitori si raggiungono solo andando a cercare il grande pubblico. Il grande pubblico in poco tempo si trova inevitabilmente abbassando la qualità delle produzioni, riducendo i budget per le grandi serie e andando a rubare fette di mercato ai concorrenti, in questo caso la TV generalista, diversificando il più possibile e creando sempre più contenuti “leggeri” e di facile fruizione che possano accontentare il maggior numero di spettatori possibile.

Il cinema inizialmente ha cercato di cavalcare l’ascesa delle piattaforme, sperando di trovare un nuovo modo di arrivare agli spettatori, salvo poi accorgersi che continuando in quella direzione sarebbe stato fagocitato. 

Così negli ultimi anni si è assistito a una sempre più marcata differenziazione dei prodotti cinematografici da quelli destinati alle piattaforme, i primi sempre più lunghi, impegnativi, alla ricerca di uno sguardo originale da un lato e celebrativo dall’altro, i secondi sempre più omologati, standardizzati in una produzione in serie quasi da processo industriale. 

Al minutaggio fuori misura e alla celebrazione del “cinema”, poi è seguita la ricerca di una sorta di qualità artigianale, di una cura maniacale di tutti gli aspetti, a partire soprattutto da fotografia e musiche.

Contestualmente il pubblico si è accorto che avere un catalogo infinito a disposizione per sempre crea più confusione che altro e probabilmente ha trovato “conforto” nella programmazione dei cinema. Una scelta limitata sia nella quantità di titoli a disposizione che nel tempo in cui questi titoli rimangono a disposizione, con la garanzia che alcuni cinema offrono nella selezione dei film. Alle ore perse per scegliere una serie che nella maggior parte dei casi si rivela una perdita di tempo che richiede spesso anche due o tre puntate prima di abbandonare, inizia a preferire addirittura uscire di casa per andare a vedere quel film che ha scelto fra pochi altri e che sa non rimarrà lì ad aspettarlo per molto tempo. Un evento da condividere con altre persone sia fisicamente che nei commenti social, che riporta a un’esperienza di comunità, rispetto al guardare una serie o un film che nessuno magari in quei giorni sta guardando e ritrovarsi con un’esperienza spesso vuota, sia nei contenuti offerti, sia dal punto di vista della socialità.

Il cinema si è adattato a questa richiesta e ha fornito storie sempre più interessanti, accurate, fatte di piccoli dettagli sorprendenti, di temi profondi ma non elitari. Film che chiedono un discreto impegno e un’attenzione alta ma non impossibili da affrontare. Una sorta di nuovo cinema d’autore che ha trovato la chiave per arrivare a più persone senza compromettersi.

A gennaio 2024 arriva la consacrazione definitiva di questo modo di fare cinema o meglio la rinascita di un cinema mai morto, ma spesso dimenticato dalle case di produzione e dal pubblico, impigrito dalla retorica hollywoodiana che per anni ha spinto un certo tipo di cinema fatto di grandi budget e grandi star. In questa chiave è arrivata una programmazione forse mai vista prima di film che hanno riscosso un successo inaspettato, sfidando grandissime produzioni e film per famiglie. 


Personalmente mi sono accorto di questa tendenza quando a inizio gennaio, andando a vedere l’ultimo film di Miyazaki, Il Ragazzo e L'Airone, mi sono reso conto che tutti nella mia bolla social parlavano del nuovo film di Miyazaki, ma proprio tutti. Poi è arrivato Wim Wenders con Perfect Days e si è ripetuta la stessa dinamica, ma questa volta la bolla social ha sconfinato nel mondo reale e se ne parlava anche in ambienti che frequento, fra colleghi e amici (cosa mai vista per film di questo genere).

Credo che proprio il film di Wim Wenders sia il manifesto di questa rinascita, un film che ha portato il tutto esaurito nelle sale con silenzi ostentati, piccoli gesti e una delicata lentezza, fino ad arrivare a dominare il botteghino (!!) in Italia, scalzando proprio Miyazaki che lo era fino a un paio di settimane prima con il suo film più complesso e metafisico, incassando nel mondo più di 13 milioni di dollari.

Nel 2023 a lanciare la volata è stato forse Anatomia Di Una Caduta di Justin Triet (Palma D’Oro a Cannes), poi sempre a gennaio è arrivato Come Foglie al Vento di Kaurismäki, Povere Creature di Lanthimos, a metà febbraio arriverà Past Lives di Celine Song, che certamente proseguirà una serie positiva che credo abbia pochi precedenti.



Le persone che anni fa si sono spostate per prime sulle piattaforme streaming (Netflix in particolare) alla ricerca di una qualità che la TV non forniva più e il cinema relegava ai margini, oggi stanno tornando, o sono già tornate al cinema per lo stesso motivo. 

C’è infine un aspetto prettamente tecnico dietro a questo ribaltamento di fronte, ovvero la debolezza dell’algoritmo delle piattaforme streaming contrapposta all’efficacia delle sponsorizzazioni social/internet delle case di produzione in compartecipazione con le care e vecchie sponsorizzazioni analogiche su manifesti e giornali (queste ultime tornate di moda anche nel mondo della musica). 

Mentre l’algoritmo non fa altro che proporre esclusivamente contenuti simili a quello che abbiamo già visto, generando una serie di proposte fotocopia a volte anche piuttosto grottesche, le sponsorizzazioni di determinate case cinematografiche o distribuzione riescono a targettizzare gli appassionati usando come filo conduttore la qualità delle loro produzioni racchiuse in un certo tipo di cinema che però non rimane settorializzato in un unico genere o in un unico standard di produzione. Associata poi alle immagini delle locandine viste nel mondo reale, si crea un'affiliazione e una memoria visiva che riesce a far nascere la voglia di partecipare a questo rito della sala cinematografica.

Ricollegandomi al mondo musicale citato poco sopra poi, c'è da dire che le analogie sono molte con le dinamiche di questi ultimi anni e probabilmente è in atto una maintremizzazione del cinema “indie” come quella che ha attraversato la musica negli scorsi anni, guardacaso anche qui durante il picco di espansione delle piattaforme streaming. 

Un merito vero in questa rinascita però c'è l'hanno anche le piattaforme, ovvero quello di aver abituato il pubblico a stili e culture cinematografiche differenti, a produzioni provenienti da ogni parte del mondo, scardinando la centralità e il monopolio di Hollywood, che negli anni precedenti aveva allontanato le persone dal grande schermo. 



12 ottobre 2023




Nel folk americano c’è un fermento che sta riportando il genere ai fasti di un tempo. Questa resurrezione iniziata in piena epoca Trump può essere vista come una rivendicazione del patrimonio culturale americano da parte della contro-cultura musicale. Una “punk wave” antitetica, gentile e misurata, a far da contrappeso alle cafonate trumpiane. Uno dei primi frutti di questo rinascimento è stato l’esordio ufficiale di Sam Burton nel 2020, un piccolo inaspettato capolavoro che si è fatto strada lentamente. A questo è seguito l’esordio altrettanto luminoso di Marina Allen, fino ad arrivare all’affermazione definitiva di Weyes Blood nel 2022 (ma anche Taylor Swift è salita sul carro nel 2020 con Folklore).

Non era semplice per Burton ripetersi, perché il songwriter di Salt Lake City (trasferitosi in California) si muove con passo felpato fra passato e presente, senza mai dare riferimenti precisi. Dear Departed riesce invece a superare il precedente, utilizzando arrangiamenti più curati, una sezione ritmica più incisiva e un uso praticamente perfetto delle orchestrazioni, grazie alla produzione discreta di Jonathan Wilson. I Don’t Blame You è il suo manifesto, elegante e ammantata di tristezza mista a speranza e con Long Way Around forma forse il punto più alto della sua produzione. Canzoni che nel momento stesso in cui le ascolti sembrano già classici eterni. Così come Looking Back Again in cui si possono sentire Tim Buckley o Leonard Cohen, ma sono molti gli artisti che può ricordare, quasi come fosse capace di farti sentire sempre a casa, andando a pescare dal tuo background musicale. Un disco che parla di perdita e di rinascita a seguito di un periodo difficile per l’artista, con testi struggenti e malinconici, un disco che è qui per restare nel tempo, così come il suo autore.







10 agosto 2023

 


Mentre la Meloni inaugurava in pompa magna, con tanto di servizi altisonanti al telegiornale, manco fosse l'inaugurazione del Concorde, un nuovo treno che fa Roma-Pompei una volta al mese, in Campania c'è una linea ferroviaria chiamata Valle Caudina che è ferma da 2 anni a causa di una frana, una linea vecchia e malgestita che però serve un bacino d'utenza (soprattutto pendolari) di circa 120 mila persone fra le province di Benevento, Caserta e Napoli. Nel frattempo da Benevento a Napoli è stato attivato un servizio di bus sostitutivi, se però provate a chiedere alla biglietteria della stazione di Benevento dopo due anni non sapranno dirvi né orari né la compagnia che li gestisce. 

Poco male dai, c'è la linea Napoli-Bari che passa da Benevento, ma i tempi di percorrenza variano dall'ora e mezza alle due ore e un quarto. Sempre se va tutto bene, perché spesso i treni vengono fermati per far passare l'alta velocità, che poi alta velocità non è in quel tratto, e allora su un'ora e mezza potreste accumulare anche 50 minuti di ritardo. 

In tutto questo grazie a Ryanair siamo potuti arrivare da Milano a Napoli in un'ora e mezza (lo stesso tempo che ci si mette per fare i 60 km che dividono Napoli e Benevento in treno) con circa 200€ di spesa in due, avremmo scelto il treno ma di euro ne avremmo dovuti spendere più di 300. Però sempre il governo Meloni ritiene che Ryanair abusi della sua posizione dominante e serva calmierare forzatamente i prezzi che applica. Non parliamo neanche di Ita, la vecchia Alitalia, chi di voi ha preso mai un loro volo che non fosse intercontinentale, pagando di tasca propria? Poi se volete proviamo anche ad andare da nord a sud in treno sotto Natale quando a quanto pare non c'è nessun abuso a fare pagare a studenti e lavoratori che vogliono tornare a casa per le feste anche 400€ per un biglietto ferroviario, tutto bene in quel caso, vero Ministro Urso?

In tutto questo la Sicilia e la Sardegna si incazzano, o meglio i politici che le rappresentano (bei rappresentanti che vi siete scelti), sempre con RyanAir per i prezzi applicati d'estate, dimenticando che quando non c'era il cattivo O'Leary per arrivare in Sicilia si era costretti ai viaggi della speranza di 12/14/24 ore in treno, in macchina o traghetto, o a vendere un rene per un volo, una regione praticamente irraggiungibile e infatti aveva neanche un decimo del turismo di oggi. La Sardegna era in condizioni migliori per una migliore posizione geografica ma anche in quel caso le possibilità di spostamento sono aumentate esponenzialmente da quando c'è Ryanair e in generale le low cost.

Ma noi italiani nati per il gusto di trovare il cattivo di turno, che per carità non siamo mai noi, è sempre l'Europa, la Merkel, Macron, le low cost, noi siamo sempre il paese più bello del mondo con la costituzione più bella del mondo, invece di sistemare le cose che permettono a Ryanair di alzare i prezzi perché anche alzandoli rimane comunque il modo più conveniente e comodo per spostarsi, noi ce la prendiamo con Ryanair, perché per carità non sia mai che riusciamo a spostarci velocemente e a buon prezzo su mezzi del 21esimo secolo, lasciateci nel nostro clientelismo, nella nostra mediocrità, nel nostro isolamento, nel nostro abbruttimento.


26 settembre 2022

 


C'è un momento preciso in cui è iniziata la disfatta del PD in queste elezioni ed è stata la prima volta in cui a Propaganda Live si è vista la gag del vaso degli esteri. 

So che sembra assurdo detto così, ma fino a quel momento Letta era solamente uno stimato direttore di una scuola di scienze politiche francese, un ex politico ormai fuori dai giochi (e lui stesso lo ha ribadito diverse volte) che nessuno avrebbe mai immaginato di nuovo alla guida del PD.




Grazie a quella gag però, e alle successive ospitate, il pubblico e gli elettori di sinistra riscoprono una brava persona e un buon osservatore politico, una figura rassicurante che in un momento di grande incertezza (durante il secondo infinito inverno di pandemia) colpisce per la sua pacatezza e sincerità. 

Nel frattempo inizia a montare lentamente la crisi del PD di Zingaretti, probabilmente la guida più debole e confusa della sua storia, in totale sudditanza e appiattimento sul M5S (come dimenticare le celebri frasi "Avanti con Conte" e "Conte punto di riferimento dei progressisti").

Così un partito in totale annaspo, ostaggio delle proprie correnti e in totale assenza di una linea da seguire, invece di avviare un'opera di ricostruzione, invece di indire primarie vere e aperte a tutti (unico modo a mio avviso di alimentare nuova linfa), si affida al volto familiare, che possa garantire alla sua classe dirigente un futuro di sopravvivenza senza troppi scossoni, in vista del prossimo appuntamento elettorale.

Essere una brava persona però non vuol dire essere un bravo leader, a maggior ragione quando il presunto leader in questione aveva già dimostrato di non essere la persona più adatta a ricoprire quel ruolo. 

Fin da subito la volontà di Letta è quella di riportare il PD a sinistra, ma lo fa in modo piuttosto maldestro e populista, con la volontà di piantare bandierine e far vedere che il PD "c'è" ma poca capacità (o volontà?) di scegliere il momento e il modo adatto. Lo ius soli/scholae sbandierato a fine legislatura e in piena guerra, il DDL Zan fatto naufragare in modo grottesco dando la colpa a Renzi quando era chiaro che il solo Renzi non bastava ad affossarlo ed era forse il caso di guardare internamente e fare un po' di pulizia, e tante altre piccole operazioni "simpatia", fatte più che altro per sfatare il mito del PD partito della ZTL, che per volontà politica.

Gli errori poi si moltiplicano dopo la caduta di Draghi, innanzi tutto con la pessima gestione delle alleanze, ma anche con la pessima gestione delle candidature, e qui ritorna l'intreccio con Propaganda Live. 

Le candidature più in vista di Letta sono più che altro figurine buone per twitter e per le trasmissioni di La7, tant'è che mettendo in fila alcuni nomi sembra di ripercorrere le ospitate o le carrellate di tweet di Diego Bianchi & Co: Cottarelli, Ilaria Cucchi, Civati, Soumahoro, e poi Lopalco e altri. Molte sono persone che stimo (sono molto contento che sia stata eletta la Cucchi), di grande caratura morale, ma molti di loro che radicamento hanno sul territorio a livello politico? Da un lato sembra la solita sinistra autoreferenziale che guarda dentro la sua bolla, ma dall'altro può essere anche una linea politica coerente: candido gente con cui la sinistra si identifica. Poi però ci si ritrova nell'uninominale gente come Casini, Spadafora, Di Maio, Azzolina. Che senso ha? Soprattutto quando si lascia a casa persone come Giuditta Pini, a mio parere una delle migliori di sempre in casa PD e con un fortissimo radicamento sul territorio?

In un elettore più o meno attento come credo di essere io già crea confusione, mi immagino lo scoramento fra i meno appassionati che si ritrovano sulla scheda sopra al simbolo del PD Lucia Azzolina, miss banchi a rotelle.

Questo è stato il primo grande errore, il secondo invece, forse ancora più grande, è un errore di presunzione e ingenuità allo stesso tempo, che arriva prima della campagna elettorale e risponde al nome di Di Maio.

La presunzione di Letta è stata quella di pensare di poter battere il M5S con un accordo "di palazzo" invece che alle urne. Nessun complotto sia chiaro, semplicemente è ormai sotto gli occhi di tutti che il tentativo di Di Maio di spaccare il Movimento nasce in contemporanea con un accordo con il PD e la garanzia di un posto in Parlamento per lui e tutti gli esponenti di spicco che con lui hanno lasciato. Basta guardare le candidature all'uninominale citate sopra. L'ingenuità invece è stata quella di sperare di aprire una breccia nella propaganda interna del M5S, che fin dalle prime avvisaglie di rottura ha fatto partire le cannonate contro Di Maio, dipinto come traditore, venduto, poltronaro e chi più ne ha più ne metta. 

L'operazione Di Maio è stata un gigantesco boomerang che ha fruttato la bellezza di uno zero virgola alle urne, non ha fatto altro che ricompattare il movimento e i suoi elettori, ha tolto ogni elemento di instabilità e lanciato definitivamente Conte come leader assoluto. Oltre ad aver fatto perdere un po' la faccia al PD.


Letta ora lascia un PD che ha fatto pochissimi passi avanti, con un risultato deludente e un'aria di tempesta interna che è più o meno la stessa che si respirava mentre Zingaretti dava le dimissioni. Un anno in cui poteva avviarsi un vero processo di rifondazione, con un risultato elettorale che probabilmente non sarebbe cambiato molto, ma con prospettive diametralmente opposte a questo senso di resa incondizionata alla destra che si respira oggi.

2 settembre 2022

Dalla composizione dei collegi del Senato, facendo il confronto con quelli della Camera, si capisce bene che grazie alla riforma dei 5S molti elettori non avranno un vero rappresentante per il loro territorio al Senato, ma in pochissimi se ne rendono conto.

La Lombardia per esempio passa da 5 a 3 collegi, che vuol dire meno persone che dovranno rappresentare un territorio più vasto. A farne le spese saranno i piccoli comuni e i centri più isolati, perché dovendo scegliere, gli eletti dovranno difendere le istanze dei territori a densità maggiore, sia egoisticamente per interesse elettorale, sia perché è più semplice portare all'attenzione delle commissioni esigenze che arrivano da un maggior numero di persone. Ma il danno maggiore è nelle zone a bassa densità abitativa, concentrate soprattutto al Sud, che conterà ancora meno in Parlamento.

In questo articolo di Pagella Politica si vede come diminuirà la rappresentanza delle regioni del Centro-Sud dopo le prossime elezioni. 

Quello di cui forse non ci si rende conto è che la prossima composizione del Parlamento in futuro creerà ancora più divisioni nel Paese fra chi abita nei grandi centri e chi in provincia, chi abita al Nord e chi al Centro-Sud. Sarà ancora più facile alimentare il populismo e l'invidia sociale nei piccoli centri, sarà ancora più facile alimentare il malcontento di territori che probabilmente verranno dimenticati quando ci sarà da legiferare, distribuire sussidi e sostegni e fare politiche di crescita.
A pensar male verrebbe da dire che il movimento che ha fondato la sua ascesa sul populismo e sull'odio per la politica, abbia voluto alimentare il suo (ex?) principale bacino elettorale con l'isolamento istituzionale, per poi in una fase successiva ergersi a difensore della rappresentanza tradita, contando sulla memoria a brevissimo termine dell'elettore medio.
Oppure è solo un letale mix di ignoranza e ideologia.