12 ottobre 2023




Nel folk americano c’è un fermento che sta riportando il genere ai fasti di un tempo. Questa resurrezione iniziata in piena epoca Trump può essere vista come una rivendicazione del patrimonio culturale americano da parte della contro-cultura musicale. Una “punk wave” antitetica, gentile e misurata, a far da contrappeso alle cafonate trumpiane. Uno dei primi frutti di questo rinascimento è stato l’esordio ufficiale di Sam Burton nel 2020, un piccolo inaspettato capolavoro che si è fatto strada lentamente. A questo è seguito l’esordio altrettanto luminoso di Marina Allen, fino ad arrivare all’affermazione definitiva di Weyes Blood nel 2022 (ma anche Taylor Swift è salita sul carro nel 2020 con Folklore).

Non era semplice per Burton ripetersi, perché il songwriter di Salt Lake City (trasferitosi in California) si muove con passo felpato fra passato e presente, senza mai dare riferimenti precisi. Dear Departed riesce invece a superare il precedente, utilizzando arrangiamenti più curati, una sezione ritmica più incisiva e un uso praticamente perfetto delle orchestrazioni, grazie alla produzione discreta di Jonathan Wilson. I Don’t Blame You è il suo manifesto, elegante e ammantata di tristezza mista a speranza e con Long Way Around forma forse il punto più alto della sua produzione. Canzoni che nel momento stesso in cui le ascolti sembrano già classici eterni. Così come Looking Back Again in cui si possono sentire Tim Buckley o Leonard Cohen, ma sono molti gli artisti che può ricordare, quasi come fosse capace di farti sentire sempre a casa, andando a pescare dal tuo background musicale. Un disco che parla di perdita e di rinascita a seguito di un periodo difficile per l’artista, con testi struggenti e malinconici, un disco che è qui per restare nel tempo, così come il suo autore.







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