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10 maggio 2013



"Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande", diceva il saggio.
E per fare un grande disco Metal?
Che domande, ci vogliono dei grandi riff Metal.
... e cosa troverete in questo disco?
Dei grandi riff Metal.
La recensione potrebbe finire qui, perché questo è tutto quello che avete bisogno di sapere su questo disco.

ZOLLE è il nuovo progetto "agricolo" targato Supernatural Cat (Ufomammut, Ovo, Morkobot...), e si sa che la loro fattoria produce solo cose genuine, frutti grezzi e saporiti che la terra ci offre, con una punturina di lsd per dagli quel tocco in più che male non fa.
ZOLLE sono Marcello (MorKobot) e Stefano, pastore e contadino, di quelli "come una volta", che fanno tutto a mano, senza additivi, conservanti e pesticidi.
Non c'è voce, perché quando si lavora nella solitudine dei campi o insieme agli animali non si parla con nessuno, al massimo si grugnisce o si  fanno dei sonori peti per spezzare il silenzio della campagna.
Basterebbero anche solo i titoli per recensire questo disco:

01 - Trakthor
02 - LeeQuame
03 - Forko
04 - Mayale
05 - Ma Ja To Ya!
06 - Melicow
07 - Heavy Letam
08 - Weetellah
09 - Trynchatowak
10 - Moongitruce




E cosa ci trovate dentro?
Dentro ci trovate riff e ritmiche che scavano nella terra. Avete predente quei terreni appena arati e rimestati, dalla superficie irregolare e di un marrone vivo che spiccano in mezzo ai campi coltivati?
Ecco questa è l'immagine che rappresenta alla perfezione Zolle.
Registrato usando una batteria in rame, come il paiolo della polenta, e un vecchio amplificatore degli anni '50.
Un lavoro grezzo, con un'identità forte, che riporta alla luce le radici del genere e le usa come unico strumento per disegnare pezzi brevi e intensi. 
Unica concessione, alcune spruzzate molto discrete di sinth e xilofono, per il resto un monolite di chitarre e batterie, divise equamente fra ritmiche lente e ipnotiche e sferzate di riff spaccaossa e batteria pestata come se non ci fosse domani. Si va dallo stoner tirato di "Weetellah", al quasi doom di "Leequame",  allo sludge di "Forko" o al classic metal di  "Heavy Letam"" sulla quale viene quasi voglia di lanciare uno "yeEEaaAAH" Hetfildiano. I confini fra i generi, con un'impalcatura così ridotta all'osso, sono sottilissimi, ed è probabile che ognuno senta qualcosa di diverso a seconda dei suoi ascolti.
Ma non ci si può soffermare troppo sul genere in un disco così.

Pochi fronzoli, solo badilate in testa. 

Stasera non perdetevi il release party all'Arci Lo-Fi di Milano.




27 settembre 2012

Ulteriore breve riflessione sul Post-HC/Sludge.

Oggi salta fuori forse l'anteprima del nuovo disco dei Red Fang o forse solo un pezzo per lanciare il nuovo tour, e vuoi vedere che i Baroness ci avevano visto lungo e giusto?

I Red Fang sono alla prova del fuoco, al loro primo disco "vero", il primo che dovrà uscire sotto gli occhi attenti di tutti gli appassionati. A sentire questo pezzo, sembra che sono ben coscienti delle grandi aspettative e l'impegno è stato altrettanto grande.

Il pezzo è granitico, prodotto alla grande, curato nei minimi particolari, e musicalmente validissimo, ha tutti i connotati della "bomba".

MA?

Ma è arrivato fuori tempo massimo, non dice nulla di nuovo, anzi sembra ricalcare le strade già ampiamente solcate dai Mastodon, e come se non bastasse sembra che abbiano anche perso quell'approccio stoner e scazzato che li distingueva un po' dal mucchio.

Questo non significa che il prossimo disco sarà da buttare, anzi probabilmente sarà un disco da manate in faccia, un'altro grande disco da aggiungere fra i migliori del genere; perché i ragazzi sanno il fatto loro e hanno la giusta dose di "chissenefotte" per fare bene senza ansie da prestazione.

Solo che questo pezzo dimostra che forse veramente questo genere è arrivato alla saturazione, che tutto è stato fatto e non ci sono altre vie percorribili, e la svolta dei Baroness era veramente l'unica soluzione per non morire...

Aspettiamo un disco completo. Ma al momento "Crows in Swine" sembra l'ultimo grido di una bestia musicale affaticata e stanca. Forse, se il disco sarà all'altezza e non sarà troppo "mastodontico"come purtroppo lascia intravedere questo pezzo, i Red Fang saranno gli ultimi cavalieri capaci di farla uscire dal magma sotterraneo un'ultima volta...



Alla prossima puntata...

16 agosto 2012

Torno a parlare di musica (finalmente) per parlare di un disco che dire controverso è dire poco.

Baroness - Yellow and Green


Il post-hc/sludge/chiamatelo come volete è un genere strano, perché è un non-genere che però ha una connotazione precisissima e un identità forte con un equilibrio sottilissimo e molto precario in mezzo fra altri generi. Appena si perde un minimo di questo equilibrio automaticamente si è fuori. Mantenerlo è difficilissimo e solo chi ha trovato una formula precisa e granitica e ha avuto la possibilità di svilupparla in sordina per molto tempo è riuscito a sopravvivere.

Già un intero movimento, quello post-hc quasi strumentale e di derivazione post-rock sì è praticamente estinto, logorato dalla ricerca di questo equilibrio, e autodistruttosi per non essere riuscito a trovare una svolta, cadendo nella ripetitività e nella mancanza di idee. Cult of Luna e  Isis sono le "morti" celebri, i Pelican sono sopravvissuti ma con grosse difficoltà, i Red Sparowes sopravvivono come side project con uscite sia live che discografiche a dir poco sporadiche.

Dopo questa ondata sono esplosi i Mastodon, che attualmente sono l'unica band di "nuova" generazione che è riuscita nell'intento di mantenersi nel genere cercando di portare ogni volta piccole novità e perché no di portare un po' più fuori dalla sua nicchia il post-hc. Il loro obiettivo dichiarato era quello di diventare band di riferimento di tutto il nuovo metal, ma l'obiettivo non è stato centrato in pieno. Sono riusciti ad arrivare a molte più orecchie di un qualsiasi altro gruppo simile, ma sono sempre rimasti un po' in sordina nel mondo metallaro mainstream.

Dopo di loro? Il nulla.

Non ho paura di dire che il posthc/sludge è quasi morto, sì ok ci sono i Red Fang, i Kylesa, ma sono più di stampo Stoner e non li vedo come dei gruppi che han voglia di prendersi sulle spalle tutto un intero movimento musicale e di portarlo in trionfo. Si sa che i generi musicali, senza alfieri e punti di riferimento vanno naturalmente a morire come grandi pachidermi nella savana. A parte casi isolati e molto underground, non si vede all'orizzonte un nuovo vero alfiere di questo genere.

A parte uno.

E questo uno sono proprio i Baroness.

Fin dal primo disco sono stati indicati e spinti a portare lo stendardo, si è gridato al miracolo, giubilo e gaudio a corte "Un altro Mastodon.... si!.. può!.. faaareeee!", col secondo disco la grande conferma, incredibile, sembra quasi un sogno e poi?

E poi arriva Yellow and Green.

Ed è come il padre interista che si ritrova all'improvviso con un figlio milanista, è come Rocky in Rocky V (capolavoro ingiustamente sottovalutato) quando viene mollato dal suo allievo prediletto che lo tradisce per soldi e figa.

Personalmente ho sempre pensato che i Baroness siano un gran gruppo, ma non sono mai riuscito ad ascoltarli veramente con piacere, perché li ho sempre trovati troppo legati, costretti in un sistema troppo stretto per loro, un po' come sentire Omar Rodriguez Lopez costretto a suonare La Canzone del Sole. Beh sì, è facile dirlo adesso dopo aver sentito questo doppio disco, ma giuro che era l'esatta sensazione che mi trasmettevano.

I Baroness oltre ad essere un grande gruppo sono anche dei musicisti intelligenti, e si sono voluti togliere in fretta di dosso tutte le pressioni, e le investiture che gli sono state date.

In ogni caso questo terzo disco sarebbe stato un "flop" o avrebbe avuto comunque critiche spietate. Quando hai addosso tutta quella attenzione e quando ti concedono due "5 stelle" di fila, no c'è capolavoro che tenga, se rimani sulla linea dei due dischi precedenti manchi di idee e sei ripetitivo, se provi a cambiare leggermente direzione sei bravo ma non hai centrato l'obiettivo e avanti il prossimo, se cambi totalmente sei un venduto.

E poi onestamente non so proprio cosa avrebbero potuto tirar fuori dopo due dischi così e altri 5 dei Mastodon prima di loro.

Hanno deciso di fare il colpo grosso, smarcarsi da tutti e portare la competizione un livello più alto, riuscire anche dove i tutti loro illustri predecessori hanno fallito: portare a un livello nuovo il genere e portarlo fuori dalla sua isola per evitarne l'estinzione di massa.

La cosa che mi ha stupido di più del disco, è che pur pucciando i piedi di qua e di là, riesce comunque a mantenere quell'equilibrio di cui parlavo prima e riesce a mantenere la sua matrice nel genere nativo pur non essendolo.

C'è chi ha parlato di tradimento, chi ha parlato di obiettivo poco chiaro, chi ha parlato di disco troppo dispersivo, di pochi tratti a fuoco e molti altri totalmente fuori norma.

Secondo me è un disco come non ne capitavano da almeno 20 anni, un disco che segna indelebilmente la storia, per quando oggi la musica rock incida poco sulla storia, e che sancisce  la nascita (finalmente) di una nuova grande band di stampo metal.

Avete presente "Mellon Collie and the Infinite Sadness"?

Questo è il suo fratello minore (a mio parere per età e non per qualità).

Curiosamente questi due doppi album arrivano da due band all'inizio della loro carriera, dopo due dischi osannati, che si sono smarcate dal genere in cui volevano a tutti i costi incasellarle, consacrandone il successo a livello mondiale. Il grunge negli anni '90 aveva tutt'altra considerazione rispetto allo sludge/posthc/postmetal di oggi, ma con le dovute proporzioni nei dati di vendita si può dire che  il salto è stato lo stesso. E curiosamente agli Smashing Pumpkins sono state mosse le stesse critiche al tempo dai loro fan storici. Curiosamente c'è anche un pezzo sul disco dei Baroness il cui riff e ritmica ricordano molto da vicino un pezzo presente in Mellon Collie...vediamo se lo trovate (la soluzione a fine articolo).

Altro punto della questione: oltre a portare il genere in una nuova dimensione, i Baroness hanno il merito di riuscire nell'impresa di riportare gli assoli nel mondo metal moderno (moderno come concezione, non come età) , dandogli un senso, una nuova connotazione, e un ruolo principale nell'arrangiamento del pezzo. Assoli completamente opposti a quelli che il mondo metal è abituato a sentire, tutta tecnica e niente cuore e cervello, ma un tipo di assolo emozionale a metà fra Pink Floyd e i QOTSA.

Alcune critiche arrivano anche perché secondo i detrattori, hanno fatto il salto ma non l'hanno fatto abbastanza lungo, perché per la paura di scontentare troppo i fans sono rimasti con un piede nel loro vecchio mondo.

Io credo, come dicevo prima, che sia proprio questa la grande forza di questo disco, quello di rimanere all'interno del loro genere ma di contaminarlo con altro, cosa che nessuno aveva mai fatto veramente e con questa qualità ed efficacia.

In questo doppio disco ci sono pezzi clamorosi, come "March into the sea", già solo il gioiello d'arpeggio che c'è in questo pezzo vale il prezzo del disco. "Board up the house" o "Back where I belong", con un assolo a due chitarre (che solitamente non sopporto perché è la classica sboronata ignorante e inutile del classic metal) da lacrime; "Psalms Alive" con un andamento al limite del drum n' bass e un esplosione centrale da indici al cielo. Ci sono dei grandi pezzi molto diversi fra loro, che però hanno tutti la stessa identità e una coerenza di fondo.

L'altra grande rivoluzione sono le linee vocali. Finalmente da un genere che nelle migliori delle ipotesi quando ha voluto fare il melodico ci ha abituati al mononota (anche qui i Mastodon ci avevano provato senza avere il coraggio e la capacità di osare, anche per evidenti limiti tecnici) arriva una nuova (per il genere) concezione di "cantato", che non ha paura dei pregiudizi. I Baroness regalano un lavoro sulle voci ottimo e finalmente dei pezzi che ti spingono a cantare, che volenti o nolenti è sempre stato un grosso limite di questo genere, nelle sue frange più o meno melodiche.

Sì, forse nella parte verde del disco c'è qualche episodio non riuscito, ma anche il sopracitato Mellon Collie aveva alcuni episodi non proprio ottimi eppure è considerato, con i suoi pregi e difetti riconosciuti, universalmente il loro capolavoro e un disco di riferimento per quegli anni e per tutta la musica.

Non voglio fare il controcorrente per forza, non mi interessa, ho approcciato questo disco con grande scetticità e distacco, non sapevo cosa aspettarmi, e mi sono ritrovato con un desiderio di ascoltarlo e riascoltarlo che non mi capitava da moltissimo tempo.

I Baroness si sono trovati davanti a un bivio: o l'estinzione di massa o rischiare e andare alla ricerca della valle incantata. Hanno scelto la seconda, non so se hanno trovato la valle incantata ma sicuramente è un posto fertile dove far crescere la loro musica e il loro "branco".

L'estinzione è scongiurata... per ora.

La soluzione al quesito della Susi è:

March into the sea - Bodies