28 maggio 2013

Sabato pomeriggio ero alla ricerca di un film interessante da andare a vedere la sera stessa. In questo periodo in cui molti dei film di  Cannes non sono ancora usciti c'è veramente poco in giro, e guardando la programmazione delle sale a Milano, i titoli erano sempre gli stessi quattro o cinque in tutte le sale.
Per fortuna c'è il circuito Spaziocinema che, insieme a pochi altri, riesce a offrire sempre qualcosa di diverso. Fra i vari film, un titolo dell'Apollo non programmato in nessun'altra sala ha catturato la mia attenzione: Confessions.





Sono andato subito a cercare su Filmscoop.it e ho scoperto che il film in questione poteva essere una bella sorpresa. Così è stato.

In Italia è fuori dal 9 maggio 2013, ma in realtà si tratta di un film del 2010 che nel 2011 è arrivato vicino alla candidatura per l'oscar come miglior film straniero e  ha vinto il Black Dragon Audience Award al Far East Film Festival. 

Il film si apre con un'insegnante delle scuole medie che parla a una classe disattenta e indisciplinata che non le presta minimamente attenzione.
La situazione cambia repentinamente però quando Yuko Morimuchi, questo il nome dell'insegnante, annuncia di voler lasciare il mestiere. Questo non è che il pretesto per annunciare qualcosa di molto più importante e grave. Inizia così un racconto, un monologo che trascinerà la classe in uno scenario inaspettato, insieme alla classe il pubblico viene accompagnato direttamente nel cuore della trama dalla voce dell'insegnante: sua figlia Manami di 4 anni è stata uccisa, e gli assassini si trovano proprio all'interno di quell'aula.

Ma non si tratta di un giallo
, il regista e sceneggiatore Tetsuya Nakashima è molto bravo a portare subito il suo film fuori dagli equivoci.

Infatti quelli che vengono chiamati dall'insegnante "Soggetto A" e "Soggetto B"non tardano molto ad avere un'identità, portando immediatamente il film a uno stadio successivo: lo scopo del gioco non è scoprire l'assassino, ma è scoprire fino a che punto una persona può spingersi se è perseguitata dal rimorso, dal desiderio di essere accettata e amata, e dal desiderio di vendetta. Come persone, ragazzi ingenui e privi di una personalità forte, apparentemente innocenti e puri, possano diventare veicolo di atti di una violenza estrema e possano scivolare facilmente in un oblio di nichilismo autodistruttivo e distruttivo per le persone che li circondano.

L'insegnante dopo aver confessato alla sua classe (intenta a bere del latte) di sapere chi sono i due assassini, annuncia che il latte dei due è stato contaminato con del sangue infetto da HIV, scatenando il panico.
Yuko Morimuchi, fino a quel momento identificabile come "buona" e come vittima, passa improvvisamente dalla parte del carnefice e da quel momento tutti i personaggi coinvolti saranno in bilico fra i due ruoli, e quel confine verrà continuamente sorpassato.
La confessione dell'insegnante è la prima di cinque, le quali mostreranno diversi punti di vista della storia: la capoclasse, il soggetto A, il soggetto B, la madre del soggetto B.























Tutti hanno colpe, tutti sono vittima di qualcuno.
Persino il professore che arriverà a sostituire l'insegnante, ignaro di tutto quello che è successo prima del suo arrivo, si presenta carico di buona volontà, di voglia di fare al meglio il suo mestiere, di aiutare i suoi alunni. Ma anche la sua bontà ostentata sarà causa di avvenimenti tragici, a sua insaputa.
La madre di Shuya, il soggetto A, è causa  della personalità disturbata del figlio, abbandonato per inseguire le sue ambizioni, ma sarà vittima dello stesso. La madre del soggetto B, Naoki, con il suo amore ai limiti della follia che le nasconde la vera natura di suo figlio sarà sua vittima. La capoclasse Mizuki, dietro una facciata da alunna modello, nasconde un'anima torbida, e una passione malsana per la morte e per il suicidio. Sarà l'unico appiglio a cui si aggrapperà Shuya, ma la sua natura la tradirà nel momento sbagliato.






















Queste relazioni disturbate culminano in un'esplosione finale, reale e metaforica, in cui la fotografia diventa veicolo di un flusso di sentimenti contrastanti e nella quale la resa dei conti non è così chiara e definitiva come ci si potrebbe aspettare e come si vorrebbe.




La fotografia è una parte fondamentale di questo film, le sequenze rallentante, le inquadrature inusuali, la tendenza a creare veri e propri quadri, con uno stile che richiama alcune tecniche usate spesso in videoclip musicali, sono una caratteristica che salta subito all'occhio.
Ma quello che stupisce è il fortissimo equilibrio e la forza dei vari elementi che si fondono insieme. Una grande fotografia è unita a una bellissima colonna sonora, usata in maniera impeccabile, con pezzi (fra i quali spiccano Radiohead e XX) che non sono un semplice sottofondo, ma vanno a disegnare la scena e a dargli un'atmosfera e una caratterizzazione palpabili, che avvolgono totalmente lo spettatore. Tutto questo è unito a una sceneggiatura curata e originale senza essere sopra le righe. Riesce a rimanere sempre funzionale al racconto e a dare un ritmo continuo, pur essendo destrutturata in 5 parti diverse. Tutto questo in aggiunta a un cast veramente azzeccato, a partire da Tokako Matsu, perfetta nel rendere al massimo il volto pieno di inquietudine, sottile odio e astuzia di Yuko Morimuchi.
Molti l'hanno definito un revenge movie, ma è molto di più, è un film drammatico, psicologico, la vendetta è solo un pretesto per analizzare nel profondo l'animo umano, nel quale ognuno è lo yin e lo yang di sè stesso.




Da tempo non mi capitava di vedere un film così sorprendente e stimolante, pieno di spunti, di immagini spettacolari, di frasi e scene che fanno riflettere: uno di quei film con una "coda lunga", che rimane impresso per molti giorni e ti costringe a ripercorrere le sue diverse fasi cercando di trovare particolari che non si erano notati.

E' curioso notare come la locandina e il trailer italiani siano profondamente diversi da quelli internazionali. Nella versione italiana il film è presentato quasi come un manga:




Questo invece è il trailer originale:























24 maggio 2013


Qualche giorno fa un comunicato su Facebook postato da Andrea Pontiroli, amministratore unico di Santeria (“locale” di Milano), spiegava a grandi linee i motivi per cui da qualche tempo nel suo locale non ci fossero più quei tanti, tantissimi eventi che ne avevano caratterizzato la programmazione. Motivi che, come spesso accade, sono riconducibili a permessi, burocrazia, e mancanza di attenzione verso quei luoghi dove si fa cultura.
Subito è scattata una pioggia di commenti di solidarietà, incoraggiamenti, petizioni. Una vera e propria mobilitazione.
Ma torniamo un attimo indietro, cos’è Santeria?



Santeria non è un semplice locale dove si va solo a bere e a divertirsi, Santeria è bar, caffetteria, bistrot, sala per concerti, libreria, negozio di dischi e vestiti, è cinema, è ufficio, auditorium, galleria d’arte. Un mondo, un organismo, un luogo dove la cultura, la musica e le idee sono i muri su cui si poggia l’intera struttura.
Un luogo che nel giro di due anni è diventato un punto di riferimento per Milano e un luogo di aggregazione in un quartiere che offre veramente poco.
Leggendo potrebbe sembrare un locale di dimensioni enormi, in realtà è uno spazio tutto sommato di dimensioni contenute, dove però “i contenuti” trovano sempre lo spazio adatto.
Gli eventi che ospitava, e che spero al più presto continurà ad ospitare, sono anche inusuali per la normale programmazione di un locale. Come i “matinee”, concerti con brunch della domenica mattina, o la cinemerenda, proiezione pomeridiana di film indipendenti, eventi pensati anche nel rispetto del contesto residenziale in cui è inserita Santeria.

Ho contattato Andrea Pontiroli per capire cosa è successo a Santeria e cosa succede a Milano, dove la vita dei locali che fanno musica e cultura è veramente dura (come anche in tutta Italia).


Per cominciare, giro a te la domanda con cui ho iniziato l’articolo: cos’è Santeria e com’è nata?

Santeria è una factory, un palazzina all’interno della quale ci sono moltissime attività diverse, ma tutte collegate al mondo della creatività: uffici di grafici, web designer, illustratori, promoter, uno studio di produzione musicale, un coworking con 10 postazioni, un bar bistrot, uno shop di vinili / vestiti / libri, una sala mostre / showcase e un cortiletto. Qui  possono sviluppasi collaborazioni indotte dalla stessa Santeria o anche autonome, perché l’ambiente è stato pensato per incanalare energie ed idee attraverso una concentrazione di professionisti del settore.


 Che tipo di eventi ospitava, oltre a quelli che ho citato, fino allo stop forzato?

Preferisco parlare di  eventi  che Santeria ospiterà, visto che rimango convinto che a brevissimo i problemi legati alle autorizzazioni si risolveranno. Comunque si tratta di concertini acustici, showcase, dibattiti, rassegne di cinema, presentazioni di libri, mostre di pittori, illustratori e fotografi. Tutti gli eventi si tengono in orari diurni. Santeria è stata pensata come un posto diurno che chiude alle 22.00.


Lo showcase di John Grant in Santeria


Ora veniamo alla domanda cruciale di questa intervista, per quale motivo da circa tre mesi non potete più ospitare e organizzare questi eventi?

Si tratta di una pratica di impatto acustico richiesta per i nostri eventi dalla polizia annonaria, che abbiamo scoperto poi non essere dovuta, in quanto le esibizioni e le proiezioni non rappresentano l’attività principale e si tengono in orari diurni. Nonostante questo abbiamo ricevuto una sospensione dei permessi e siamo entrati in una trafila burocratica che dura ormai da tre mesi.

Come mai, dopo due anni di attività, vi viene richiesta? E' forse legata a lamentele del vicinato, o a problemi riscontrati nella vostra attività?

Come è risaputo, a Milano vince sempre la lamentela, anche se ingiustificata e basata più su un'intolleranza ideologica che un reale disturbo. Le lamentele possono sicuramente aver aiutato a complicare l’iter, ma voglio ricordare che, per nostra scelta, abbiamo deciso di fare eventi solo in orari diurni e sempre a volumi molto bassi, oltre che ad una chiusura del locale alle 22.00, nonostante la possibilità di stare aperti sino alle 02.00.




Oltre al danno “morale” e al danno culturale, avete riscontrato anche un danno economico legato alla mancanza di eventi che richiamassero il pubblico?

La stima delle perdite economiche in tre mesi si aggira intorno ai 18.000 euro di mancato incasso. Per un posto come Santeria, aperto da soli due anni e con già 12 assunti è davvero una somma ingente che mette a rischio l’intero progetto.

Ti aspettavi una reazione del genere dopo il tuo comunicato su Facebook? Oltre ai vari commenti di solidarietà e di sostegno, è stata avviata anche una petizione online.
In Santeria come al Magnolia o al Tunnel (locali dai quali arriva lo staff di Santeria), sentite una forte esigenza da parte delle persone di spazi dedicati alla musica e alla cultura?

Non amiamo i proclami o le denunce fatte tramite web, ma dopo tre mesi abbiamo pensato che una spiegazione ai nostri frequentatori fosse dovuta. La reazione della gente ci ha fatto sicuramente molto piacere, anche se sinceramente ce l’aspettavamo. La situazione per gli operatori culturali  e per la città stessa va affrontata con un piano di rilancio a lungo termine. E’ tempo che l’amministrazione si prenda le responsabilità assunte in campagna elettorale, non perché dovute a qualcuno, ma per la città stessa.

Com’è la situazione attuale a Milano per locali, circoli ARCI, e tutti quei luoghi dove si cerca di dare qualcosa in più alla città e alle persone che la abitano? E’ cambiato qualcosa in meglio o in peggio negli ultimi anni?

Questa amministrazione ha sicuramente fatto molto per Milano, sotto diversi aspetti, soprattutto per il sociale e per i diritti dei cittadini, ma per quanto riguarda la cultura, il commercio e il tempo libero non si è dimostrata all’altezza. I locali, i circoli e gli spazi in generale dedicati alla cultura soffrono di una situazione difficile, dove la burocrazia e i continui cambi di regolamenti frenano un reale sviluppo del settore.


Una serata "storica" della campagna elettorale di Pisapia

Due anni fa in campagna elettorale si faceva un gran parlare della questione culturale Milanese e degli spazi dedicati, dal tuo punto di vista è rimasta viva quell’attenzione da parte del Comune e delle istituzioni oppure è caduta nell’oblio delle promesse elettorali?

Oblio e confusione.

Cosa si può fare nel concreto per dare una svolta a questa situazione di stallo e di grande difficoltà?

Per due anni il settore cultura ha lavorato senza un piano preciso di rilancio, senza darsi dei tempi e senza proporre delle soluzioni che comprendevano il lavoro e le competenze di altri assessorati. Sono diversi i punti che già due anni fa furono sottoscritti in campagna elettorale: dallo sportello unico dello spettacolo, alla semplificazione e digitalizzazione della burocrazia, dalla messa a disposizione degli spazi in disuso ai bandi dedicati per incentivare le ristrutturazioni e le assunzioni.

Nell’ambiente si fa un gran parlare di questo “sportello unico per gli spettacoli” ma nella pratica cosa sarebbe, e cosa cambierebbe nella gestione di tutte le questioni legate a permessi e procedure burocratiche in cui siete rimasti  bloccati?

Lo sportello unico per lo spettacolo darebbe prima di tutto la sensazione agli operatori di essere presi sul serio. Poi semplificherebbe l’iter rispetto agli 11 uffici da affrontare attualmente per una pratica di pubblico spettacolo. Lo strumento poi deve essere pensato per dare supporto ed incentivi, con informazioni e con tempi molto più brevi di quelli odierni.

Secondo te è complicato da attuare, anche a livello finanziario, oppure è una cosa per la quale basta solo una piccola riorganizzazione degli uffici preposti, per semplificare l’attuale iter?

Nulla è semplice, il problema è che non è stato fatto nulla in due anni e l’idea che si sta diffondendo è che non sappiano neanche da dove iniziare.

A fine 2011 e inizio 2012 si era creato un gran polverone attorno alle attività artistiche di strada e alla loro regolamentazione. In pochissimo tempo si è arrivati a una proposta di iniziativa consigliare e a una soluzione semplice, intelligente e libera da carte bollate e uffici comunali, aprendo un portale dedicato e permettendo di prenotare gli spazi via internet.
Per assurdo è diventato più semplice avere un permesso per suonare in strada che per suonare in un locale. Secondo te per quale motivo non c’è stata la stessa attenzione e velocità nel risolvere i problemi legati alle attività artistiche al chiuso?

Secondo me si tratta di assoluta mancanza di conoscenza delle problematiche e delle possibili soluzioni, oltre che ad una mancanza di coraggio, che era lecito aspettarsi da un’amministrazione di sinistra.

Non si potrebbe arrivare a una soluzione simile anche per i locali? (Con le dovute proporzioni visto che ai locali al chiuso è legata anche un rigida regolamentazione su molti aspetti fra cui la sicurezza e le norme sanitarie)

SI, certo.

Dopo gli incontri in campagna elettorale, avete richiesto altri incontri insieme con l’assessorato preposto ed eventualmente il sindaco per arrivare a una soluzione rapida?
Ce ne sono in programma altri, oppure volete chiederne?

Il tempo degli incontri e delle tavole rotonde ritengo sia finito. Ora c’è da procedere . Gli amministratori devono prendere provvedimenti e avere coraggio. I punti ci sono. Le proposte sono state ben articolate, ora non bisogna più perdere tempo.

Cosa pensi della situazione difficile in cui si trovano oggi la cultura e la musica in Italia? Istituzioni e privati tagliano fondi, molte realtà chiudono. Anche e soprattutto a Milano negli ultimi anni si è assistito a una strage di locali, teatri, cinema, quale sarebbe secondo te la direzione giusta da prendere?

Basterebbe guardare cosa fanno gli altri stati europei. Non bisogna inventarsi nulla.

 Nelle istituzioni ma anche fra i cittadini, c’è molta gente che pensa: “In questo momento ci sono altri problemi più importanti rispetto alla cultura e alla musica, il Comune non ha i soldi per riparare le strade, la gente non ha i soldi per mangiare (ecc...), non è il caso di perdere tempo e spendere soldi con i concerti e la cultura”.
Da operatore del settore cosa rispondi a chi la pensa così?

Che non bisogna spendere soldi, ma bisogna lavorare perché il settore abbia terreno fertile. Sono sempre stato contrario alle amministrazioni che spendono nei grandi eventi, ma sostengo che gli investimenti nella cultura, in termini di start up e spazi, ritornino triplicati alle amministrazioni stesse.  E’ vero ci sono urgenze peggiori e sempre ce ne saranno, ma la cultura può generare lavoro, attivare il turismo, aumentare il proprio indotto e avere benefici incredibili sul sociale e anche sulla sicurezza. Più la città risulta viva, più risulta sicura.




Hai scritto un libro che si intitola “Un concerto da manuale”, un vero e proprio manuale di istruzioni e consigli per organizzare concerti.
Dato che questo blog ha avuto il suo più grande picco di popolarità con un articolo provocatorio, scritto dal punto di vista delle band, dedicato ai gestori di piccoli locali che si improvvisano organizzatori di concerti, hai qualche breve consiglio da dare estratto dal tuo libro?
Dal tuo punto di vista di gestore e hai anche qualcosa da dare a quelli che si improvvisano musicisti e band? Dove si può trovare il tuo libro?

Ai musicisti consiglio di suonare, suonare e suonare. Di non pensare al booking, alla comunicazione allo staff o al management come priorità ma come accessori della propria carriera, una volta che le proprie performance risultano incredibili. Pochissimi artisti fanno il salto e l’unico modo per farlo è quello di fare buona musica, sia in termini di esecuzione che di composizione.
Il libro si trova nelle librerie su richiesta oppure direttamente sul sito di NdA editore (http://www.ndanet.it/un-concerto-da-manuale.html)


Grazie, e speriamo che gli eventi di Santeria riprendano in brevissimo tempo.  

Grazie a te.

14 maggio 2013



L'altro ieri a Milano si è svolta la sempre discussa e vituperata Domenicaspasso. Una domenica che divide Milano più del derby della Madonnina. La città si divide in due tifoserie distinte con tanto di cori e striscioni pronti a sostenere la propria squadra.

Con lei è andato in scena il solito balletto dei "non serve a niente", "in un momento così è un danno per i commercianti e i cittadini", solo per citare alcuni fra i commenti più in voga.

Troppo facile ridurre tutto a due "sparate" per tirare l'acqua ognuno al proprio mulino.
Invece che lanciare slogan e frasi buttate lì per il gusto di dichiarare qualcosa, vorrei analizzare alcuni aspetti un po' più "reali" e alcune implicazioni di queste giornate indette dal Comune.

Partiamo dagli aspetti più discussi: serve, non serve, è dannosa, è positiva.
Certamente servirebbe molto di più se fosse al centro di un intervento organico su tutta la città e sul lungo periodo (non basta solo annunciare decine di km di nuove piste ciclabili...) ma da lì a dire che non serve a niente ce ne passa.

Se anche solo un milanese che normalmente si sposta in auto, grazie alla Domenicaspasso dovesse scoprire che non è poi così male muoversi in bicicletta, (o anche con i mezzi pubblici) e decidesse di andare al lavoro tutti i giorni lasciando l'auto a casa, sarebbe un vero successo. 

Forse però non basta fare le domeniche a piedi per lavarsi la coscienza. Prima di stanziare finanziamentii per ampliare il bike sharing, sarebbe meglio stanziarli per fare percorsi e piste ciclabili dove è possibile utilizzare le biciclette affittate e anche quelle non affittate. Dato che da quando si è insediata questa giunta, non si è visto ancora nessun provvedimento strutturale che favorisca la nascita di una vera rete ciclabile.



Ma torniamo al tema principale dell'articolo.
Dove sono durante l'anno e durante la settimana, tutti quei cancelli a pedali o quelle biciclette da esposizione lucide come Rolls Royce appena uscita dalla fabbrica, che si vedono solo durante queste giornate?
Dove sono tutti quei ciclisti durante la settimana e durante tutti gli altri giorni dell'anno?

E' la Domenicaspasso che spinge i più pigri a inforcare la bicicletta, oppure sono i ciclisti che al di fuori dell'iniziativa del Comune non si sentono sicuri e preferiscono muoversi in altri modi?

Su questa ultima domanda si sviluppa tutta la questione, ed è su questi due aspetti che si gioca la partita.

C'è una folta schiera di "comodi", di pigri, di "se non ti presenti con una macchina decente non sei nessuno", di "vado a prendere le sigarette sotto casa, in macchina", di "porto il bambino a scuola a un isolato da casa con il SUV". A tutta questa categoria di persone, la Domenicaspasso può essere un grosso incentivo per scollarsi dal sedile e provare il brivido di una sella o del palo della metropolitana.

Oltre alla pigrizia c'è anche la percezione dell'"andare in bicicletta a Milano" che troppo spesso è percepita come attività pericolosa a prescindere, senza aver mai provato e senza una vera conoscenza della viabilità milanese "bike friendly" e anche delle sue, seppur poche, piste ciclabili.

Danny Macaskill e un piccolo esempio di "pericolo"


Spesso l'immagine della pericolosità dell'andare in bicicletta è il ciclista in Circonvallazione o in Corso Buenos Aires, ma Milano è anche piena di vie secondarie dove il traffico motorizzato è limitato, e dove andare in bicicletta non è così pericoloso come spesso si crede.
La strada per andare al lavoro di solito è sempre la stessa, e come si studiano percorsi alternativi per evitare il traffico in macchina, lo si può fare anche per evitare il traffico in bicicletta.

Con questo non voglio dire che non sia pericoloso e che in questa città i ciclisti siano agevolati e protetti, sia chiaro. Ma forse nell'immaginario collettivo la percezione della pericolosità è molto più alta di quello che poi è in realtà, e questo scoraggia molto l'uso della bicicletta.

Anche la percezione della distanza da percorrere in bicicletta spesso è distorta. Di solito quando parlo con qualcuno riguardo al muoversi in bicicletta, le distanze diventano siderali. "Devo andare fino là" "dall'altra parte di Milano" "è una vasca in bici". Quando poi, se si va a guardare, la maggior parte delle volte sono 6-7 km che con una gamba non allenata e una pedalata da scampagnata, esagerando ci vogliono quaranta minuti. Con una gamba più abituata, venti minuti, mezz'ora al massimo. Spesso molto meno che con i mezzi pubblici o in auto.

Anche in questo caso la Domenicaspasso può aiutare a prendere confidenza con la strada e con la bicicletta. Può aiutare a scoprire percorsi che non si conoscono, può aiutare a scoprire che Milano non è poi così grande come sembra e può dare lo stimolo a iniziare a muoversi in maniera differente dal solito.
Il Cyclopride di questa domenica è stata un'ottima iniziativa per esempio.



Dall'altro lato però, come dicevo prima, non si può limitare gli interventi a favore della mobilità alternativa a sole quattro giornate all'anno di blocco del traffico, perché la mobilità è un tema che riguarda i meccanismi e la routine quotidiana di tutti i cittadini. Ed essendo routine, è molto difficile scardinarla con un intervento isolato. Ci vogliono interventi continui, mirati, studiati, efficaci e a lungo termine.
L'Ecopass purtroppo, è percepito come una tassa e nonostante sia utile nel pratico a ridurre le auto in centro, non educa e non fa capire i vantaggi reali che si hanno lasciando l'auto parcheggiata. Non servono neanche altre due linee metropolitane se comunque chi usa sempre la macchina non si sogna neanche di mettere piede sui mezzi pubblici.

Ma anche all'interno della Domenicaspasso si può fare di più. 
Si potrebbe, per esempio, approfittarne per chiudere completamente al traffico intere vie e permettere alle varie associazioni culturali di Milano di fare attività, concerti, spettacoli, invece di relegare i vari eventi in parchi e spazi chiusi. Se la cittadinanza si deve riappropriare degli spazi della città, chiudere un'intera via (come Buenos Aires per esempio) per dedicarla alla cultura e ad altre attività sarebbe un segnale forte.

Nonostante ci fosse il blocco del traffico, c'erano più macchine in giro di una domenica d'agosto. Troppi permessi o troppi pochi controlli? Da Lambrate a Piazza Duomo ho incontrato un solo posto di blocco da un lato di Piazzale Loreto, mi sembra un po' poco per salvaguardare la giornata senz'auto.
Inoltre i  tassisti potrebbero evitare di approfittare delle strade libere per viaggiare come su un circuito di formula uno, strombazzando ad ogni ciclista all'orizzonte.

Infine i commercianti che tanto si lamentano dei danni al loro fatturato causati dalle domeniche a piedi, e che tanto combattono a spada tratta contro qualsiasi provvedimento per ridurre il traffico automobilistico, per quale motivo poi stanno comunque aperti durante queste giornate? Non converrebbe rimanere chiusi se, come sostengono, la Domenica di blocco del traffico incide fortemente sul loro fatturato?

Bisognerebbe istituire un bollo adesivo in collaborazione con il Comune, da attaccare all'entrata dei negozi per segnalare i commercianti che sono d'accordo con questa iniziativa e la sostengono (sempre che ne esistano).
Dare qualche piccola agevolazione per poter fare degli sconti a chi si presenta in negozio con un biglietto dell'Atm o in bicicletta, per fare un esempio. Inoltre si potrebbe fare un elenco sul sito del Comune e sui siti specializzati, dei negozi aderenti e spingere le persone a preferirli rispetto a quelli che non la sostengono. Inoltre, perché no, organizzare qualche iniziativa insieme a questi commercianti che li aiuti a farsi conoscere.

Oltre a questi piccoli accorgimenti nelle giornate dedicate, si potrebbe fare molto (con poco) anche durante il resto dell'anno per aiutare, incentivare e proteggere i ciclisti.

Come ad esempio prendere provvedimenti seri contro le auto in seconda fila, che sono una delle cose più pericolose per i ciclisti, per non parlare poi di quando vengono aperte le portiere di suddette auto senza guardare gli specchietti, praticamente un tentato omicidio.
Le auto in seconda fila costringono i ciclisti a pericolosi zig zag, costringendoli ad uscire dalla zona "sicura" della carreggiata (sicura è un paradosso) andando a incrociare spesso rotaie del tram, che se prese con l'angolazione sbagliata, sono molto pericolose e rischiano di bloccare le ruote che si infilano nel binario, causando bruttissime cadute.
Nel tragitto che faccio da casa al lavoro e viceversa, soprattutto di sera  in via Pordenone, e nel tratto finale di Via Casoretto, non certo delle vie glamour, è una pioggia di auto in seconda fila, parcheggiate anche a un metro di distanza dalle auto vicino al marciapiede. Così come in Via Teodosio e come in molte altre vie di Milano.
Come se non bastasse molte volte mi è capitato di vedere vigili ignorare completamente il problema. Da moltissimo tempo non vedo una multa a un'auto in seconda fila o un vigile intento a metterne una.



Il problema della sosta selvaggia impunita non è limitato alle macchine in seconda fila, si allarga alla sosta sulle piste ciclabili e in prossimità dei parcheggi delle biciclette e delle stazioni del bike sharing o sulla sede dei percorsi di filobus e tram o davanti alle fermate.

Un esempio emblematico di sosta "molto" selvaggia.


La questione della sosta selvaggia è stata analizzata e discussa moltissime volte e  ci sono stati (i soliti) ripetuti proclami di tolleranza zero, purtroppo il tema è sempre tristemente attuale.
Si dice non ci siano abbastanza "forze in campo", ma quello che vedo tutti i giorni sotto i miei occhi è che le forze in campo ci sarebbero anche. Magari non sono sufficienti a coprire tutte le attività necessarie, ma potrebbero essere sfruttate meglio secondo me.
Nella mia zona (zona 3 per essere chiari) non vedo una multa sotto il tergicristallo di una macchina da non so quanto tempo. Con questo non voglio dire che gli automobilisti devono essere penalizzati, anche io ho una macchina e anche io mi sposto in auto quando è necessario, ma semplicemente bisogna far rispettare le regole. 

C'è moltissimo da fare al di fuori delle domeniche a piedi. 
Guardando la mappa delle piste ciclabili a Milano, sembra che qualcuno intento a giocare a "unisci i puntini" sulla settimana enigmistica sia stato interrotto all'improvviso.
Iniziano a e finiscono nel nulla, spesso non sono protette dalla sede stradale, e molte non sono a norma.

Celebre esempio di pista ciclabile milanese (Viale Mugello), che  spero sia stata sistemata. 


Anche queste cose si sanno da tempo, e anche in questo caso però l'argomento è, purtroppo, sempre attuale.
Come dicevo all'inizio non serve annunciare decine di chilometri di nuove piste ciclabili se poi sono piazzate a caso sulla mappa di Milano, senza essere collegate l'una con l'altra.
Bisognerebbe partire prima con piccoli interventi per rendere più sicure e percorribili quelle che ci sono e  collegare con piccoli tratti di congiungimento quelle più vicine l'una all'altra, come ad ad esempio quella in Corso Venezia, che finisce all'improvviso a metà strada, e "abbandona" i ciclisti proprio prima di due incroci pericolosi. Basterebbero solo 700 metri di pista ciclabile in più (e un cordone protettivo per proteggerla dalla sede stradale) per completarla e portare i ciclisti in San Babila senza rischiare la vita.

C'è veramente tanto da fare e la Domenicaspasso deve essere un punto di partenza per un intervento massiccio nel tempo e nello spazio non un fatto isolato e di facciata, perché altrimenti la si priva di significato, finendo per dare ragione ai tanti detrattori. Questo, per tornare al paragone calcistico usato all'inizio di questo articolo, sarebbe un tremendo autogol.











10 maggio 2013



"Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande", diceva il saggio.
E per fare un grande disco Metal?
Che domande, ci vogliono dei grandi riff Metal.
... e cosa troverete in questo disco?
Dei grandi riff Metal.
La recensione potrebbe finire qui, perché questo è tutto quello che avete bisogno di sapere su questo disco.

ZOLLE è il nuovo progetto "agricolo" targato Supernatural Cat (Ufomammut, Ovo, Morkobot...), e si sa che la loro fattoria produce solo cose genuine, frutti grezzi e saporiti che la terra ci offre, con una punturina di lsd per dagli quel tocco in più che male non fa.
ZOLLE sono Marcello (MorKobot) e Stefano, pastore e contadino, di quelli "come una volta", che fanno tutto a mano, senza additivi, conservanti e pesticidi.
Non c'è voce, perché quando si lavora nella solitudine dei campi o insieme agli animali non si parla con nessuno, al massimo si grugnisce o si  fanno dei sonori peti per spezzare il silenzio della campagna.
Basterebbero anche solo i titoli per recensire questo disco:

01 - Trakthor
02 - LeeQuame
03 - Forko
04 - Mayale
05 - Ma Ja To Ya!
06 - Melicow
07 - Heavy Letam
08 - Weetellah
09 - Trynchatowak
10 - Moongitruce




E cosa ci trovate dentro?
Dentro ci trovate riff e ritmiche che scavano nella terra. Avete predente quei terreni appena arati e rimestati, dalla superficie irregolare e di un marrone vivo che spiccano in mezzo ai campi coltivati?
Ecco questa è l'immagine che rappresenta alla perfezione Zolle.
Registrato usando una batteria in rame, come il paiolo della polenta, e un vecchio amplificatore degli anni '50.
Un lavoro grezzo, con un'identità forte, che riporta alla luce le radici del genere e le usa come unico strumento per disegnare pezzi brevi e intensi. 
Unica concessione, alcune spruzzate molto discrete di sinth e xilofono, per il resto un monolite di chitarre e batterie, divise equamente fra ritmiche lente e ipnotiche e sferzate di riff spaccaossa e batteria pestata come se non ci fosse domani. Si va dallo stoner tirato di "Weetellah", al quasi doom di "Leequame",  allo sludge di "Forko" o al classic metal di  "Heavy Letam"" sulla quale viene quasi voglia di lanciare uno "yeEEaaAAH" Hetfildiano. I confini fra i generi, con un'impalcatura così ridotta all'osso, sono sottilissimi, ed è probabile che ognuno senta qualcosa di diverso a seconda dei suoi ascolti.
Ma non ci si può soffermare troppo sul genere in un disco così.

Pochi fronzoli, solo badilate in testa. 

Stasera non perdetevi il release party all'Arci Lo-Fi di Milano.